Senza titolo (Penelope)

Artista Alberto Savinio

1949

Anno di accessione ante 1983

Tempera su carta incollata su tela, 24,4 x 33,7 cm

Firma in basso a destra: «Savinio»

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Inv. CC.12.P.SAV.1949.A162

Provenienza: Galleria Documenta, Torino (inv. 01345).

Esposizioni: Brerarte 1967 (n. 73, con il titolo Personaggio seduto); Roma 1978 (n. 161).

Bibliografia: Fagiolo dell’Arco 1989, pp. 144, 244 n. 75, ill.; Vivarelli 1996, p. 354, n. 1949-26, ill. (come Senza titolo e datato 1949).; Christov-Bakargiev 2021, vol. II, p. 808.

«Quelle mie pitture sono “studi di carattere”; meglio ancora “ritratti”. Perché il ritratto – il “vero” ritratto – è la rivelazione dell’uomo nascosto».

(Alberto Savinio, 1943)

In questa tempera Alberto Savinio riprende la figura di Penelope, uno dei personaggi dalla testa di animale con cui, dai primi anni trenta del Novecento, ha interpretato il tema della metamorfosi. La creatura ibrida è parte di un’iconografia generata dall’integrazione tra specie, emblema di un immaginario pittorico più ampio basato sulla fluidità concettuale e figurativa tra le categorie di organico e inorganico, biologico e macchinico, animato e inanimato. Penelope è l’esito del montaggio tra la posa ricavata da un ritratto fotografico della madre dell’artista e l’illustrazione tratta da un libro di animali della figlia bambina, fonti che il pittore ha già utilizzato insieme o singolarmente, riproponendole nel tempo in molteplici varianti1.

La testa del pellicano compare per la prima volta in un gruppo di tele eseguite a Parigi nel 1930: innestata su un nudo maschile in Retour de l’Enfant Prodigue, ricorrerà con più frequenza in versione femminile a partire da La visite, dove una formosa donna-pellicano seduta in salotto è affiancata da un’elegante compagna con la testa di struzzo2. Di qui a poco diverranno i soggetti di Le départ d’Ulysse, La fidèle Epouse e Penelope3, titoli che evocano la dimensione mitica e simbolica dell’attesa. La donna-pellicano riapparirà nel secondo ciclo di pannelli che Savinio nel 1931 realizza per l’abitazione parigina di Léonce Rosenberg, dopo la committenza del 1928 che lo aveva visto impegnato nelle sale dell’appartamento di rue de Longchamp, accanto a Giorgio de Chirico, Max Ernst, Fernand Léger, Francis Picabia, Gino Severini e altri artisti legati al collezionista e mercante, titolare della Galerie L’Effort Moderne.

Il bestiario fantastico di Savinio, popolato da uomini-gallo, giraffa e dromedario, oltre che dalle donne-volatili, travalica le categorie tassonomiche istituite nel XVIII secolo dal Systema Naturae di Linneo, a favore di un darwinismo immaginario, condiviso coi surrealisti, fondato sulle parentele biologiche e pertinente alla sfera del sogno e dell’ossessione, più che agli archetipi e alle metafore della tradizione favolistica di Esopo.

Quando ritorna sulla sua creatura-pellicano, in questa carta della fine degli anni quaranta, Alberto Savinio vive a Roma. Lasciata Parigi nel 1933, entra nel circuito artistico nazionale, esponendo in numerose mostre personali, alle Biennali di Venezia del 1934 e del 1936 e alle Quadriennali romane nelle edizioni del 1935, 1939 e 1943. Durante la guerra, l’artista rallenta la produzione pittorica a favore dell’attività grafica e disegnativa e riprende nella scrittura il tema dei suoi uomini e delle sue donne con i volti di animali. Nel libro Vita di Enrico Ibsen del 1943, avverte che «in queste forme apparentemente ibride», diverse dalle comuni caricature, è contenuta «l’espressione del carattere umano più profondo e sacro»4, un carattere che in un Autoritratto del 1936 aveva consegnato alla civetta, simbolo del notturno e del pensiero5.

Nel racconto La nostra anima, la donna dal «lungo becco da pellicano pèndulo per mezzo metro giù dalla faccia» è diventata Psiche, raffigurata in una delle due litografie contenute nel volume edito nel 1944: un nudo femminile inginocchiato, con la pelle istoriata di segni e la mano destra unghiuta in primo piano6. Il modello anticipa la Penelope della Collezione Cerruti, nella quale, come ha spiegato Pia Vivarelli nella scheda dell’opera sul Catalogo generale, «all’ironia della metamorfosi animalesca della figura della madre – tratta da una foto dell’album di famiglia – subentra la deformazione in senso mostruoso dell’immagine»7.

La straordinarietà favolosa tipica delle tele del 1930 cambia di segno nell’ambientazione in un interno borghese. Savinio gioca con i canoni della ritrattistica e li dirotta in una sequenza di contrasti. Nella stanza-paesaggio, a metà tra interno ed esterno, diurno e notturno, la madre-Penelope, seduta di profilo su una poltrona Luigi Filippo, calza una leziosa scarpetta dalla foggia settecentesca, in pendant con il lungo abito che le lascia scoperte le possenti e quasi deformi braccia maschili. «Quelle mie pitture», aveva scritto l’artista in I nostri antenati, ancora a proposito degli uomini-bestia, «sono “studi di carattere”; meglio ancora “ritratti”. Perché il ritratto – il “vero” ritratto – è la rivelazione dell’uomo nascosto»8.

[Giorgina Bertolino]

1 La fotografia della madre in giovane età, seduta in poltrona e con un mazzetto di fiori tra le mani, e le tavole del libro di animali sono state analizzate e pubblicate da Pia Vivarelli in Verona 1990-1991, pp. 132 e 268, riferite come appartenenti all’Archivio Savinio, Roma.

2 Vivarelli 1996, rispettivamente, pp. 102 n. 1930-5, 109 n. 1930-44.

3 Ibid., rispettivamente, pp. 109 n. 1930-45, 111 n. 1930- 1931 e n. 1930-1931-2.

4 Savinio 1979, pp. 83, 84.

5 Il dipinto appartiene alle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Vivarelli 1996, pp. 278-279.

6 A. Savinio, La nostra anima [1944], in Tinterri, Italia 1999, p. 527. Le due litografie, dal titolo Amore e Psiche, erano inserite nella prima edizione di La nostra anima, volume in 300 esemplari firmati, stampati da Documento editore, Roma, per Bompiani, Milano. Si veda Fiesole 1981, p. 161.

7 Vivarelli 1996, p. 354.

8 A. Savinio, I nostri antenati [1943], in Savinio 2004, p. 25.