Sale Storiche

Primo Piano

Castello di Rivoli

Sala 8
Camera di parata o delle Gabbie già Anticamera dell’Appartamento del re Vittorio Amedeo II

Spiritello Sala delle Gabbie

Questo ambiente è il più ampio dell’appartamento di Vittorio Amedeo II, i lavori per la decorazione iniziano nel 1723 e vi attende il pittore romano Filippo Minei, specializzato in grottesche e chiamato direttamente da Filippo Juvarra. L’architetto messinese anticipò la somma necessaria per il viaggio e per il vitto dell’artista pur di averlo presto a Torino. La sua opera terminerà il 22 maggio 1724 quando gli verrà versata la somma di 3900 lire e gratificato con un viaggio a Roma. Il Minei, che lavorerà sia a Palazzo Reale che a Villa della Regina, realizza una decorazione che ha come soggetto la caccia “a grottesche ed arabeschi”. In tempietti classicheggianti trovano posto le cacciatrici, tutto intorno gabbie sospese con uccelli di varia specie, attorniate da animali, figure fantastiche e scene di caccia tra animali. Al centro della volta, Diana-Selene solca il cielo su un carro trainato da cervi che trasporta la luna piena, preceduta dal Crepuscolo e seguita dalla Sera. Attorno altre figure mitologiche riferite a Selene, altro nome della dea della Caccia. La sala presenta delle sovrapporte raffiguranti architetture in rovina con personaggi, opera di Giovanni Francesco Fariano, Pietro Gambone e Domenico Olivero, il quale dipinse anche pitture di “paesi” sulle porte, oggi perdute. Alla fine del ‘700 appartengono le decorazioni delle cornici a motivi vegetali, terminanti in un nodo, adatte ad ospitare ritratti. La sala conserva ancora gli sguinci delle finestre e il lambriggio ligneo connotato da una decorazione a grottesche che rispecchiano quelle della volta.

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Lo stile alla Berain

“On ne faisait rien, en quelque genre que ce fût, sans que ce soit dans sa manière où qu’il en eût donné les desseins” ebbe a dire Jean Mariette di Jean Bérain Dessinateur de la Chambre et du Cabinet du Roi animatore dei Menus Plaisirs di Luigi XIV. Giunto a Parigi nel 1651 si dedica all’incisione per poi orientarsi verso una produzione che va dai cartoni per arazzi per la manifattura di Beauvais, le porcellane, l’oreficeria, l’ebanisteria, i costumi per i balletti del Re Sole passando per i giochi d’artificio, i caroselli e la decorazione della flotta reale. Lo stile “alla Bérain” è ispirato alle grottesche e a Raffaello e si contraddistingue per la ricchezza di arabeschi, dettagli, sbuffi, pennacchi, personaggi mitologici e fantastici, ornamenti sempre perfettamente simmetrici. In alcuni pannelli decorativi datati 1680 e conservati presso il Cabinet des Estampes della Biblioteca Nazionale di Parigi vi sono due pannelli dedicati ad Apollo e Diana in cui compaiono i modelli utilizzati da Filippo Minei per la Sala delle Gabbie.

Sala 7
Sala di Orfeo e delle Menadi

Sala di Orfeo e delle Menadi

L’Anticamera dell’Appartamento del Re, è l’ultima ad essere affrescata durante il cantiere juvarriano, con interventi sotto Carlo Randoni. La volta a grottesche è opera di Filippo Minei e Nicolò Malatto, al centro il mito di Orfeo e le Baccanti che stanno danzando. I due bei camini in marmo policromo sono anch’essi di inizio ‘700. Al periodo dei duchi d’Aosta appartengono, invece, i pannelli lignei delle sovrapporte, ricollocate nel 2004, gravemente danneggiate, di Luigi Vacca che hanno come soggetto Andromeda salvata da Perseo e Morte di Adone, parte di un ciclo mitologico formato da sette tele. La sala prese il nome di Camera dei Paesi dalle vedute di Pietro Domenico Olivero e Scipione Cignaroli ivi vennero collocate nel periodo juvarriano.

Lo sapevi?

Diffusa in Piemonte la grottesca avrà un’importante diffusione a partire dal ‘500 sotto i ducati di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I. Con l’arrivo di Juvarra a Torino, si apprezza nuovamente questo tipo di decorazione, che nella prima metà del ‘700 verrà ampiamente usata nell’appartamento del Re del Castello di Rivoli, ma anche a Palazzo Reale, Palazzo Madama e alla Palazzina di Caccia di Stupinigi.

Sala 9
Camera dei Trofei

Sala dei Trofei

Prima anticamera dell’appartamento del re, vi lavora Filippo Minei tra il 1723 e 24, la volta, a grottesca, presenta scene di battaglia e personaggi mentre reggono trofei di armi e di bandiere, ai due lati vi sono Marte Guerriero e la Gloria. Nei cammei sono rintracciabili il Po e la Dora, oltre che citazioni di eccezione come riportati la Cleopatra e l’Ermafrodito Borghese, o motivi che il Carracci dipinti nella Galleria Farnese. Alle pareti, come si evince dalle note di pagamento, vi era una ricca stoffa damascata, oggi non più presente. Completa la sala un prezioso camino in marmo policromo. Il motivo della vittoria alata, viene proposto anche nel passaggio alla sala successiva, lungo le massicce pareti, altri motivi alla grottesca con animali fantastici e sfinge.

Lo sapevi?

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Pietro Domenico Olivero

(Torino, 1679 – 1755)

Il pittore torinese Pietro Domenico Olivero, oggi considerato come uno dei maestri delle bambocciate, ha sapientemente attinto dalla vita reale per i soggetti delle sue scene. Le sue vedute sono un puntuale racconto degli usi e i costumi della popolazione di Torino e del Piemonte del ‘700. Di “umor lieto e gioviale”, nonostante fosse storpio dalla nascita, protetto da Vittorio Amedeo II e dal Marchese Ferrero d’Ormea che tutte le domeniche lo invita a pranzo nel suo splendido palazzo torinese. A Rivoli lo ritroviamo nel 1724 quando viene pagato 500 lire per “due quadri grandi” la Festa alla Fiera di San Pancrazio e il Mercato e la Fiera di Moncalieri. Olivero dipingerà, inoltre le figure per i paesaggi dipinti da Scipione Cignaroli nel 1726 e ospitati nell’appartamento del Re, per le sovrapporte del Gambone realizzate nell’anno seguente per la Camera delle Gabbie. Le figure per i paesaggi dipinti datati 1726 e ospitati nell’anticamera dell’appartamento del Re quelle per le, realizzate l’anno seguente, per la Camera delle Gabbie, Dell’Olivero, inoltre anche gli eleganti personaggi aristocratici che popolano la veduta di Marco Ricci, voluta da Juvarra e che raffigura il salone, mai realizzato del Castello.

