
Al secondo piano dell’Edificio Castello troviamo sale decorate che appartengono a differenti periodi storici. Se per la maggior parte degli ambienti la decorazione risale ai Duchi d’Aosta che ricevettero il Castello e le sue pertinenze in appannaggio nel 1792, vi sono delle sale che risalgono al periodo juvarriano e una a quello seicentesco del periodo castellamontiano. Qui si trova anche lo spazio più grande dell’intero Museo, che possiede l’elemento strutturalmente interessante, ovvero la grande volta nervata a padiglione della sala 18, volta che non è mai stata decorata.
Sala 33
Sala di Carlo Emanuele I

Qui nel 1562 nacque Carlo Emanuele I, figlio del duca Emanuele Filiberto e di Margherita di Valois. La volta della sala, ampiamente danneggiata nella parte pittorica, presentava un motivo a rosoni, ad opera di Guglielmo Lévera, mentre al centro Giovenale Bongiovanni dipinse una scena, ancora visible nel 1936, descritta come “La Fama che pubblica alla Gloria le virtù eroiche dè Reali Principi accompagnata dalla Magnificenza, dal Valore e dalla Liberalità:” Agli angoli le iniziali, in stucco, di Carlo Emanuele I, sormontate dalla corona, di inizio ‘700. La decorazione neoclassica a lesene ioniche binate viene progettata da Carlo Randoni. Gli stucchi della volta e delle pareti sono opera della bottega di Giovanni Marmori realizzati nel 1794. Importante il camino in stucco con trofei, armi, putti e il motto dei Savoia: F.E.R.T., che riecheggia esempi inglesi con Syon House. Ai lati due consolles, progettate dal Randoni stesso e realizzate dallo scalpellino Giuseppe Marsaglia. La pavimentazione attuale, in seminato veneziano, è un rifacimento fedele per materiali e colore a quella che venne realizzata nel 1793 dal mastro veneziano Leopoldo Avoni. La sala, seriamente danneggiata, venne restaurata seguendo il progetto dell’architetto del Duca d’Aosta, come pure il pavimento, praticamente scomparso.
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La nascita di Carlo Emanuele I
“L’enfant serait un fils qui se appellerait Charles et qui serait le plus gran capitaine de son siècle” questa la profezia di “Michele Nostrodamo” “un perito de’secreti della Natura, venuto da Selone in Provenza” a Rivoli per visitare la Duchessa di Savoia, Margherita di Valois. La principessa, sposa di Emanuele Filiberto di Savoia, aveva 35 anni e per l’epoca era giudicata inadatta a procreare. Contro ogni previsione Carlo Emanuele I nasce a Rivoli il 12 di gennaio 1562, una nascita “in coram populo”, ovvero davanti a dei testimoni tra cui gli Ambasciatori di Venezia, Francia e Malta e il Duca di Némours, La coppia ducale era a Rivoli dal 1561, con tutta la corte, in attesa di trasferirsi a Torino, nuova capitale del Ducato. Emanuele Filiberto si recò nella Chiesa di San Domenico in Rivoli dove fece cantare un Te Deum, alla fine del quale, ritornando verso il Castello, notò nel cielo fosse apparso “un fuoco insolito”come segno del miracolo appena avvenuto. In Biblioteca Reale a Torino è conservato il “Pronostico per Carlo Emanuele I”, chissà, forse proprio redatto dal famoso Nostradamus.
Sala 32
Sala dei Concerti

Grande ambiente che comunicava con l’appartamento della duchessa e con quello del duca oltre che con le camere della principessa Maria Beatrice. I restauri, realizzati negli anni passati, hanno sottolineato che i trumeaux, le alzate lignee che ospitavano specchi e dipinti, decorate con cascate di fiori e volti femminili appartengono, al contrario, al periodo juvarriano. Carlo Randoni, nel gennaio 1793 fece il “Disegno della decorazione della Camera di Parata al piano superiore uniformandosi allo stile delle ricchissime sculture delle trumeaux, e stucchi già fatti eseguire dal D. Filippo Juvara in detta Camera” aggiungendo i trofei d’arme delle sovrapporte. Queste parti lignee vennero dipinte in accordo con la volta in tonalità di “grigio”, “morello”,”giallo canarino”, “verdesino”. L’architetto realizzò, inoltre, il disegno della volta, dipinta dai fratelli Torricelli seriamente danneggiata a causa di infiltrazioni d’acqua. Ai quattro lati, altrettanti ovali nei quali sono dipinti i busti dei primi conti sabaudi, Beroldo il Sassone, Umberto I, Oddone di Savoia-Moriana, e Amedeo I. Oggi rimangono visibili soltanto Beroldo e Oddone, esempio della grande abilità dei pittori nell’arte del trompe-l’oeil.
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Beroldo il Sassone Jean d’Orreville detto Cabaret venne incaricato da Amedeo VIII, primo duca della dinastia sabauda, di studiare le origini della propria famiglia. Egli, consultando gli archivi, individuò, come padre del Conte Umberto Biancamano, il duca Beroldo. Attorno a questa figura di glorioso e valoroso condottiero viene intessuta una leggenda che narra di un adulterio e della difesa dell’onore del suo signore e della peregrinazione di Beroldo da una corte all’altra, sino a mettersi a servizio di Bosone conte di Arles, dove poi morirà. Il figlio Umberto ebbe dall’Imperatore la contea di Moriana. |
Sala 28
Camera d’Udienza o Sala delle Corone, Appartamento del Principe di Piemonte

