Scrivania con scansia, cosiddetta «Ashburton Cabinet»

Artista Pietro Piffetti

Torino, 1770 c.

Anno di accessione 1992

Attribuita da Alvar González-Palacios
230,5 x 86 x 48,5 cm

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Inv. CC.15.M.A293

Provenienza: Famiglia Baring baroni Ashburton, probabilmente per acquisto da parte del terzo lord Ashburton Francis Baring (1800-1868); esecutori testamentari del sesto lord Ashburton, Alexander Francis St. Vincent Baring, morto nel 1991; Christie’s, Londra, Important French and Continental Furniture, Carpets and Tapestries, 11 giugno 1992 (lot. 166).

Esposizioni: Venaria Reale 2018.

Bibliografia: La Collezione Cerruti 2019, p. 49, ill.

Le forme si articolano in una sinuosità melodiosa, vibrante e trattenuta al tempo stesso, consapevoli del passato quanto aperte sul futuro.

Fusto in noce e pioppo lastronato in legno rosa a rombi entro griglia di legno violetto, punteggiata da minuscole girandole a petali bicolori (avorio e bosso). Applicazioni in avorio intagliato. Specchio allo sportello. Mostrine delle serrature e pomelli in bronzo dorato. Lateralmente al cassetto maggiore della scrivania (che ha i foderi in ciliegio) sono disposti, a scomparsa, due cassettini a segreto con meccanismo a molla e lamelle di blocco. Interni: nel corpo inferiore il vano di scrittura è lastronato in radica di noce e articolato in cinque cassettini in noce d’India, perfettamente levigati e assemblati senza uso di chiodi. Al centro porta-carte a quattro scompartimenti. L’abattant presenta un rivestimento in tela cerata verde probabilmente originale. Il corpo superiore è stato rimaneggiato nell’interno per permettere l’inserimento di un incongruo fondale a specchio e piani d’appoggio.

La scrivania, attribuita a Pietro Piffetti da Alvar González-Palacios nel saggio pubblicato nel catalogo dell’asta Christie’s del 19921, è di gran lunga il più importante fra gli arredi della Collezione Cerruti. Segna una tappa nell’evoluzione stilistica di Piffetti, testimonianza esemplare di una sorta di seconda anima del grande ebanista. La prima è riconoscibile nell’invenzione di forme estreme e nel turgore dell’ornato: è il Piffetti «arcibarocco», come è stato definito, che tocca l’apice nelle scrivanie a doppio-corpo del Museo Accorsi-Ometto e del Quirinale. La seconda anima imbriglia o addirittura abbandona il parossismo inventivo e decorativo e sembra cercare il vertice più difficile dell’eleganza, quello della misura. È come se Piffetti, pago dell’aver dimostrato di quanta meraviglia sia capace l’arte dell’ebanista, voglia ora far prevalere la finesse sulla grandeur, lo squisito sullo stupefacente. Le forme si articolano in una sinuosità melodiosa, vibrante e trattenuta al tempo stesso, consapevoli del passato quanto aperte sul futuro.

Basta osservare come si è trasformato il raccordo fra i due corpi: l’idea delle due grandi volute che Piffetti aveva assorbito dal disegno di Juvarra per le librerie del Gabinetto del Re2 è ancora presente, ma ora le volute sono assorbite sul lato esterno nella continuità del fianco e sono percettibili soltanto da un lieve avvallamento. La valva di conchiglia, elemento principe del repertorio decorativo barocchetto, è passata da ornamento a elemento strutturale, connotandosi come una stilizzazione, non più come una rappresentazione naturalistica. Nel mobile compare più volte: in alto flessa all’indietro, sul piano di ribalta aperta a ventaglio e dilatata a occupare l’intera calatoia (una delle più straordinarie invenzioni di Piffetti), e ancora in piccolo ai lati della calatoia stessa. Lungo i profili del mobile una trama di sottili nastri d’avorio, resi più nitidi da un quasi invisibile controfiletto d’ebano, asseconda i movimenti e conclude la propria corsa sollevandosi in riccioli intagliati a sporgenza.

Uomo di cultura e di fede, musicista, pittore, non fu un ebanista ma «l’ebanista» come lo descrisse la trattatistica settecentesca, un artefice che si misurò con le altre arti per concentrarle nella sua.

Gli elementi decorativi scolpiti nell’avorio, in forma di tralci fioriti, rosette, conchiglie, costituiscono un’altra delle peculiarità assolute del doppio-corpo. Se i due celebri doppi-corpi di Piffetti hanno suscitato l’immagine di fantastici scettri, questo richiama un raffinato strumento musicale. Pietro Piffetti dà vita a questo arredo più o meno negli stessi anni in cui realizza la superba scrivania con ali pensili per il boudoir di un nuovo appartamento del duca del Chiablese (1767-1768)3, recentemente recuperata al patrimonio artistico italiano dopo una pluridecennale permanenza all’estero. La matrice creativa è la stessa, nel Chiablese declinata in principesca profusione di avori colorati e madreperle, qui nobilmente introversa. Lo stesso è il protagonismo, strutturale e decorativo, del tema della conchiglia; analogo il fondale a scacchiera. La scrivania Cerruti è la versione «minore» in termini di sfarzo, non di intensità espressiva4. Va ricordato che esiste un mobile del tutto simile, con misure lievemente diverse (223,5 x 77,5 x 47,5 cm), nel Detroit Institute of Arts, pubblicato da González-Palacios5. Vi si riscontra una anomalia che legittima dubbi sull’autenticità: è accertato che la carcassa del mobile è in mogano, ma il mogano non fu usato a Torino come legno di struttura prima dell’Ottocento6. Un’ulteriore pagina è da scrivere a proposito dell’Ashburton Cabinet.

