San Gerolamo in un paesaggio

1528 c.

Anno di accessione 1983

Olio su tela, 93,4 x 107,2 cm

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Inv. CC.3.P.DOS.1528.A48

Provenienza: Collezione privata, Inghilterra; collezione privata, Digione; Eduardo Moratilla, Parigi; Collezione Giancarlo Sestieri, Roma; Collezione Leonardo Vitetti, Roma; Sotheby’s Parke Bernet, Firenze, Importanti dipinti antichi, 29 settembre 1983 (lot. 211).

Esposizioni: Ferrara-New York-Los Angeles 1998-1999 (pp. 198-200, n. 36).

Bibliografia: Longhi 1963, pp. 58-60; Mezzenti 1965, pp. 45-46, 56, note 113, 115, 116; Berenson 1968, p. 113; Gibbons 1968, pp. 58-60; A. Ballarin, in Parigi 1993, p. 442; Ballarin 1994-1995, pp. 105, 342; M. Lucco, in Ferrara-New York-Los Angeles 1998-1999, pp. 198-200; V. Romani, Il risveglio di Venere di Dosso Dossi, in Ballarin, Romani 1999, p. 58; V. Farinella, in Trento 2014, p. 184; Ballarin 2019, p. 58, fig. 175; La Collezione Cerruti 2019, p. 23, ill.

La tela raffigura, sulla destra, Gerolamo seduto, ripreso in un essenziale accampamento nella natura mentre sorregge con vigore il Crocifisso. Alle sue spalle s’intravede il leone, e poco più avanti, verso il primo piano della tela, un teschio, altro attributo canonico del santo, che, come appena sfuggito dalle zampe della belva, pare rotolato in avanti.

Non si conosce né committente né ubicazione originaria della tela, capolavoro della maturità del pittore ferrarese Dosso Dossi. Nella fototeca di Federico Zeri si conservano diversi positivi dell’opera che forniscono alcune nuove informazioni sulla sua storia collezionistica. Nel 1961 questa si trovava a Digione (anonima collezione privata) per passare poi a Parigi (da Eduardo Moratilla) e a Roma (da Giancarlo Sestieri). Il dipinto, riferito sul mercato a Giovanni Cariani, è attribuito a Dosso da Zeri, come chiarisce una sua nota manoscritta (ottobre 1961) apposta a una delle fotografie menzionate. Nel 1962 l’opera è segnalata nella raccolta di Leonardo Vitetti, tuttavia, presumibilmente prima dei passaggi descritti, appartenne a una imprecisata collezione privata inglese, poiché lì la vide Zeri, secondo quanto riferito da Francesco Federico Cerruti, ultimo proprietario dell’opera, a Mauro Lucco in occasione della mostra dossesca del 1998-1999. Infine, il 29 settembre 1983, il dipinto viene battuto a un’asta fiorentina1, entrando poi nella raccolta di Cerruti.

La tela raffigura, sulla destra, Gerolamo seduto, ripreso in un essenziale accampamento nella natura mentre sorregge con vigore il Crocifisso. Alle sue spalle, un rustico leggio su cui poggiano pesanti volumi emerge dall’oscurità. Qui Gerolamo ha trovato riparo, vicino a un corso d’acqua attraversato da un ponticello, sotto i rami di un albero fiorito. Alle sue spalle s’intravede il leone, e poco più avanti, verso il primo piano della tela, un teschio, altro attributo canonico del santo, che, come appena sfuggito dalle zampe della belva, pare rotolato in avanti. Il lato sinistro invece è dedicato al paesaggio, che svapora in lontananza, dove una città emerge dalle nebbie di una laguna immaginaria.

Il primo a rendere noto il dipinto, nel 1963, è Roberto Longhi2, che lo riconosce come autografo del Dosso. Attraverso un’aderente lettura stilistica, memorabili i «forti anticipi su Ribera» per il torso avvizzito del santo, ne propone una prima datazione attorno al 1525, accettata anche da Felton Gibbons3, nella fase in cui il Dosso tenta di conciliare la pittura veneto-giorgionesca della sua formazione con gli avanzati stimoli della maniera fiorentina già diffusa nel centro Italia (in proposito cita alcuni dipinti di Rosso Fiorentino). L’opera è poi discussa da Amalia Mezzetti4 che propone una cronologia più tarda, verso gli anni trenta, per via di certe affinità con opere di quel decennio, come il Paesaggio con Santi di Mosca. Quest’ultimo in particolare presenta un rapporto speciale con la nostra opera, Gerolamo è nella stessa posa (benché a Mosca in versione miniaturizzata), come simile è il paesaggio, tra l’onirico e il naturalista. Il San Gerolamo «in the Wilderness» è registrato anche nelle «liste» di Bernard Berenson5, edite postume da Luisa Vertova, senza specifica cronologica.

Per Alessandro Ballarin in un primo momento l’opera va riferita al 1529-15306, con altre opere che risentono del graduale ripensamento su Raffaello intercorso in Dosso in questi anni, determinato dalla presenza di Giulio Romano a Mantova. Lo stesso Ballarin poco dopo torna sul problema, ripubblicando le schede parigine nel monumentale Dosso Dossi7, fissandone la cronologia al 1528 circa. La data viene confermata da Mauro Lucco8, quando l’opera trova la sua prima esposizione pubblica. L’occasione offre la possibilità di registrare una ricca mole di informazioni sul supporto e sulla tecnica pittorica del dipinto che, visto da vicino, presenta per Lucco alcuni cedimenti formali (come ad esempio nel Crocifisso) tali da non escludere la presenza, in queste aree marginali, dell’intervento del fratello Battista Dossi. Più di recente ancora Ballarin9 ha evidenziato come il San Gerolamo Cerruti risenta dell’imponente figura del santo analogo dipinta da Pordenone nell’Immacolata Concezione (1525 c.) un tempo nella cappella Pallavicino di Cortemaggiore e oggi a Capodimonte (inv. Q86).

[Jacopo Tanzi]

1 Sotheby’s Parke Bernet, Firenze, Importanti dipinti antichi, 29 settembre 1983 (lot. 211).

2 Longhi 1963, pp. 58-60.

3 Gibbons 1968, pp. 131-132, 208-209.

4 Mezzetti 1965, pp. 45-46, 56 note 113, 115, 116.

5 Berenson 1968, p. 113.

6 Parigi 1993, p. 422.

7 Ballarin 1994-1995, pp. 105, 348.

8 Ferrara-New York-Los Angeles 1998-1999, pp. 198-200.

9 Ballarin 2019, p. 58, fig. 175.