Sala 10
Gabinetto delle Fatiche di Ercole, camera seconda dell’Appartamento del Re

Volta della Sala delle Fatiche di Ercole

Decorata da Filippo Minei  tra il 1721 e il 1722, la seconda anticamera dell’Appartamento del Re ha come riferimento le Fatiche di Ercole. Al centro della volta , fluttuanti su nubi, Giunone, Marte e Giove sta per incoronare l’eroe mentre intorno vi sono e putti recanti il vello e la clava suoi simboli. Sui quattro lati della volta altrettante fatiche incastonate in eleganti tempietti : la lotta con il leone Nemeo, l’uccisione  del toro di Creta, la cattura del cinghiale d’Erimanto, e quella della cerva di Cerinea.  Attorno altri personaggi fra cui putti, geni alati e sfingi alate dal collo serpentiforme. La ricca decorazione è presente sia negli sfondati delle finestre che sullo zoccolo della sala, con altre figure fantastiche come le donne rana, i volti dalle ali di pipistrello, o scene di caccia racchiuse in eleganti porcellane dipinte. Si suppone che tutte le pareti fossero dipinte, un ambiente certamente tra i più raffinati dell’appartamento del re.

A completamento della sala il camino in marmo policromo  risalente anch’esso alla prima parte del ‘700.

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FILIPPO JUVARRA

Messina 7 marzo 1678-Madrid 31 gennaio 1736

Architetto, scenografo, i suoi primi passi li muove nella bottega dello zio, orafo affermato, a Messina, e sin da subito si denota la sua spiccata attitudine al disegno che perfezionerà con gli studi di architettura paralleli a quelli di teologia alla fine dei quali sarà ordinato sacerdote. Nel 1703  avviene il trasferimento a Roma dove studia presso Carlo Fontana, vincendo nel 1705 il primo premio al concorso bandito da Papa Clemente XI per un progetto di “Regio Palazzo in villa”. La sua formazione romana rappresenta l’antefatto di quello che sarà il suo impegno a Torino a partire dal 1714 dove giungerà su indicazione del Cardinale Ottoboni, alla corte del nuovo re Vittorio Amedeo II. Ben presto diventerà regista assoluto dell’ambizioso progetto. La sua permanenza a Torino viene inframezzata da viaggi a Lisbona nel 1719, a Londra dove incontrerà Sir Christopher Wren e poi a Parigi nel 1722. Lascerà definitivamente il Piemonte nel 1735 per mettersi al servizio di Filippo V di Spagna per il quale progetta la Granja di San Idelfonso di Segovia e la facciata di Palazzo Reale di Madrid.

Sala 11
Sala dei Putti Dormienti

Particolare della volta della Sala

Una delle sale più ricche di storia di tutto il Castello, la camera del Re, la prima decorata di tutto l’appartamento nel 1720, pronta per ospitare Vittorio Amedeo II. La volta, che ricorda un ideale baldacchino, è impreziosita da ben 4050 foglie d’oro, ed allietata da puttini, tanto amati da Juvarra, e dalle virtù in abito classico. Il pittore Niccolò Malatto venne chiamato espressamente da Genova per decorarla, incarico, che a causa del suo grave stato di salute e la conseguente morte, non portò a termine. Il lavoro venne finito, sempre nello stesso anno da Pietro Antonio Pozzo, Michele Antonio Milocco e Pietro Gambone. Anche le pareti, nel periodo juvarriano erano connotate da questo tipo di decorazione. Alla fine del ‘700, appartengono le attuali decorazioni delle pareti, dello zoccolo, della sovrapporta e del trumò sopra il camino in marmo policromo, connotati dal motivo a grisaille opera del pittore Ludovico Chioffre per l’architetto Carlo Randoni. Egli realizza anche gli affreschi negli sguanci delle finestre, imitanti il finto stucco, in un intreccio di teste e volute. In quel periodo l’appartamento era usato dalla duchessa d’Aosta, Maria Teresa d’Asburgo-Este. Le due porte dorate con ovali soprastanti, lungo la parete a cui era addossato il letto reale, risalgono ad inizio Settecento, esse celano due spazi molto piccoli che probabilmente ospitavano un pregadio e la stanza della commoda.

Listen

Falconi eng

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Foglie d’oro

“Arabeschi e grotteschi…nel volto della camera da letto dell’appartamento di Sua Maestà” impreziositi da ben 4050 fogli d’oro dal doratore Sebastiano Barberis. Un ideale baldacchino per la camera da letto del sovrano.

Sala 12
Piccolo Atrio o Sala di Bacco e Arianna

Buffetti

La sala, utilizzata come atrio è posta al centro dei due appartamenti reali. La decorazione viene realizzata, tra il 1718 e il 1722, seguendo le istruzioni di Filippo Juvarra, che per la volta, raffigurante l’incontro di Bacco con Arianna, si avvale pera del pittore toscano Sebastiano Galeotti. Alle pareti i raffinati stucchi dell’équipe degli stuccatori luganesi Somasso: i simboli del potere: la corona, il bastone del comando e lo scettro, le due nicchie con i busti marmorei di Bernardino Falconi, già a Palazzo Reale e fortemente voluti da Juvarra in questa sala. Essi rappresentano come Diana, Maria Giovanna di Savoia-Nemours seconda Madama Reale e il marito Carlo Emanuele II, come Adone, Amore. A completare la sala i nicchioni di fondo, detti “buffetti” decorati a grottesca, putti e fiori da Francesco Fariano tra il 1729 e il 1730. Sui ripiani dorati, grazie ad un disegno autografo di Filippo Juvarra, sappiamo esservi collocate porcellane. Originale lo splendido pavimento con marmi di tre differenti colori: nero di Como, bianco di Busca e grigio di Valdieri dal peculiare effetto tridimensionale realizzato dallo scalpellino Carlo Berardo nel 1725. Oggi sono mancanti tre pezzi significativi presenti nella sala ancora nel 1846: un piedistallo in marmo verde raffigurante tre puttini sostenente il busto della regina Maria Teresa d’Austria Este, oggi al Castello di Racconigi. L’altro è un “quadro di marmo in rilievo” raffigurante Anna Cristina Ludovica Principessa di Piemonte. A completare l’arredo il famoso” tavolo del pugno”, in marmo giallo, tavolo che secondo la tradizione, sarebbe stato scalfito da un pugno sferrato da Vittorio Amedeo II in un momento d’ira.