La sala apparteneva all’Appartamento del Principe di Piemonte e presenta decorazioni di due fasi differenti della vita del Castello. La volta, mai affrescata, è delimitata da una fascia in stucco, datata 1717, opera di Carlo Papa, da Juvarra “stimato per persona Capace, et sperimentata”. Il motivo è caratterizzata da conchiglie e cespi vegetali, iniziali sormontate da corone, un collare con nodi sabaudi e rose, oltre che alle iniziali di Vittorio Amedeo II. Il fregio della decorazione della Camera d’Udienza dell’Appartamento del Principe di Piemonte ricorda i modelli di Juvarra visibili nel Libro di Disegni… per ornati di Candelabri. Queste sale saranno tra le prime a cui attende l’architetto messinese a Rivoli. Il registro sottostante, risalente alla fine del Settecento, presenta trofei di foglie e fiori. Alle pareti lacerti della carta da parati, mentre la decorazione lignea, sia delle sovrapporte che dei due trumeau è conservata in modo frammentario, presentando, nel primo caso le iniziali del re e nel secondo erme e decorazioni vegetali. Alle pareti vi erano tele a olio raffiguranti paesaggi di caccia, rovine classiche, marine, scene bucoliche opera di Angela Maria Palanca e Francesco Antoniani. Queste pitture erano cartoni per arazzi per la regia manifattura d’arazzi di Torino nata nel 1737, su modello di quella dei Gobelins di Parigi, per volere di Carlo Emanuele III.
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Cartoni per arazzi
Nel 1737 grazie a Carlo Emanuele III nasce a Torino Regia Manifattura d’Arazzi di Torino, benché l’attività fosse iniziata sotto Vittorio Amedeo II, in occasione dei lavori di rinnovamento di Palazzo Reale ad opera di Filippo Juvarra e a seguire di Benedetto Alfieri. Il primo pittore a lavorare per l’arazzeria sarà Claudio Beaumont, che sceglie temi eroici, dall’importante significato allegorico, desunti di drammi in musica., come le Storie di Alessandro, o le Storie di Ciro, ai quali apparteneva la Battaglia di Cunaxa, cartone per arazzo era ancora presente a Rivoli nel 1926.opera del Molinari. La pratica prevedeva, infatti, la presenza di due pittori, uno che realizzava i bozzetti, mentre l’altro artista aveva il compito di trasportare i bozzetti sui cartoni, che una volta usati, essendo olio su tela, diventavano quadri per le residenze reali. Fra i pittori i cui cartoni erano a Rivoli troviamo Francesco Antoniani, milanese che, una volta arrivato a Torino, inizia a lavorare al Teatro Regio nella stagione 1741-42, insieme ad una schiera di altri artisti , fra cui il figurista Bernardino Galliari. A lui sono attribuite due serie di cartoni per arazzi le Marine e le Architetture. Queste ultime, realizzate tra il 1745-48, propongono il classico soggetto delle rovine, con obelischi, colonne, statue e urne immerse in una natura sempre più presente, e dove si aggirano soldati, figure femminili e ragazzi. Una di questi viene fotografato da .Pedrini tra il 1933 e il 1942 nella Sala delle Corone, dove sappiamo essere presente. Da questa immagine si nota come la carta da parati, oggi soltanto composta da lacerti, sia assolutamente integra, come anche la sovrapporta, recante le iniziale di Vittorio Amedeo II ancora presente.
Sala 29
Sala degli Stucchi, Camera di parata, Anticamera dell’Appartamento del Principe di Piemonte

