Achrome

Artista Piero Manzoni

1959

Anno di accessione 1990

Caolino su tela, 73 x 60 cm

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Inv. CC.26.P.MAN.1959.A132

Provenienza: Collezione Ghiringhelli, Milano; Sotheby’s, Londra, Post War and Contemporary Art, 5 aprile 1990 (lot. 626).

Esposizioni: Nizza 1972 (p.n.n., ill.); San Pietroburgo 2018 (pp. 38-39, n. 3).

Bibliografia: Celant 1975, p. 107; Battino Palazzoli 1991, p. 320; Celant 1998, p. 31; Celant 2004, vol. II, p. 461, n. 465, ill.; La Collezione Cerruti 2019, p. 68, ill.

«La questione per me è dare una superficie integralmente bianca (anzi integralmente incolore, neutra) al di fuori di ogni fenomeno pittorico».

(Piero Manzoni, 1960)

Nato nel 1933 a Soncino, in provincia di Cremona, Piero Manzoni vive e studia a Milano. Nel 1955 si trasferisce per circa un anno a Roma, dove s’iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza. L’artista esordisce nell’agosto del 1956 alla IV Fiera mercato al Castello Sforzesco di Soncino, insieme ad Angelo Verga ed Ettore Sordini, e nello stesso anno prende parte al Premio San Fedele a Milano con un’opera composta da sagome antropomorfe affini alle figure primigenie ed embrionali dell’arte nucleare. Insieme agli artisti del movimento nucleare, nel 1957, Manzoni partecipa alla mostra «Arte Nucleare 1957», presso la Galleria San Fedele, e aderisce al manifesto Contro lo stile, redatto da Enrico Baj e Sergio Dangelo, tra i cui firmatari compaiono anche Arman, Yves Klein, Arnaldo e Giò Pomodoro, Pierre Restany.

È con i quadri di gesso bianco, realizzati tra la fine del 1957 e il 1958 che Manzoni compie il salto decisivo: in queste opere, esposte nel 1958 alla Galleria Pater di Milano, definite dall’artista nel 1959 «superfici acrome», Manzoni guarda alla smaterializzazione di Lucio Fontana. La tela è ricoperta per intero da stesure di gesso grezzo, a cui l’artista talvolta sovrappone una tela di iuta trattata con il gesso, in modo che la superficie si presenti come uno spazio bianco increspato dai grumi di una materia usata allo stato naturale: «La questione per me è dare una superficie integralmente bianca (anzi integralmente incolore, neutra) al di fuori di ogni fenomeno pittorico», scriverà Manzoni nel 1960 sul secondo numero di «Azimuth», rivista da lui fondata nel 1959 insieme a Enrico Castellani, con il quale dirige anche la Galleria Azimut1.

Opera che «tende a farsi oggetto, desolata presenza a sé»: così vengono definiti nel 1959 i quadri bianchi di Manzoni dal poeta Leo Paolazzi, nome de plume di Antonio Porta2. Con l’achrome Manzoni fa tabula rasa delle componenti esistenziali e dei valori espressivi della pittura informale. Dalla metà del 1958 l’artista sostituisce il gesso tipico dei primi achrome con il caolino, materiale argilloso diffuso nelle fornaci di Albissola Marina, località nota per l’illustre tradizione ceramica, dove l’artista trascorre le vacanze sin dalla prima infanzia. A questa fase del lavoro di Manzoni è riconducibile l’opera, datata 1959, acquistata da Francesco Federico Cerruti a un’asta Sotheby’s nel 1990 e precedentemente appartenuta alla Collezione Ghiringhelli di Milano.

Le pieghe che ne modulano la superficie sono in parte dovute al processo organico di essiccazione del caolino liquido che si rapprende. La tela, aggettante nello spazio, si introflette ed estroflette formando pieghe e grinze, in modo da sollecitare nel riguardante un contatto fisico e un’esplorazione tattile, non dissimili dall’effetto prodotto da lavori di Alberto Burri quali Two Shirts (1956) o Grande Bianco (1956), dove i tessuti e gli indumenti presenti nell’opera sembrano trattenere l’impronta del corpo che li ha indossati e, ancor prima che alla vista, fanno appello al tatto. Nell’achrome appartenente alla Collezione Cerruti le pieghe formate dal caolino rappreso sono disposte dall’artista secondo un andamento regolare, dalla struttura a quadrati, che suggerisce una concezione seriale e iterativa dell’oggetto artistico. Una soluzione, quest’ultima, che di lì a breve l’artista svilupperà ulteriormente nella serie di achrome realizzati con la tela cucita.

[Raffaella Perna]

1 Manzoni 1960, p.n.n.

2 L. Paolazzi, in Roma 1959, p.n.n.