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Sebastiano Galeotti

(Firenze, 22 dicembre1675 – Mondovì, 16 ottobre 1741)

Il suo pennello è spedito, facile, e di buon impasto, sì a olio, come a fresco” ebbe a dire un contemporaneo di Sebastiano Galeotti pittore fiorentino, dal ricco itinerario pittorico, che lo porterà presso le più importanti corti del nord d’Italia. “Tre volte fu il Galeotti a Torino. La prima invitatovi da’ Conti di Guarena, affinché ornasse loro di pitture un salotto, ed una galleria” e “nel tempo medesimo conosciutosi il suo merito da quel Re, fu da lui mandato al delizioso soggiorno a Rivoli, a dipingervi l’atrio Reale…” racconta Carlo Giuseppe Ratti, uno dei suoi biografi. Dietro alla scelta di Vittorio Amedeo II, naturalmente si cela l’apprezzamento di Filippo Juvarra per il pittore, di cui aveva avuto modo di apprezzarne il valore nel corso di una visita a Parma nel 1706 e tramite Carlo Giacinto Roero di Guarene, suo grande amico. Il tema scelto per questa volta narrato con i toni tipici dell’Arcadia, citando i Fasti di Ovidio ben si collega alla destinazione d’uso della sala che funge da raccordo fra le stanze del re e quella della moglie. Questo racconto mitologico sarà oggetto di un sipario realizzato dal Galeotti nel 1740 al Teatro Regio.

Sala 13
Sala degli Stemmi o dei Valets à pieds

Unico ambiente superstite di quello che doveva essere l’appartamento della Regina, Anna Maria d’Orléans, esso presenta lacerti della decorazione juvarriana emersi durante i restauri di Andrea Bruno, composti da un lambriggio dipinto in cui vi sono stilizzati motivi floreali, e negli sguanci delle finestre la decorazione a rocaille, che presentava delle campiture interne decorate con lamine d’oro, per la maggior parte oggi scomparse. La volta, dipinta nell’800, reca ai quattro lati gli stemmi di Casa Savoia, di Torino, Rivoli e Roma. Sul pavimento, contemporaneo, un oblò che svela il pozzo medioevale, per le sottostanti cucine del Castello, oggi non più esistenti.

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Anna Maria D’Orleans

(Castello di Saint-Cloud, 27 agosto 1669 – Torino, 26 agosto 1728)

Nipote di Luigi XIV sposa, nel 1684, appena quattordicenne, il giovane duca di Savoia Vittorio Amedeo II. La giovane venne salutata dal gazzettino “Mercure Galant” con una ballata “Andate dunque oggetto di tanti voti in quel clima dove sotto un cielo propizio il vostro cuore non può che essere felice Luigi lo vuole, occorre che ciascun obbedisca”. Ancor prima del trionfale ingresso a Torino sosterà al Castello di Rivoli accolta dalla suocera Maria Giovanna Battista, che come lei proveniva dalla corte parigina, e dai personaggi più in vista della corte. Sebbene sia stata la prima regina di Casa Savoia, salita nel 1713 al trono di Sicilia e nel 1718 a quello di Sardegna, è una delle figure femminili della dinastia meno conosciute. La sua vita, svoltasi all’ombra del marito, venne addolorata dalle traversie del piccolo ducato, prime fra tutte le guerre, ma anche i molti lutti, dei dieci figli, infatti, uno solo Carlo Emanuele III, le soppravviverà. Di lei ci rimane la Villa della Regina, il suo rifugio, sulla collina, che tanto amava raggiungere a piedi, a cui lavorò Filippo Juvarra, e dove riecheggiano in una dimensione più raccolta i grandi echi architettonici del Castello di Rivoli.

Sala 14
Sala degli Stucchi o Prima camera dell’appartamento del Re

Particolare della volta della Sala

La sua denominazione deriva dalla decorazione a stucco realizzata dal luganese Pietro Somasso, attivo nello stesso periodo anche nella Galleria Grande della Venaria Reale. Realizzata seguendo le istruzioni di Filippo Juvarra tra il 1718 e il 1720, demolendo le volte e i muri di due piccole anticamere e di un corridoio. Ghirlande, fiori, conchiglie e squame caratterizzano la decorazione, che trova corrispondenze nelle architetture romane, sia civili che religiose, e che ha in centro della volta, definita da Chiara Passanti “un aggregato di tende ben tese e gonfiate dal vento” le iniziali di Vittorio Amedeo II. Una decorazione volta tutta a celebrare scenograficamente, come in un tempio, la figura del re, primo di Casa Savoia. Alla fine del Settecento vennero aggiunti i trofei lignei e le decorazioni che presentano putti guerreggianti nelle lunette angolari da Angelo Vacca e Giovanni Comandù. Il pavimento attuale, realizzato nel corso dei restauri di Andrea Bruno, ricalca il progetto originale di Juvarra redatto il 24 giugno del 1721 e mai realizzato. L’architetto messinese aveva previsto l’utilizzo del marmo verde di Susa, del Bianco di Foresto e del grigio di Frabosa. Questi materiali oggi non più reperibili a causa della chiusura delle cave sono stati sostituiti da altri dalle caratteristiche il più possibile simili. Nel camino di fine Settecento una piastra in ghisa  reca le armi ducali e il monogramma di Vittorio Amedeo II. In un inventario del 1846 si precisa che la sala veniva usata per la scherma.

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Vittorio Amedeo II

(Torino, 14 maggio 1666 – Moncalieri, 31 ottobre 1732)

Vittorio Amedeo di Savoia, figlio unico di Carlo Emanuele II e Maria Giovanna di Savoia-Nemours, è un bambino gracile e malaticcio, per la cui guarigione vennero consultati ciarlatani, maghi, grandi dottori e persino fatta un’ostensione della Sindone. Per lui. venne realizzato, dal panattaro Antonio Brunero il grissino, pane biscotto (cotto due volte), adatto ai suoi problemi digestivi. Orfano di padre a nove anni, dovette attendere la maggiore età per poter prendere in mano le redini del ducato retto dalla madre, che per allontanarlo da Torino, giunse persino ad organizzare un matrimonio con l’Infanta del Portogallo, matrimonio che non si avvenne mai a causa di una provvidenziale, quanto perdurante malattia. Il Castello di Rivoli sarà lo scenario di molti dei momenti più importanti della sua vita: la presa del potere, il 14 marzo 1684, quando viene comunicato anche il suo matrimonio con Anna Maria d’Orléans, nipote di Luigi XIV. Una buona parte del suo regno sarà costellata da conflitti per la Successione al Trono di Spagna che portarono ai Savoia la dignità regia. Il 24 dicembre del 1713 Vittorio Amedeo venne incoronato, nel Duomo di Palermo, con la moglie, re di Sicilia. In quel frangente fece la conoscenza dell’abate Filippo Juvarra, destinato a far divenire Torino una delle capitali del Barocco europeo. Il secondo importante evento della sua vita legato a Rivoli si terrà il 3 settembre 1730, quando dinanzi alla Corte abdicherà. L’evento destò sorpresa e commozione. “L’âge avancé, les indispositions dont nous sommes atteints dépuis quelques temps, les fatigues que nous avons souffert”, avevano, fatto a lungo preparare l’importante momento, studiando le abdicazioni di Carlo V e Filippo II. Come tanti anni prima viene dato l’annuncio del suo matrimonio, con la Marchesa di Spigno Anna Teresa Canalis di Cumiana. Ultimo tragico evento che vide protagonista Vittorio Amedeo a Rivoli sarà la sua prigionia, circa un anno dopo l’abdicazione e durata 10 mesi, nello stesso appartamento che per lui era stato approntato e, che doveva mostrare, attraverso l’architettura e l’arte la sua forza, il suo valore e la sua grandezza come primo re di Casa Savoia.