La prima anticamera dell’appartamento, realizzato ad inizio 700 per il Principe di Piemonte, Vittorio Amedeo Filippo, primogenito di Vittorio Amedeo II, morto a soli 16 anni nel 1715. La decorazione è in stucco, le prime eseguite da Pietro Somasso e presenta ai quattro angoli, uniti da un festone continuo a foglie di quercia, le iniziali del Duca attorniate da un serpente che si morde la coda, le trombe e le ali della vittoria, il tutto sormontato dalla corona regale. Nella sala non ci sono altre tracce di decorazione. Alla fine del ‘700 questa sala faceva parte dell’appartamento del Duca d’Aosta Vittorio Emanuele I.
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L’Uroburo
Rappresentato iconograficamente come un serpente nell’atto di mordersi la coda è il simbolo dell’eternità creando un circolo di morte e rinascita. Spesso l’immagine è accompagnata dalla scritta en to pan (l’Uno, il Tutto) e affiancata alle divinità e ai simboli del tempo. A partire dal Rinascimento l’immagine avrà grande fortuna tanto da essere usata da principi e signori per le loro medaglie. Con il cristianesimo subentrerà l’immagine del tempo lineare che inizia con la creazione del mondo e termina con il Giudizio Universale. Filippo Juvarra userà lo stesso simbolo nella decorazione della volta dello scalone di Palazzo Madama, dove, a differenza del Castello di Rivoli, l’uroburo attornia le iniziali di Maria Giovanna Battista seconda Madama Reale.
Sala 30
Gabinetto delle quattro parti del Mondo, Sala di Pigmalione

La seconda anticamera dell’appartamento del Principe di Piemonte, primogenito di Vittorio Amedeo II, Vittorio Amedeo Filippo, morto a soli sedici anni. L’ affresco della volta, è opera di Giovanni Battista Val Loo, e raffigurava il mito di Pigmalione re di Cipro e Galatea. La scelta del soggetto risiede probabilmente nel fatto che i Savoia ostentavano anche il titolo di Re di Cipro. Il restauro eseguito in anni recenti, ha messo in evidenza ciò che rimane della volta, danneggiato dalle infiltrazioni d’acqua, ma ancora interamente ben visibile in fotografie degli anni ’30. Parte importante della sala, il fregio in stucco, ad opera di Carlo Papa e datato 1717. Il ricco repertorio simbolico, alternato a festoni e ghirlande, raffigura le Quattro parti del Mondo .Sui lati la corona di Principe di Piemonte e il collare dell’Ordine della Santissima Annunziata, mentre ai quattro angoli si trovano i simboli dei quattro continenti. Sopra ad una finestra due puttini con una torcia che ci rimandano all’allestimento
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I geroglifici
“Li geroglifici, de i quattro paesi del mondo che si darà il disegnio distinto di caduno con i festoni che l’ornano di putti e fiori e altre cose che si producono in dette parti del Mondo tutto bene lavorato di rilievo”, così recita l’Istruzione per l’ornamento di stucco da farsi nel Secondo Gabinetto di S.A.R. nel Palazzo di Rivoli. Nel progetto decorativo d’interni di Filippo Juvarra la cornice è sempre più d’importante, e i “geroglifici” sono un vero e proprio racconto per immagini, in questo i quattro continenti. Quelli di Rivoli sono tra i primi che Juvarra elaborerà in terra piemontese, utilizzandoli poi, tra l’altro a Venaria Reale e Palazzo Reale. Curiosamente lo stesso soggetto lo ritroviamo sempre a Rivoli al primo piano in una sala affrescata a fine secolo dai pittori Torricelli. Recenti studi hanno messo in evidenza che per una committenza privata, i banchieri Laugier, lo stuccatore Giuseppe Bolina, tra il 1770 e il 1775, riproporrà gli stessi soggetti nel salone della loro tenuta nella campagna di Racconigi, la tenuta i Berroni.
Sala 31
Camera da letto del Principe di Piemonte

La sala ha la volta affrescata da Giovanni Battista Van Loo nel 1719. Il pittore francese era stato richiamato appositamente da Roma da Filippo Juvarra per affrescare Apollo attorniato dal Tempo, l’Abbondanza e Flora. Ai quattro lati le stagioni. Il fregio in stucco è di Pietro Filippo Somasso, datato 1717, presenta gli attributi delle divinità dell’Olimpo: Zeus, Nettuno, Mercurio e Vulcano. Alcuni particolari degli abiti delle stagioni e degli altri personaggi vengono realizzati in stucco per cui diventano tridimensionali. L’affresco, ripassato, venne dipinto dopo quello della sala precedente, che al contrario è andato pressoché perduto. Ricollocata recentemente la sovrapporta con Amorini musicanti, probabilmente una parte di dipinto molto più grande riutilizzato. Si suppone che l’attuale collocazione sia avvenuta dopo il periodo napoleonico, purtroppo non si conosce l’autore, che si può definire genericamente come pittore di corte, ma certamente un personaggio di grande abilità. Non più presente la decorazione parietale, che si suppone sia stata in tessuto.
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Giovanni Battista Van Loo (1684-1745) . Appartenente ad una dinastia di pittori francesi, di origine olandese, passerà una buona parte della sua vita a viaggiare per l’Europa. Nel 1712 si trasferisce a Torino al servizio dei Savoia. Tra il 1738 e il 1742 sarà a Londra come protetto di sir Robert Walpole, per poi ritornare prima a Parigi e poi a Aix en Provence dove continua la carriera come ritrattista, tra il 1736 e il 1746 viaggia a Madrid come pittore di Filippo V, e fonderà l’Accademia di San Fernando. Morirà il 1745 ad Aix-en Provence, si dice con il pennello in mano. Uno dei suoi figli, con grande probabilità Charles Amédée Philippe nasce a Torino, il fausto evento è riscontrabile anche nei pagamenti per il Castello di Rivoli, infatti, il 1 settembre 1719 a Pietro Collo, “provveditore del companatico della Casa di Sua Maestà” vennero date 80 lire per una regalia in occasione del battesimo tenutosi il 27 agosto dello stesso anno “d’un figlio del signor Pittore Vanlò” che ebbe come padrini di battesimo S.A.R. e S.A Serenissima la Principessa di Carignano, rappresentati dal Conte di Borgaro e dalla Baronessa di Choix. |
Sala 27 Sala Cinese

