Sant’Agostino

1439-1444

Anno di accessione 2008

Tempera, oro, argento e vernice su tavola, 44,5 x 37,2 cm (superficie dipinta 38,1 x 31,3 cm)

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Inv. CC.22.P.SAS.1444.A12

Provenienza: Chiesa di San Francesco, Sansepolcro; Collezione Sergiuliani, Arezzo (1810); Wildenstein & co., New York (1963); Collezione Edwin L. Weisl, New York (1976); Christie’s, New York, Important Old Master Paintings, Part I (vendita della collezione Weisl), 6 aprile 2006 (lot. 31); Galerie G. Sarti, Parigi (2008).

Bibliografia: Zeri 1963b, p. 44, nota 17; S. Béguin, in Parigi 1977-1978, pp. 28-34; Pope-Hennessy, Kanter 1987, p. 104; K. Christiansen, in New York 1988-1989b, pp. 84-85; K. Christiansen, in Garstang 1988, pp. 43-52, ried. in Sarti 2008, pp. 168-173, 186-189; Zeri 1988, cat. 28, p. 105 (e p. 102, fig. 1); Banker 1991, p. 30 nota 52, p. 41; M. Israëls, in Parigi 2008, pp. 174-184, 190-193; M. Israëls et al., The Reconstruction of Sassetta’s Borgo San Sepolcro Altarpiece, in Israëls 2009, vol. I, p. 192 e passim; M. Israëls, cat. 23, in Israëls 2009, vol. II, pp. 545-547; Fattorini 2019; La Collezione Cerruti 2019, p. 64, ill.

La leggera rotazione della figura, seguita dallo sguardo rivolto verso il basso, indica che la tavola era in origine collocata nell’ordine superiore e sulla destra di un più ampio complesso, ovvero il grandioso polittico opistografo di Stefano di Giovanni, detto Sassetta, installato il 2 giugno 1444 sull’altare maggiore della chiesa di San Francesco a Sansepolcro.

Maestoso e severo, sant’Agostino si affaccia dalla cornice trilobata, appoggiando sul bordo inferiore tre volumi le cui legature hanno i colori delle virtù teologali: verde per Speranza, rosso per Carità, bianco per Fede. La tiara e il prezioso piviale rosso bruno fermato da una grande fibula circolare sono i segni della dignità vescovile, che si concilia con l’abito nero dell’ordine monastico a lui intitolato. La leggera rotazione della figura, seguita dallo sguardo rivolto verso il basso, indica che la tavola era in origine collocata nell’ordine superiore e sulla destra di un più ampio complesso, ovvero il grandioso polittico opistografo di Stefano di Giovanni, detto Sassetta, installato il 2 giugno 1444 sull’altare maggiore della chiesa di San Francesco a Sansepolcro1.

Dipinto dunque in origine su entrambi i lati, il pannello, in legno di pioppo con venatura verticale, fu segato e separato dal suo «retro». Più di recente2 è stato anche ritagliato lungo i bordi della superficie dipinta, ulteriormente assottigliato e controfondato con un legno di venatura orizzontale, e quindi rimontato nella cornice originaria3. Quest’ultima aveva una terminazione cuspidata, come si deduce, in assenza di altri elementi laterali dell’ordine superiore del polittico giunti fino a noi, compreso il San Pietro che si doveva trovare sull’altro lato del Sant’Agostino4, dai rilievi in gesso dorato che ne decorano la parte alta; sono di rifacimento il cornicione superiore e due tasselli apposti sul retro5.