Sala 15
Sala dei Continenti, seconda anticamera dell’appartamento del Re  

Apollo sul Carro del Sole

La sala è l’unica del primo piano ad essere decorata a fine settecento, dai pittori Rocco e Antonio Maria Torricelli e Giovanni Comandù, mentre la progettazione dei riquadri in stucco è stata ideata da Carlo Randoni, ispiratosi allo stile juvarriano della sala seguente. Agli angoli della volta “le quattro parti del Mondo” opera dei fratelli Torricelli, come pure il Carro del Sole, al centro, e le allegorie del Po e della Dora a sanguigna. Lungo i due lati lunghi, in sei riquadri in stucco dovevano essere dipinti i venti dal Comandù. Egli iniziò realizzarne due, poi fatti cancellare: “Ordinatomi il fu Sig. Intendente (Viotti) nella sud. Camera di dipingere in bassorilievo li sei venti, ed avendo formati i cartoni, ossia disegni in grande prima in Torino, di poi avendone dipinti due li fece scancellare perché arricchiva di troppo la camera”. Per questo lavoro il pittore chiese, comunque, 85 lire per sette giorni di lavoro. In un inventario del 1846 nella sala  c’erano ancora degli arredi: “una tavola di marmo bigio sostenuta da mensoloni scolpiti a volute”, ancora presente, e uno “specchio fra mezzo alle mensole con placca di marmo verde.”

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Carlo Randoni

(Torino, 1765 – 1831)

Primo Architetto di Sua Maestà, membro del Consiglio degli Edili, dell’Accademia delle Scienze., per i Duchi d’Aosta progetterà alcune sale nell’appartamento nuziale al secondo piano di Palazzo Reale e gli ambienti a loro destinati alla Venaria Reale. Ritroviamo il suo nominativo per quanto riguarda lavori a di Moncalieri, Pollenzo, al Duomo di Torino e al collegio civico di Tortona. Durante il periodo napoleonico riceverà la carica di Architetto Nazionale occupandosi dell’assetto urbanistico di Torino. Randoni lavora a Rivoli a partire dal 1792, dopo aver presentato un progetto che riprendeva le richieste dei Duchi d’Aosta ovvero quelle di completare l’edificio limitando però i costi. Fra i primi provvedimenti quello di rendere il più rapidamente fruibile il Castello, procedendo con i primi urgenti lavori di riparazione, l’arredamento di alcune sale con mobili e complementi presenti nell’edificio, al primo piano nobile, la realizzazione di una scala per raggiungerlo. Venne, inoltre, redatto un preventivo per sistemare in Manica Lunga le maestranze: pittori, mastri da muro, indoratori, ma anche un fattore e un chirurgo. Carlo Randoni, predisporrà, inoltre, un progetto molto vasto per i giardini, con importanti opere di livellamento che avrebbero dovuto prevedere la rimozione di migliaia di metri cubi di terra, e di materiale incoerente e ghiaioso, oltre i grandi massi erratici di cui è costituita la collina di origine morenica. A questo proposito venne richiesto “un barile di polvere da mina” per farli saltare. Il progetto, però non fu mai portato a termine.

Al secondo piano dell’Edificio Castello troviamo sale decorate che appartengono a differenti periodi storici. Se per la maggior parte degli ambienti la decorazione risale ai Duchi d’Aosta che ricevettero il Castello e le sue pertinenze in appannaggio nel 1792, vi sono delle sale che risalgono al periodo juvarriano e una a quello seicentesco del periodo castellamontiano. Qui si trova anche lo spazio più grande dell’intero Museo, che possiede l’elemento strutturalmente interessante, ovvero la grande volta nervata a padiglione della sala 18, volta che non è mai stata decorata.

Sala 33

Sala di Carlo Emanuele I

Qui nel 1562 nacque Carlo Emanuele I, figlio del duca Emanuele Filiberto e di Margherita di Valois. La volta della sala, ampiamente danneggiata nella parte pittorica, presentava un motivo a rosoni, ad opera di Guglielmo Lévera, mentre al centro Giovenale Bongiovanni dipinse una scena, ancora visible nel 1936, descritta come “La Fama che pubblica alla Gloria le virtù eroiche dè Reali Principi accompagnata dalla Magnificenza, dal Valore e dalla Liberalità:” Agli angoli le iniziali, in stucco, di Carlo Emanuele I, sormontate dalla corona, di  inizio ‘700. La decorazione neoclassica a lesene ioniche binate viene progettata da Carlo Randoni. Gli stucchi della volta e delle pareti sono opera della bottega di Giovanni Marmori realizzati nel 1794. Importante il camino in stucco con trofei, armi, putti e il motto dei Savoia: F.E.R.T., che riecheggia esempi inglesi con Syon House. Ai lati due consolles, progettate dal Randoni stesso e realizzate dallo scalpellino Giuseppe Marsaglia. La pavimentazione attuale, in seminato veneziano, è un rifacimento fedele per materiali e colore a quella che  venne realizzata nel 1793 dal mastro veneziano Leopoldo Avoni. La sala, seriamente danneggiata, venne restaurata seguendo il progetto dell’architetto del Duca d’Aosta, come pure il pavimento, praticamente scomparso.