Come per le altre residenze sabaude anche Rivoli possiede un salotto cinese, progettato nel 1793 da Carlo Randoni, che ne aveva anche previsto i mobili, come si evince da un disegno conservato presso l’Archivio di Stato di Torino. L’ambiente fa da raccordo tra l’appartamento della Duchessa d’Aosta e quello del Principe di Piemonte e presenta una decorazione interamente “alla Chinese”. Le pitture della volta e le parti lignee sono di Francesco Rebaudengo, imitanti un padiglione, con sulla volta un telo aperto verso il cielo dove vola dei dragoni. Ai lati scene di vita cinese, riprese dalle carte da parati del Castello di Racconigi, dove il pittore operò nelle sale cinesi dei principi di Carignano. Alle pareti colonne intagliate da ebanisti dell’entourage del Bonzanigo: Giovanni Antonio Gritella, Giovanni Fumario e Giuseppe Gianotti, che realizzano i cespi di fiori, oggi non più presenti, le che le cornici coronate da piccole teste di cinesi dal caratteristico cappello a punta, oggi non più presenti, all’interno si ipotizzano o carte cinesi, o specchi oggi non più presenti. Ancora presente il paracamino in legno che presenta come decorazione una scenetta dal gusto orientale: un nobiluomo, il suo servitore che gli fa ombra con un ombrello, un altro intento a preparare il te e un pappagallo sul suo trespolo. La sala, molto danneggiata sia per quanto riguarda la volta che per le pareti, presenta l’originale pavimento ligneo. Questo tipo di pavimentazione interessava praticamente tutte le altre superfici del piano.
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Alla China
A partire dal 1600 l’Europa soccombe al fascino dell’Oriente, grazie alla Compagnia delle Indie, giungono nel Vecchio Continente merci preziose quali lacche, sete, carte e porcellane, che poco a poco vanno ad abbellire le dimore di re e principi. Questa “febbre” diede il via alla creazione, anche in Piemonte, di ambienti che riecheggiavano questi luoghi lontani. Anche i Savoia non furono esenti da questo gusto, Palazzo Reale, ad esempio possedeva tre salotti cinesi, uno realizzato da Filippo Juvarra, un altro di poco precedente a quello del Castello di Rivoli e realizzato sempre i Duchi d’Aosta. Ad Aglié, Govone, Stupinigi, Moncalieri e Racconigi, ad esempio gli ambienti erano decorati con carte da parati provenienti dalla Cina, raffiguranti scene di vita quotidiana, fiori e uccelli o i principali cicli produttivi della seta, del riso, del tè e della porcellana. In Piemonte, come in tutta Europa, nascerà la chinoiserie, e gli artisti locali, come il Rebaudengo, attivo a Rivoli e in altre residenze, si ispireranno dagli oggetti provenienti dall’Oriente per abbellire ambienti decorati sia per la dinastia sabauda che per l’aristocrazia subalpina.
Cappella e Sacrestia