Nell’asta Christie’s del 26 ottobre 2000 a Londra ne è apparsa (lot. 45) una dichiarata copia ottocentesca, realizzata in Inghilterra intorno al 1865. Il mobile, che misura 240 x 88 x 48 cm, è stato pubblicato in «Christie’s magazine» del settembre-ottobre 2000: nell’articolo di Deborah Lambert si mette in luce il fenomeno delle repliche di mobili celebri realizzate in epoca Napoléon III per rispondere al gusto di una classe media sempre più ricca, desiderosa di rappresentarsi con sfarzo e priva di rigorosa cultura. Come scrive Lambert, la copia, se fatta ad alto livello e derivante da un modello importante, non era vista con riprovazione. In particolare il cabinet fu oggetto di revival: uno dei copisti di lusso fu François Linke, fra i cui clienti c’era proprio lord Ashburton7. A quanto risulta, la scrivania di Piffetti è l’unico mobile italiano che ebbe l’onore di essere riprodotto.

Pietro Piffetti nacque a Torino nel 1701. I primi trent’anni della vita di uno dei massimi ebanisti del secolo rimangono tuttora piuttosto misteriosi. Si sa che era figlio di un oste, che nella capitale piemontese ebbe la formazione professionale (probabilmente nella bottega del veneziano trapiantato a Torino Ludovico Derossi), che vi si sposò nel 1722 e vi divenne mastro approvato nel 1723. Mentre questo volume era già in avanzata fase di preparazione, nel dicembre 2020, un nuovo studio ha aggiunto elementi alla ricostruzione dell’attività giovanile di Piffetti: C. Cagliero, La formazione giovanile di Pietro Piffetti, Regio Ebanista alla corte dei Savoia, Ivrea. Bisogna arrivare al 1730 per trovare documenti su Piffetti, in una serie di scritture custodite nell’Archivio di Stato di Torino. Vi si apprende che egli viveva e lavorava come ebanista a Roma, dove lo aveva preceduto un fratello, anch’egli stipettaio. Uno spiraglio sull’attività romana di Pietro è stato aperto dalla scoperta di due tavoli da muro i cui piani, a ricchissimo intarsio floreale, sono molto simili a quelli di una serie di console di Piffetti (tre a Torino e una a Londra). I tavoli sono dell’ebanista francese Pierre Daneau, attivo a Roma, il che rende legittima l’ipotesi che nel suo soggiorno a Roma Piffetti abbia frequentato la bottega del francese. Nel 1731 il trionfale rientro in patria, su chiamata del re che creò appositamente per lui la carica di Ebanista di Sua Maestà, prima inesistente, con la quale Piffetti scavalcò tutti i professionisti locali. L’esordio a corte fu un’opera spettacolare, gli arredi del Gabinetto per il Segreto Maneggio degli Affari di Stato, diventato poi il Gabinetto di Toeletta della Regina, per i quali si ispirò a un disegno dell’architetto di corte Filippo Juvarra. Seguirono nell’arco di oltre 45 anni 222 opere documentate per la Real Casa e un numero imprecisato per i privati, nelle quali manifestò un incandescente genio innovatore, sia in fatto di forme che di ornati, e una tecnica strabiliante.

Uomo di cultura e di fede, musicista, pittore (lo testimoniano due incisioni venute alla luce recentemente), non fu un ebanista ma «l’ebanista» come lo descrisse la trattatistica settecentesca, un artefice che si misurò con le altre arti per concentrarle nella sua. Morì nel 1777 e fu sepolto in Duomo. La sua lapide è scomparsa.

[Roberto Antonetto]

1 González-Palacios 1992 (lot. 166, pp. 190-198). Il prezzo di aggiudicazione fu 770.000 sterline, che veniva indicato sull’«Independent» del 2 agosto, in un articolo di Geraldine Norman, come uno dei prezzi notevoli di una annata magra.

2 Il disegno è custodito nella Fondazione Sella di Biella (Fondo F. Maggia, n. 548) ed è stato rivelato da Giuseppe Dardanello. Si vedano Dardanello 2001, tavv. 72, 73, e Dardanello 2007, tav. 55.

3 Antonetto 2010, vol. I, pp. 258-263.

4 Lo stesso spirito (oltre che la stessa marqueterie) si ritrova in un coevo tavolino che si è potuto rivedere recentemente nella mostra «Genio e Maestria» a oltre mezzo secolo di distanza dalla «Mostra del Barocco Piemontese» del 1963 (R. Antonetto, in Venaria Reale 2018, p. 240).

5 González-Palacios 1973, p. 67; Id. 1984, vol. II, p. 384, figg. 849, 851 e tav. LX82, p. 385, tav. LX.

6 Nell’anno 2000 la scheda del museo indicava i materiali in «Mahogany, oak, walnut, veneered with kingwood, ivory, and ebony stringing, etc.». Nel 2008 i materiali erano diventati: «Kingwood, ivory, and ebony on wood carcass, mirrors etc.».

7 Sulla fortuna di Linke e dei contemporanei fabbricanti di mobili di lusso come Henry Dasson, i Beurdeley, i Sormani si vedano Payne 2003; Sotheby’s, New York, A private Collection. Important French Furniture and Decorations, including Signed Furniture and Items from Linke Family Private Collection, 26 ottobre 2006.