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La nascita di Carlo Emanuele I

L’enfant serait un fils qui se appellerait Charles et qui serait le plus gran capitaine de son siècle” questa la profezia di “Michele Nostrodamo” “un perito de’secreti della Natura, venuto da Selone in Provenza” a Rivoli per visitare la Duchessa di Savoia, Margherita di Valois. La principessa, sposa di  Emanuele Filiberto di Savoia, aveva 35 anni e per l’epoca era giudicata inadatta a procreare. Contro ogni previsione Carlo Emanuele I nasce a Rivoli il 12 di gennaio 1562, una nascita “in coram populo”, ovvero davanti a dei testimoni tra cui gli Ambasciatori di Venezia, Francia e Malta e il Duca di Némours, La coppia ducale era a Rivoli dal 1561, con tutta la corte, in attesa di trasferirsi  a Torino, nuova capitale del Ducato. Emanuele Filiberto si recò nella Chiesa di San Domenico in Rivoli dove fece cantare  un Te Deum, alla fine del quale, ritornando verso il Castello, notò nel cielo fosse apparso “un fuoco insolito”come segno del miracolo appena avvenuto. In Biblioteca Reale a Torino è conservato il “Pronostico per Carlo Emanuele I”, chissà, forse proprio redatto dal famoso Nostradamus.

Sala 32

Sala dei Concerti

Grande ambiente che comunicava con l’appartamento della duchessa e con quello del duca oltre che con le camere della principessa Maria Beatrice. I restauri, realizzati negli anni passati, hanno sottolineato che i trumeaux, le alzate lignee che ospitavano specchi e dipinti, decorate con cascate di fiori e volti femminili appartengono, al contrario, al periodo juvarriano. Carlo Randoni, nel gennaio 1793 fece il “Disegno della decorazione della Camera di Parata al piano superiore uniformandosi allo stile delle ricchissime sculture delle trumeaux, e stucchi già fatti eseguire dal D. Filippo Juvara in detta Camera”  aggiungendo i trofei d’arme delle sovrapporte. Queste parti lignee vennero dipinte in accordo con la volta in tonalità di “grigio”, “morello”,”giallo canarino”, “verdesino”. L’architetto realizzò, inoltre, il disegno della volta, dipinta dai fratelli Torricelli seriamente danneggiata a causa di infiltrazioni d’acqua. Ai quattro lati, altrettanti ovali nei quali sono dipinti i busti dei primi conti sabaudi, Beroldo il Sassone, Umberto I, Oddone di Savoia-Moriana, e Amedeo I. Oggi rimangono visibili soltanto Beroldo e Oddone, esempio della grande abilità dei pittori nell’arte del trompe-l’oeil.

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Beroldo il Sassone

Jean d’Orreville detto Cabaret venne incaricato da Amedeo VIII, primo duca della dinastia sabauda, di studiare le origini della propria famiglia. Egli, consultando gli archivi, individuò, come padre del Conte Umberto Biancamano, il duca Beroldo. Attorno a questa figura di glorioso e valoroso condottiero viene intessuta una leggenda che narra di un adulterio e della difesa dell’onore del suo signore e della peregrinazione di Beroldo da una corte all’altra, sino a mettersi a servizio di Bosone conte di Arles, dove poi morirà. Il figlio Umberto ebbe dall’Imperatore la contea di Moriana.

Sala 28

Camera d’Udienza o Sala delle Corone, Appartamento del Principe di Piemonte

La sala apparteneva all’Appartamento del Principe di Piemonte e  presenta decorazioni di due fasi differenti della vita del Castello. La volta, mai affrescata, è delimitata da una fascia in stucco, datata 1717, opera di Carlo Papa, da Juvarra “stimato per persona Capace, et sperimentata”. Il motivo è caratterizzata da conchiglie e cespi vegetali, iniziali sormontate da corone, un collare con nodi sabaudi e rose, oltre che alle iniziali di Vittorio Amedeo II. Il fregio della decorazione della Camera d’Udienza dell’Appartamento del Principe di Piemonte ricorda i modelli di Juvarra visibili nel Libro di Disegni… per ornati di Candelabri. Queste sale saranno tra le prime a cui attende l’architetto messinese a Rivoli. Il registro sottostante, risalente alla fine del Settecento, presenta trofei di foglie e fiori. Alle pareti lacerti della carta da parati, mentre la decorazione lignea, sia delle sovrapporte che dei due trumeau è conservata in modo frammentario, presentando, nel primo caso le iniziali del re e nel secondo erme e decorazioni vegetali. Alle pareti vi erano tele a olio raffiguranti paesaggi di caccia, rovine classiche, marine, scene bucoliche opera di Angela Maria Palanca e Francesco Antoniani. Queste pitture erano cartoni per arazzi  per la regia manifattura d’arazzi di Torino nata nel 1737, su modello di quella dei Gobelins  di Parigi, per volere di Carlo Emanuele III.

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Cartoni per arazzi

Nel 1737 grazie a Carlo Emanuele III nasce a Torino Regia Manifattura d’Arazzi di Torino, benché l’attività fosse iniziata sotto Vittorio Amedeo II, in occasione dei lavori di  rinnovamento di  Palazzo Reale ad opera di Filippo Juvarra e a seguire di Benedetto Alfieri. Il primo pittore a lavorare per l’arazzeria sarà Claudio Beaumont, che sceglie temi eroici, dall’importante significato allegorico, desunti di drammi in musica., come le Storie di Alessandro, o le Storie di Ciro, ai quali apparteneva la Battaglia di Cunaxa, cartone per arazzo era ancora presente a Rivoli nel 1926.opera del Molinari. La pratica prevedeva, infatti, la presenza di due pittori, uno che realizzava i bozzetti, mentre l’altro artista aveva il compito di trasportare i bozzetti sui cartoni, che una volta usati, essendo olio su tela, diventavano quadri per le residenze reali. Fra i pittori i cui cartoni erano a Rivoli troviamo Francesco Antoniani, milanese che, una volta arrivato a Torino, inizia a lavorare al Teatro Regio nella stagione 1741-42, insieme ad una schiera di altri artisti , fra cui il figurista Bernardino Galliari. A lui sono attribuite due serie di cartoni per arazzi le Marine e le Architetture. Queste ultime, realizzate tra il 1745-48, propongono il classico soggetto delle rovine, con obelischi, colonne, statue e urne immerse in una natura sempre più presente, e dove si aggirano soldati, figure femminili e ragazzi. Una di questi viene fotografato da .Pedrini tra il 1933 e il 1942 nella Sala delle Corone, dove sappiamo essere presente. Da questa immagine si nota come la carta da parati, oggi soltanto composta da lacerti, sia assolutamente integra, come anche la sovrapporta, recante le iniziale di Vittorio Amedeo II ancora presente.