Anticipata da un piccolo vano, utilizzato come pregadio da Maria Teresa d’Asburgo-Este, la cappella, realizzata in un ambiente risalente al primo settecento, presenta interventi pittorici di Giovanni Comandù e Pietro Cuniberti, datati 1793-94, mentre la decorazione a finto marmo, le cornici in stucco dorato e gli intagli lignei sono ascrivibili a Giuseppe Ghigo. La piccola adiacente sacrestia presenta una decorazione molto semplice con motivi a vasi e ghirlande alle pareti. Grazie al Regesto documentario dell’Archivio Storico del Comune di Rivoli sappiamo che la cappella nel 1846 presentava: “Tre grandi porte a vetri a tre divisioni con chiambrane, fianchi laterali e soffitti superiori a cornici dorate con dipinti e sculture al zoccolo formanti 3 priez dieu.” Vi era un “altare sagomato, dorato e scolpito, bardella di noce al naturale, pietra sacrata, 3 carte gloria con Crocifisso ed ornati di legno dorato e scolpito”. Sopra l’altare un’ancona “su tela dipinta ad olio rappresentante la Sacra Famiglia con cornice a grandi ornati culturali e dorati” qui attribuita a Gaudenzio Ferrari, ma invece di Girolamo Giovenone. Questa pala, oggi conservata alla Galleria Sabauda venne consegnata alla Città di Torino per la Mostra del Barocco Piemontese del 1937.
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.Giovanni Comandù
(Mondovì 1746- Torino 1822)
Allievo a Roma dell’Accademia di San Luca, dove nel 1777 vince il primo premio nella seconda classe del concorso di nudo, è nel 1782 allievo del Pecheux all’Accademia di Pittura e Scultura di Torino. Negli stessi anni in cui è attivo a Rivoli, il Comandù lavora anche per il Duca del Monferrato, Maurizio di Savoia, presso il palazzo abbaziale della soppressa abbazia di Casanova a Carmagnola. Il principe che vi aveva stabilito la sua residenza incarica il Comandù di realizzare le stazioni II, III e IV della Via Crucis della chiesa. Per la chiesa di Santa Croce di Rivoli egli realizza la pala d’altare avente come soggetto il “Martirio di Santa Orsola e compagne”
Sala 22
Sala del Sorgere del Giorno

Camera grande“ da letto di Maria Teresa d’Austria-Este duchessa d’Aosta. I fratelli Rocco e Antonio Maria Torricelli nel 1793 dimostreranno tutta la loro bravura nel dipingere nella parte centrale della volta il cielo azzurro che fa da sfondo all’Aurora che lascia dietro di sé la Notte rappresentata da un vecchio barbuto infreddolito attorniato dai venti e da un putto con una torcia in mano. Nella scena compare anche Lucifero, la stella del mattino e probabilmente Espero, la stella della sera. L’architettura illusoria che completa la decorazione è sostenuta dalle finte cariatidi a grisaille nella fascia d’imposta che furono realizzate da Angelo Vacca. La boiserie, laccata e dorata, viene realizzata tra il 1793 e il 1794 dagli ebanisti Bozzelli, Gritella e Fumario, riprendendo gusti classicheggianti, assolutamente attuali per l’epoca. Le figure a monocromo sopra le porte, raffiguranti le Arti e le Scienze, sono state attribuite agli stessi Torricelli, mentre le sovrapporte, simpaticamente definite “trastulli di puttini”, riportate nella loro sede originale nel 2004, raffigurano le Stagioni, il Giorno e la Notte, nelle personificazioni di bimbi che ricordano divinità classiche. Tali tele vanno attribuite a Pietro Cuniberti. Alle pareti vi era tessuto azzurro, in pendant con quello del letto all’imperiale della duchessa, posto di fronte al raffinato camino in marmo bianco di Pont Canavese, realizzato dal lapicida Giuseppe Marsaglia con inserti in bronzo dorato opera di Simone Duguet, oggi dispersi. Dai documenti sappiamo esserci anche un sofà a tre piazze, due poltrone, sei sedie, otto sgabelli, una chaise longue, una tavola a muro, sopra i quali c’erano altrettanti trumeaux e un pregadio scolpito da Giuseppe Gianotti. Tutto questo oggi disperso.
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Giovanni Comandù
(Mondovì 1746- Torino 1822)
Allievo a Roma dell’Accademia di San Luca, dove nel 1777 vince il primo premio nella seconda classe del concorso di nudo, è nel 1782 allievo del Pecheux all’Accademia di Pittura e Scultura di Torino. Negli stessi anni in cui è attivo a Rivoli, il Comandù lavora anche per il Duca del Monferrato, Maurizio di Savoia, presso il palazzo abbaziale della soppressa abbazia di Casanova a Carmagnola. Il principe che vi aveva stabilito la sua residenza incarica il Comandù di realizzare le stazioni II, III e IV della Via Crucis della chiesa. Per la chiesa di Santa Croce di Rivoli egli realizza la pala d’altare avente come soggetto il “Martirio di Santa Orsola e compagne”.
Sala 23
Sala di Amedeo VIII, Sala dell’Incoronazione o gabinetto di conversazione