Dopo lo smembramento dell’ancona, avvenuto tra 1578 e 1583, le sue tavole rimasero all’interno della chiesa minoritica biturgense. Con la soppressione del convento, nel 1810 vennero vendute al cavalier Sergiuliani di Arezzo, occasione in cui dovettero essere segate per separare i due lati dipinti. Le Storie francescane si trovavano già nel 1819 a Firenze, nella collezione di Carlo del Chiaro, mentre le due tavole centrali e i quattro santi dell’ordine principale nel 1823 erano a Montecontieri, Asciano, presso il parroco Pietro Antonio Angelucci6. Bisognerà però attendere il 1963 per l’apparizione del Sant’Agostino sul mercato antiquariale, quando Federico Zeri lo riconobbe, da Wildenstein a New York, come appartenente al polittico di Sansepolcro, «in funzione o di cuspide o di elemento dei pilastri laterali»7. Proposto inizialmente come cuspide del lato frontale8, fu James Banker9, grazie al ritrovamento del documento in cui si definiva il programma iconografico, la scripta del 23 gennaio 1438 (1439 stile comune), a collocarlo correttamente in alto a destra sul prospetto tergale, sopra la scena del Lupo di Gubbio. La posizione di maggiore visibilità di Agostino rispetto agli altri dottori della chiesa, che erano dipinti alla base dei pilastri laterali, potrebbe essere dovuta alla richiesta del vicario dei frati di Sansepolcro che controfirmò la scripta del 1439, frate Agostino di Angeluccio, tenendo a mente che molti tra i santi e beati presenti nel programma iconografico costituivano i protettori di personaggi coinvolti a vario titolo nell’impresa10.

Al netto di un’estesa craquelure che segna la superficie dipinta e di alcune integrazioni pittoriche e ridorature del fondo, la qualità del Sant’Agostino è superba. Nonostante il mutamento di indirizzo della pittura sassettesca, in cui la bruciante reazione a Masaccio e all’Angelico ha ceduto il passo a un’intensa attenzione ai modi di Ghiberti11, colpiscono l’impegnato scorcio dal sotto in su, il tour de force illusionistico dei libri appoggiati su un davanzale che percepiamo soltanto, lo spazio intorno al busto creato dalla rotazione delle spalle. A tanti anni dagli esordi della pala dell’Arte della Lana (1423-1425), inesausta appare inoltre la volontà di Sassetta di misurarsi con le più raffinate operazioni sui metalli, che gli derivava dal confronto giovanile con le opere di Gentile da Fabriano12: il piviale del vescovo di Ippona, per quanto in parte ripreso in sede di restauro, è realizzato su una lamina probabilmente d’argento, minutamente incisa a trattini e poi velata con una vernice rosso bruno modulata a seconda del punto di luce. La fibula circolare, le cui pietre preziose sono ottenute con la sola forza del colore e dell’incisione a mano libera, aiutata da semplici bolli circolari (come per la mitria), è leggermente ovale, per evidenziare lo scorcio di tre quarti della figura, ed è in parte coperta dalla cocolla dell’abito agostiniano che vi si adagia con nonchalance, a testimonianza di un’esigenza ancora viva di misurarsi con i problemi di spazio e di rappresentazione del reale.

[Giovanni Giura]

1 Sul polittico di Sansepolcro si rimanda al ricchissimo volume di studi e analisi tecniche Israëls 2009, da integrare almeno con la recensione di De Marchi 2010. Sulla figura di Sassetta si veda adesso anche l’ampia sintesi di Fattorini 2019.

2 Quando si trovava presso Wildenstein a New York: L. B. Kanter, com. or. in M. Israëls, cat. 23, in Israëls 2009, vol. II, p. 546.

3 M. Israëls, cat. 23, in Israëls 2009, vol. II, pp. 545-547, con le riproduzioni e il commento delle indagini diagnostiche.

4 Banker 1991, pp. 11-58.

5 M. Israëls et al., The Reconstruction of Sassetta’s Borgo San Sepolcro Altarpiece, in Israëls 2009, vol. I, p. 192.

6 Per un riepilogo dettagliato dello smembramento e per la bibliografia relativa si veda M. Israëls et al., The Reconstruction of Sassetta’s Borgo San Sepolcro Altarpiece, in Israëls 2009, vol. I, pp. 189, 190.

7 Zeri 1963b, p. 44, nota 17.

8 S. Béguin, in Parigi 1977-1978; K. Christiansen, in New York 1988-1989b.

9 Banker 1991, pp. 11-58.

10 M. Israëls, in Parigi 2008, p. 192. Meno convincente sembra il possibile legame con Agostino di Luca Berti, mercante senese che si fece carico di portare al pittore una delle rate del pagamento dell’ancona.

11 De Marchi 2010, pp. 116-118; G. Fattorini, cat. 18, in Bacchi, De Marchi 2016, pp. 103-105.

12 De Marchi 2010, pp. 116, 117.