Sala 29

Sala degli Stucchi, Camera di parata, Anticamera dell’Appartamento del Principe di Piemonte

La prima anticamera dell’appartamento, realizzato ad inizio 700 per il Principe di Piemonte, Vittorio Amedeo Filippo, primogenito di Vittorio Amedeo II, morto  a soli 16 anni nel 1715. La decorazione è in stucco,  le prime eseguite  da Pietro Somasso e presenta ai quattro angoli, uniti da un festone continuo a foglie di quercia, le iniziali del Duca  attorniate da un serpente che si morde la coda, le trombe e le ali della vittoria, il tutto sormontato dalla corona regale. Nella sala non ci sono altre tracce di decorazione. Alla fine del ‘700 questa sala faceva parte dell’appartamento del Duca d’Aosta Vittorio Emanuele I.

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L’Uroburo

Rappresentato iconograficamente come un serpente nell’atto di mordersi la coda è il simbolo dell’eternità creando un circolo di morte e rinascita. Spesso l’immagine è accompagnata dalla scritta en to pan (l’Uno, il Tutto) e affiancata alle divinità e ai simboli del tempo. A partire dal Rinascimento  l’immagine avrà grande fortuna tanto da essere usata da principi e signori per le loro medaglie. Con il cristianesimo subentrerà l’immagine del tempo lineare che inizia con la creazione del mondo e termina con il Giudizio Universale. Filippo Juvarra userà lo stesso simbolo nella decorazione della volta dello scalone di Palazzo Madama, dove, a differenza del Castello di Rivoli, l’uroburo attornia le iniziali di Maria Giovanna Battista seconda Madama Reale.

Sala 30

Gabinetto delle quattro parti del Mondo, Sala di Pigmalione

La seconda anticamera dell’appartamento del Principe di Piemonte, primogenito di Vittorio Amedeo II, Vittorio Amedeo Filippo, morto a soli sedici anni. L’ affresco della volta, è opera di Giovanni Battista Val Loo, e raffigurava il mito  di Pigmalione re di Cipro e Galatea. La scelta del soggetto risiede probabilmente nel fatto che i Savoia ostentavano  anche il titolo di Re di Cipro. Il restauro eseguito in anni recenti, ha messo in evidenza ciò che rimane della volta, danneggiato dalle infiltrazioni d’acqua, ma ancora  interamente ben visibile in fotografie degli anni ’30. Parte importante della sala, il fregio in stucco, ad opera di Carlo Papa e datato 1717. Il  ricco repertorio simbolico, alternato a festoni e ghirlande, raffigura le Quattro parti del Mondo .Sui lati  la corona di Principe di Piemonte e il collare dell’Ordine della Santissima Annunziata, mentre ai quattro angoli si trovano i simboli dei quattro continenti. Sopra ad una finestra due puttini con una torcia che ci rimandano all’allestimento

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I geroglifici

Li geroglifici, de i quattro paesi del mondo che si darà il disegnio distinto di caduno con i festoni che l’ornano di putti e fiori e altre cose che si producono in dette parti del Mondo tutto bene lavorato di rilievo”, così recita l’Istruzione per l’ornamento di stucco da farsi nel Secondo Gabinetto di S.A.R. nel Palazzo di Rivoli. Nel progetto decorativo d’interni di Filippo Juvarra la cornice è sempre più d’importante, e i “geroglifici” sono un vero e proprio racconto per immagini,  in questo i quattro continenti. Quelli di Rivoli sono tra i primi che Juvarra elaborerà in terra piemontese, utilizzandoli poi, tra l’altro a Venaria Reale e Palazzo Reale. Curiosamente lo stesso soggetto lo ritroviamo sempre a Rivoli al primo piano in una sala affrescata a fine secolo dai pittori Torricelli. Recenti studi hanno messo in evidenza che per una committenza privata, i banchieri Laugier, lo stuccatore Giuseppe Bolina, tra il 1770 e il 1775, riproporrà gli stessi soggetti nel salone della loro tenuta nella campagna di Racconigi, la tenuta i Berroni.

Sala 31

Camera da letto  del Principe di Piemonte

La sala ha la volta affrescata da Giovanni Battista Van Loo nel 1719. Il pittore francese era stato richiamato appositamente da Roma da Filippo Juvarra per affrescare  Apollo attorniato dal Tempo, l’Abbondanza e Flora. Ai quattro lati le stagioni. Il fregio in stucco è di Pietro Filippo Somasso, datato 1717, presenta gli attributi delle divinità dell’Olimpo: Zeus, Nettuno, Mercurio e Vulcano. Alcuni particolari degli abiti delle stagioni e degli altri personaggi vengono realizzati in stucco per cui diventano tridimensionali. L’affresco, ripassato, venne dipinto dopo quello della sala precedente, che al contrario è andato pressoché perduto. Ricollocata recentemente la sovrapporta con Amorini musicanti, probabilmente una parte di dipinto molto più grande riutilizzato. Si suppone che l’attuale collocazione sia avvenuta dopo il periodo napoleonico, purtroppo non si conosce l’autore, che si può definire genericamente come pittore di corte, ma certamente un personaggio di grande abilità. Non più presente la decorazione parietale, che si suppone sia stata in tessuto.

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Giovanni Battista Van Loo (1684-1745) .

Appartenente ad una dinastia di pittori francesi, di origine olandese, passerà una buona parte della sua vita a viaggiare per l’Europa. Nel 1712 si trasferisce a Torino al servizio dei Savoia. Tra il 1738 e il 1742 sarà a Londra come protetto di sir Robert Walpole, per poi ritornare prima a Parigi e poi a Aix en Provence dove continua la carriera come ritrattista, tra il 1736 e il 1746 viaggia a Madrid come pittore di Filippo V, e fonderà l’Accademia di San Fernando. Morirà il 1745 ad Aix-en Provence, si dice con il pennello in mano. Uno dei suoi figli, con grande probabilità Charles Amédée Philippe nasce a Torino, il fausto evento è riscontrabile anche nei pagamenti per il Castello di Rivoli, infatti, il 1 settembre 1719 a Pietro Collo, “provveditore del companatico della Casa di Sua Maestà” vennero date 80 lire per una regalia in occasione del battesimo tenutosi il 27 agosto dello stesso anno “d’un figlio del signor Pittore Vanlò” che ebbe come padrini di battesimo S.A.R. e S.A Serenissima la Principessa di Carignano, rappresentati dal Conte di Borgaro e dalla Baronessa di Choix.  