Gabinetto di toaletta della duchessa d’Aosta, “Gabinetto di conversazione… ove vi esistono le pitture antiche de’ fatti della Real Casa”come viene definito dalla relazione del 25 luglio 1702, questo ambiente, è di grande importanza, perché è l’unico conservato della decorazione seicentesca, andata perduta a causa dell’incendio provocato dalle truppe francesi del Maresciallo Catinat nel 1693. La decorazione, ad opera del luganese Isidoro Bianchi e dei suoi figli, a Rivoli tra il 1623 e il 1628 presenta, incastonate in un’architettura illusoria, le scene celebranti la figura di Amedeo VIII, primo duca della dinastia nel 1391 che, dopo aver abdicato, nel 1439 è incoronato antipapa Felice V al Concilio di Basilea, chiude il ciclo, la sua successiva rinuncia al soglio pontificio nel 1449. Al centro i simboli ducali e papali attorniano lo scudo sabaudo sorretto dalla pace e dalla giustizia, non soltanto virtù del duca, ma anche auspicio del committente Vittorio Amedeo I. Le sue virtù, le arti e le scienze sono protagoniste di una decorazione che presenta un’architettura illusoria, simboli e figure a grisaille .Alle pareti le allegorie dei fiumi del nuovo ducato : la Savoia e il contado di Nizza con il fiume Var e l’Iverdon, la Savoia e il Ducato d’Aosta con il Rodano e l’Isére, il Chiablese e ancora il Rodano che all’interno del ducato era navigabile, la Dora Baltea e Aosta. A chiudere i riquadri con il Po, Cuneo e la Bormida. La decorazione termina con uno zoccolo dipinto a falso marmo. Sul quale si possono intravedere graffiti fatti dai soldati francesi durante la devastazione di fine seicento. Vittorio Amedeo II, conscio dell’importanza simbolica della sala fece aggiungere l’aquila simbolo del regno siciliano e le sue iniziali. La sala, parte integrante dell’appartamento della Duchessa d’Aosta, venne mascherata da un “padiglione di stoffa rigata con festoni e fiocchi”.
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ISIDORO BIANCHI
(Campione 1581- qui nel 1662)
Pittore luganese lo vediamo a partire dal 1617 attivo presso la Galleria grande di Palazzo Reale a Torino, impegnato sino a certamente il 1642, con i suoi figli nelle grandi imprese decorative dei Castelli di Rivoli e del Valentino. In quell’anno scriverà a Cristina di Francia, Madama Reale, di non sentirsi più in forze per continuare a prestare servizio per la corte sabauda. Per la residenza sulla collina morenica il suo lavoro si inseriva in un progetto volto ad esaltare la dinastia sabauda e le glorie di alcuni suoi membri: Amedeo VII ( due sale), Amedeo VI e Amedeo IV seguendo il programma di Emanuele Thesauro. Oggi ci rimane soltanto la sala dedicata ad Amedeo VIII e lacerti, non visibili al pubblico, del “gran salone” che si riferiscono ai “Combattimenti di Amedeo V di Savoia a Rodi”. Una rappresentazione di questa decorazione la ritroviamo nell’incisione a corredo del dramma musicale “La Ramira” opera di Bartolomeo Kilian di Augusta. A riconoscimento del suo lavoro l’8 luglio 1634 viene insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Sala 24
Gabinetto del Finto Legno

L’ambiente, usato come “Gabinetto a Studio “ della Duchessa d’Aosta ha una decorazione a tempera caratterizzata da trompe d’oeil di legni pregiati, che non vennero usati perché difettosi. Sulla volta, un motivo ottagonale, ospita personaggi mitologici. Al centro troviamo disegno geometrico a stella, contornato da pentagoni che recano otto medaglioni con coppie di divinità Giove e Giunone, Apollo e Diana, Mercurio e Minerva, Marte e Venere e al centro danzatrici di gusto pompeiano che tengono una collana di perle, fermata dal nodo sabaudo e dalle iniziali dei duchi Vittorio Emanuele e Maria Teresa. Alle pareti, vi erano delle stampe inglesi e francesi, che vennero asportate durante l’occupazione napoleonica e sostituite durante la Restaurazione da tele ispirate agli stessi soggetti attribuite a Luigi Vacca. Delle sovrapporte previste solo una è presente, sebbene fortemente danneggiata. Probabilmente raffigurava “Una regina con due bambini e un vaso di fiori “. Attesero alla decorazione della sala i fratelli Rocco e Antonio Maria Torricelli, in collaborazione, probabilmente, con Pietro Palmieri, anch’egli maestro della decorazione illusionistica, che realizzò le sovrapporte originarie. L’ispirazione per questa sala deriva dall’analogo ambiente di Palazzo Grosso a Riva Presso Chieri, dove hanno lavorato i Torricelli. La sala era arredata con sei “cadreghe”, sei “taboretti”, due grandi sofà “di bosco di rosa, e di violetta per imitare il placcaggio”. Nell’ 800 venne usata come sede della Biblioteca Civica dalla città di Rivoli
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Alla fine del Settecento Torino e il Piemonte si connotano per una riscoperta dei diversi stili decorativi, dall’Antico al Medioevo e all’Oriente. Tra gli esempi più interessanti: il casino alla Venaria del Marini per il Marchese Falletti di Barolo, con la sua Sala Egizia, oggi non più esistente, i progetti di Giacomo Pregliasco per Giuseppina di Lorena a Racconigi, le decorazioni del Palazzo Mazzetti di Riva Presso Chieri volute da Faustina Mazzetti che vedranno impegnati artisti come i Torricelli e il Palmieri che poi saranno attivi a Rivoli per i Duchi d’Aosta. Una nuova stagione stilistica nata alla fine dell’Ancien Régime che guarda all’Inghilterra e ad architetti come Robert Adam e ai loro progetti per a buona aristocrazia britannica dove sale pompeiane o etrusche erano parte integrante degli appartamenti. L’ispirazione per questa sala deriva dall’analogo ambiente di Palazzo Grosso a Riva Presso Chieri, dove hanno lavorato i Torricelli.
Sala 25
Sala del Velo già Appartamento dei duchi d’Aosta, Sala da bagno, Gabinetto per la libreria, Gabinetto di trattenimento, Gabinetto delle garze.