Sala 27 Sala Cinese

Come per le altre residenze sabaude anche Rivoli possiede un salotto cinese, progettato nel 1793 da Carlo Randoni, che ne aveva anche previsto i mobili, come si evince da un disegno conservato presso l’Archivio di Stato di Torino.  L’ambiente fa da raccordo tra l’appartamento della Duchessa d’Aosta e quello del Principe di Piemonte e presenta una decorazione interamente “alla Chinese”. Le pitture della volta e le parti lignee sono di Francesco Rebaudengo, imitanti un padiglione, con  sulla volta un telo aperto verso il cielo dove vola dei dragoni. Ai lati scene di vita cinese, riprese dalle carte da parati del Castello di Racconigi, dove il pittore operò nelle sale cinesi dei principi di Carignano. Alle pareti colonne intagliate da ebanisti dell’entourage del Bonzanigo: Giovanni Antonio Gritella, Giovanni Fumario e Giuseppe Gianotti, che realizzano  i cespi di fiori, oggi non più presenti, le che le cornici coronate da piccole teste di cinesi dal caratteristico cappello a punta, oggi non più presenti, all’interno si ipotizzano o  carte cinesi, o specchi oggi non più presenti. Ancora presente il paracamino in legno che presenta come decorazione una scenetta dal gusto orientale: un nobiluomo, il suo servitore che gli fa ombra con un ombrello, un altro intento a preparare il te e un pappagallo sul suo trespolo. La sala, molto danneggiata sia per quanto riguarda la volta che per le pareti, presenta l’originale pavimento ligneo. Questo tipo di pavimentazione interessava praticamente tutte le altre superfici del piano.

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Alla China

A partire dal 1600 l’Europa soccombe al fascino dell’Oriente, grazie alla Compagnia delle Indie, giungono nel Vecchio Continente merci preziose quali lacche, sete, carte e porcellane, che poco a poco vanno ad abbellire le dimore di re e principi. Questa “febbre” diede il via alla creazione, anche in Piemonte, di ambienti che riecheggiavano questi luoghi lontani. Anche i Savoia non furono esenti da questo gusto, Palazzo Reale, ad esempio possedeva tre salotti cinesi, uno realizzato da Filippo Juvarra, un altro di poco precedente a quello del Castello di Rivoli e realizzato sempre i Duchi d’Aosta. Ad Aglié, Govone, Stupinigi, Moncalieri e Racconigi, ad esempio gli ambienti erano decorati con carte da parati provenienti dalla Cina, raffiguranti scene di vita quotidiana, fiori e uccelli o i principali cicli produttivi della seta, del riso, del tè e della porcellana. In Piemonte, come in tutta Europa, nascerà la chinoiserie, e gli artisti locali, come il Rebaudengo, attivo a Rivoli e in altre residenze, si ispireranno dagli oggetti provenienti dall’Oriente per abbellire ambienti decorati sia per la dinastia sabauda che per l’aristocrazia subalpina.

Cappella e Sacrestia

Anticipata da un piccolo vano, utilizzato come pregadio da Maria Teresa d’Asburgo-Este, la cappella, realizzata in un ambiente risalente al primo settecento, presenta interventi pittorici di Giovanni Comandù e Pietro Cuniberti, datati 1793-94, mentre la decorazione a finto marmo, le cornici in stucco dorato e gli intagli lignei sono ascrivibili a Giuseppe Ghigo. La piccola adiacente sacrestia presenta una decorazione molto semplice con motivi a vasi e ghirlande alle pareti. Grazie al Regesto documentario dell’Archivio Storico del Comune di Rivoli sappiamo che la cappella nel 1846 presentava: “Tre grandi porte a vetri a tre divisioni con chiambrane, fianchi laterali e soffitti superiori a cornici dorate con dipinti e sculture al zoccolo formanti 3 priez dieu.” Vi era un “altare sagomato, dorato e scolpito, bardella di noce al naturale, pietra sacrata, 3 carte gloria con Crocifisso ed ornati di legno dorato e scolpito”. Sopra l’altare un’ancona “su tela dipinta ad olio rappresentante la Sacra Famiglia con cornice a grandi ornati culturali e dorati” qui attribuita a Gaudenzio Ferrari, ma invece di Girolamo Giovenone. Questa pala, oggi conservata alla Galleria Sabauda venne consegnata alla Città di Torino per la Mostra del Barocco Piemontese del 1937.

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.Giovanni Comandù

(Mondovì 1746- Torino 1822)

Allievo a Roma dell’Accademia di San Luca, dove nel 1777 vince il primo premio nella seconda classe del concorso di nudo, è nel 1782 allievo del Pecheux all’Accademia di Pittura e Scultura di Torino. Negli stessi anni in cui è attivo a Rivoli, il Comandù lavora anche per il Duca del Monferrato, Maurizio di Savoia, presso il palazzo abbaziale della soppressa abbazia di Casanova a Carmagnola. Il principe che vi aveva stabilito la sua residenza incarica il Comandù di realizzare le stazioni II, III e IV della Via Crucis della chiesa. Per la chiesa di Santa Croce di Rivoli egli realizza la pala d’altare avente come soggetto il “Martirio di Santa Orsola e compagne”

Sala 22

Sala del Sorgere del Giorno

Camera grande“ da letto di Maria Teresa d’Austria-Este duchessa d’Aosta. I fratelli Rocco e Antonio Maria Torricelli nel 1793 dimostreranno tutta la loro bravura nel dipingere nella parte centrale della volta il cielo azzurro che fa da sfondo all’Aurora che lascia dietro di sé la Notte rappresentata da un vecchio barbuto infreddolito attorniato dai venti e da un putto con una torcia in mano. Nella scena compare anche Lucifero, la stella del mattino e probabilmente Espero, la stella della sera. L’architettura illusoria che completa la decorazione è sostenuta dalle finte cariatidi a grisaille nella fascia d’imposta che furono realizzate da Angelo Vacca. La boiserie, laccata e dorata, viene realizzata tra il 1793 e il 1794 dagli ebanisti Bozzelli, Gritella e Fumario, riprendendo gusti classicheggianti, assolutamente attuali per l’epoca. Le figure a monocromo sopra le porte, raffiguranti le Arti e le Scienze, sono state attribuite agli stessi Torricelli, mentre le sovrapporte, simpaticamente definite “trastulli di puttini”, riportate nella loro sede originale nel 2004, raffigurano le Stagioni, il Giorno e la Notte, nelle personificazioni di bimbi che ricordano divinità classiche. Tali tele vanno attribuite a Pietro Cuniberti. Alle pareti vi era tessuto azzurro, in pendant con quello del letto all’imperiale della duchessa, posto di fronte al raffinato camino in marmo bianco di Pont Canavese, realizzato dal lapicida Giuseppe Marsaglia con inserti in bronzo dorato opera di Simone Duguet, oggi dispersi. Dai documenti sappiamo esserci anche un sofà a tre piazze, due poltrone, sei sedie, otto sgabelli, una chaise longue, una tavola a muro, sopra i quali c’erano altrettanti trumeaux e un pregadio scolpito da Giuseppe Gianotti. Tutto questo oggi disperso.