“Gabinetto di garza”, Gabinetto per la libreria, Gabinetto di trattenimento tante definizioni per questo, piccolo ambiente. Sicuramente il riferimento principale è il velo drappeggiato sul fondo azzurro affrescato sulla volta, attribuito ai fratelli Torricelli. Molto raffinata la decorazione immediatamente sotto, che presenta preziosi vasi, collane di perle che si alternano a spighe di grano, simbolo di abbondanza. Le cornici lignee, ancora visibile, vennero finemente intagliate da Giò Battista Fumari con motivi a fusarole, perle e foglie d’acqua. Alle pareti, oggi del tutto scomparsa, una carta dal motivo rigato color blu argenteo, fornita come le altre del Castello, nel 1794, dal libraio torinese Carlo Maria Toscanelli. Nel 2004 è stata riposizionata una delle due sovrapporte opera di Antonio e Giovanni Torricelli, rappresentante Le tre grazie, mentre l’altra raffigurante Bacco e Arianna è andata perduta, entrambi erano ancora al nel 1936
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Un velo per l’affresco
“Due falzoletti di garza e n.9 di garza Inglese di diverse qualità, stata rimessa alli Pittori Fr.li Torricelli acciò q.ti se ne servissero di modello nelle pitture “ acquistati dal mercante Sorelli e Marentin per un totale di 39 lire “. I fratelli Torricelli, attenti ad ogni particolare, per essere più veri del vero, si serviranno di questi veli per l’affesco della volta. Curiosa è anche la scelta dell’arredamento, per questo viene stilato un elenco di “Mobili da provvedersi per il Reale Castello di Rivoli”.. In questo ambiente si prevedeva di collocare quattro “cadreghe”, due “taboretti” e anche un “letto alla turca”, ma venne però fatto, giustamente, presente che questo spazio “non sarà troppo praticabile per essere il sito alquanto angusto”. Purtroppo poco ci è dato di sapere rispetto al reale stato dell’arredamento, in un regesto del 1846, non si citano mobili, ma la si chiama sala del bagno, prendendo spunto da una delle definizioni, quella di toeletta.
Sala 26
Sala dei Falconieri già Appartamento dei duchi d’Aosta, Gabinetto a fiori, animali e putti

Nel 1792 la sala viene citata come “Gabinetto da toeletta, con piccola alcova annessa” ricoperto da “Stoffa all’Ottomana con padiglione sopra. Tappezzeria di basino turco di fondo giunchiglia con righe lilla vivace, contornate di piccole righe di bianco argento”, che purtroppo è andata perduta. La sala, oggi interessata dall’opera dell’artista Lothar Baumgarten, presenta la volta oggi pesantemente ridipinta, un soggetto a “fiori, animali e putti”immersi in una scena arcadica con edifici classicheggianti, e un palazzo, che ricorda molto il Castello nel progetto juvarriano realizzata tra il 1793 e il 1794dal pittore Angelo Vacca, specialista nella pittura di animali. Lo zoccolo è nuovamente caratterizzato da animali quali cagnolini, gatti e animali da cortile. Le sovrapporte ospitano dei medaglioni dipinti attribuiti ad Angelo Vacca senior ricollocati nella loro sede nel 2004 . Essi formano un piccolo ciclo a soggetto amoroso e mitologico. All’interno di medaglioni, dipinti a grisaille, incorniciati da fiori e selvaggina, rovine architettoniche che narrano le storie di Giove e Ganimede, Diana ed Endimione, Venere ed Adone. La decorazione rispecchia l’attenzione del duca d’Aosta per il gusto decorativo inglese di cui gli Adam sono stati fautori.
Lo sapevi?
La volta della sala, eco del progetto juvarriano
La volta della sala dei Falconieri presenta personaggi classicheggianti, animali e un tempietto, ma anche la raffigurazione di un edificio coronato da una balaustra , statue e trofei, che ricorda molto da vicino il progetto di Filippo Juvarra per il Castello di Rivoli, riscontrabile in altri suoi edifici come, ad esempio, a Palazzo Madama. Il progetto dell’architetto messinese per Vittorio Amedeo II, parte da quello elaborato da Michelangelo Garove, urbanista e architetto attivo a Rivoli, tra il 1703, subito dopo le devastazioni dell’esercito francese e il 1713, anno della sua morte. Juvarra, riprende i lavori nel 1718, e a corredo dei progetti egli fa realizzare da Gian Paolo Pannini, Andrea Lucatelli, Marco Ricci e Massimo Teodoro Michela, dei grandi quadri che rappresentano gli esterni del Castello su tutti i lati, l’atrio e il grande salone da ballo. Quattro di questi, del Pannini e del Lucatelli provenienti da Roma, via mare, rischiarono di non giungere mai in Piemonte, perché la nave che li trasportava si imbatté in una tempesta e rischiarono di essere buttati fuoribordo. A corredo, poi, il modello ligneo realizzato da Carlo Maria Ugliengo nel 1718 e rimasto al Castello sino al 1740, quando venne trovato nella legnaia della Caserma. Esso oltre che essere corredato dai giardini, andati persi durante la guerra, è apribile e presenta sulle pareti degli schizzi tracciati a matita e a penna dallo stesso Juvarra raffiguranti le decorazioni da realizzarsi. Evidente la trasformazione in scenografica residenza e simbolo della monarchia assoluta, tra le prime novità, l’abbattimento della Manica Lunga, seicentesca Pinacoteca Ducale, per costruite al suo posto accogliere un’ala speculare a quella già presente. Al centro un corpo più alto per ospitare l’atrio e al piano nobile il grande salone da ballo, quest’ultimo mai realizzato.
Sala 21
Sala di Udienza o dei Putti già appartamento dei Duchi d’Aosta, Camera d’Udienza della Principessa Beatrice

La camera da letto della Principessa Maria Beatrice, primogenita dei Duchi d’Aosta presenta, sulla volta una decorazione caratterizzata da gruppi di putti intenti a giocare o a suonare, e che si affacciano da una balaustra, opera del pittore monregalese Giovenale Bongiovanni, datati tra il 1793 e il 1794. Sui due lati corti, vi sono altrettanti riquadri con i simboli dei reali genitori: il leone della Val d’Aosta e l’aquila a due teste degli Asburgo. Nella sala vi sono sovrapporte e dipinti per trumeau appartenenti allo stesso periodo, sempre di Giovenale Bongiovanni, riportati al Castello nel 2004 . I dipinti che, recenti studi, hanno sottolineato avere delle non comuni qualità pittoriche, hanno come protagonisti, fanciulle vestite da contadine, insieme a bambini e giovani innamorati, iconografie tipicamente iscritte nel gusto arcadico settecentesco. Le pareti hanno ancora lacerti di carta da parati a motivi floreali dello stesso periodo. Da una delle finestre della sala si può vedere il balcone settecentesco in ferro battuto con il monogramma di Vittorio Amedeo II, datato tra il 1711 e il 1713 nel periodo in cui lavora a Rivoli Michelangelo Garove.
Lo sapevi?

Maria Beatrice di Savoia
(Torino, 1792 – Cattajo, 1840)
Primogenita di Vittorio Emanuele e Maria Teresa d’Asburgo-Este, destinata ad una vita privilegiata, vive in un frangente storico certamente drammatico per i Savoia e per tutta l’Europa, a cavallo tra la Rivoluzione francese e la Restaurazione. Il 20 giugno 1812 Maria Beatrice sposa, con dispensa papale, lo zio materno Francesco d’Asburgo-Este. Il marito diviene il 14 giugno 1814 Francesco IV, duca di Modena, Reggio e Mirandola. Durante il Congresso di Vienna si parla di una possibile salita al trono del Regno di Sardegna di Maria Beatrice, sebbene in Casa Savoia dal 1307 salissero al trono solo maschi. Alla fine nella seduta del 3 dicembre 1814 si sancì che la successione era maschile e per ordine di primogenitura sia nel ramo regnante che quello dei Savoia-Carignano, per cui se non vi fossero stati eredi sarebbe divenuto re di Sardegna Carlo Alberto. Curiosamente Maria Beatrice per i cattolici britannici era formalmente la legittima sovrana di Scozia e Inghilterra, diritti ereditati dai Savoia tramite il lontano cugino Enrico Benedetto Stuart, cardinale di York. Appassionata di pittura e letteratura compose due libretti per opera lirica il Ruggiero e l’Antigono e come molte sovrane della sua epoca si dedicò alle opere di beneficienza.