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Giovanni Comandù

(Mondovì 1746- Torino 1822)

Allievo a Roma dell’Accademia di San Luca, dove nel 1777 vince il primo premio nella seconda classe del concorso di nudo, è nel 1782 allievo del Pecheux all’Accademia di Pittura e Scultura di Torino. Negli stessi anni in cui è attivo a Rivoli, il Comandù lavora anche per il Duca del Monferrato, Maurizio di Savoia, presso il palazzo abbaziale della soppressa abbazia di Casanova a Carmagnola. Il principe che vi aveva stabilito la sua residenza incarica il Comandù di realizzare le stazioni II, III e IV della Via Crucis della chiesa. Per la chiesa di Santa Croce di Rivoli egli realizza la pala d’altare avente come soggetto il “Martirio di Santa Orsola e compagne”.

Sala 23

Sala di Amedeo VIII, Sala dell’Incoronazione o gabinetto di conversazione

Gabinetto di toaletta della duchessa d’Aosta, “Gabinetto di conversazione… ove vi esistono le pitture antiche de’ fatti della Real Casa”come viene definito dalla relazione del 25 luglio 1702, questo ambiente,  è di grande importanza, perché è l’unico conservato della decorazione seicentesca, andata perduta a causa dell’incendio provocato dalle truppe francesi del Maresciallo Catinat nel 1693.  La  decorazione, ad opera del luganese Isidoro Bianchi e dei suoi figli, a Rivoli tra il 1623 e il 1628 presenta, incastonate in un’architettura illusoria, le scene celebranti la figura di Amedeo VIII, primo duca della dinastia nel 1391 che, dopo aver abdicato, nel 1439 è incoronato antipapa Felice V al Concilio di Basilea, chiude il ciclo, la sua successiva rinuncia al soglio pontificio nel 1449. Al centro i simboli ducali e papali attorniano lo scudo sabaudo sorretto dalla pace e dalla giustizia, non soltanto virtù del duca, ma anche auspicio del committente Vittorio Amedeo I. Le sue virtù, le arti e le scienze  sono protagoniste di  una decorazione che presenta un’architettura illusoria,  simboli e figure a grisaille .Alle pareti le allegorie dei fiumi del nuovo ducato : la Savoia e il contado di Nizza  con il fiume Var e l’Iverdon, la Savoia e il Ducato d’Aosta  con il Rodano e l’Isére, il Chiablese e ancora il Rodano che all’interno del ducato era navigabile, la Dora Baltea e Aosta. A chiudere i riquadri con il Po, Cuneo e la Bormida. La decorazione termina con uno zoccolo dipinto a falso marmo. Sul quale si possono intravedere graffiti fatti dai soldati francesi durante la devastazione di fine seicento. Vittorio Amedeo II, conscio dell’importanza simbolica della sala fece aggiungere l’aquila simbolo del regno siciliano e le sue iniziali. La sala, parte integrante dell’appartamento della Duchessa d’Aosta, venne mascherata da un “padiglione di stoffa rigata con festoni e fiocchi”.

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ISIDORO BIANCHI

(Campione 1581- qui nel 1662)

Pittore luganese lo vediamo a partire dal 1617 attivo presso la Galleria grande di Palazzo Reale a Torino, impegnato sino a certamente il 1642,  con i suoi figli nelle grandi imprese decorative dei Castelli di Rivoli e del Valentino. In quell’anno scriverà a Cristina di Francia, Madama Reale, di non sentirsi più in forze per continuare a prestare servizio per la corte sabauda. Per la residenza sulla collina morenica il suo lavoro si inseriva in un progetto volto ad esaltare la dinastia sabauda e le glorie di alcuni suoi membri: Amedeo VII ( due sale), Amedeo VI e Amedeo IV seguendo il programma di Emanuele Thesauro. Oggi ci rimane soltanto la sala dedicata ad Amedeo VIII e lacerti, non visibili al pubblico, del “gran salone” che si riferiscono ai “Combattimenti di Amedeo V di Savoia a Rodi”. Una rappresentazione di questa decorazione la ritroviamo nell’incisione a corredo del dramma musicale “La Ramira” opera di Bartolomeo Kilian di Augusta. A riconoscimento del suo lavoro l’8 luglio 1634 viene insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Sala 24

Gabinetto del Finto Legno

L’ambiente, usato come “Gabinetto a Studio “ della Duchessa d’Aosta ha una decorazione a tempera caratterizzata da trompe d’oeil di legni pregiati, che non vennero usati perché difettosi. Sulla volta, un motivo ottagonale, ospita personaggi mitologici. Al centro troviamo disegno geometrico a stella, contornato da pentagoni che recano otto medaglioni con coppie di divinità Giove e Giunone, Apollo e Diana, Mercurio e Minerva, Marte e Venere e al centro danzatrici di gusto pompeiano che tengono una collana di perle, fermata dal nodo sabaudo e dalle iniziali dei duchi Vittorio Emanuele e Maria Teresa. Alle pareti, vi erano delle stampe inglesi e francesi, che vennero asportate durante l’occupazione napoleonica e sostituite durante la Restaurazione da tele ispirate agli stessi soggetti attribuite a Luigi Vacca. Delle sovrapporte previste solo una è presente, sebbene fortemente danneggiata. Probabilmente raffigurava “Una regina con due bambini e un vaso di fiori “. Attesero alla decorazione della sala i fratelli Rocco e Antonio Maria Torricelli, in collaborazione, probabilmente, con Pietro Palmieri, anch’egli maestro della decorazione illusionistica, che realizzò le sovrapporte originarie. L’ispirazione per questa sala deriva dall’analogo ambiente di Palazzo Grosso a Riva Presso Chieri, dove hanno lavorato i Torricelli. La sala era arredata con sei “cadreghe”, sei “taboretti”, due grandi sofà “di bosco di rosa, e di violetta per imitare il placcaggio”. Nell’ 800 venne usata come sede della Biblioteca Civica dalla città di Rivoli

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Alla fine del Settecento Torino e il Piemonte si connotano per una riscoperta dei diversi stili decorativi, dall’Antico al Medioevo e all’Oriente. Tra gli esempi più interessanti: il casino alla Venaria del Marini per il Marchese Falletti di Barolo, con la sua Sala Egizia, oggi non più esistente, i progetti di Giacomo Pregliasco per Giuseppina di Lorena a Racconigi, le decorazioni del Palazzo Mazzetti di Riva Presso Chieri volute da Faustina Mazzetti che vedranno impegnati artisti come i Torricelli e il Palmieri che poi saranno attivi a Rivoli per i Duchi d’Aosta.  Una nuova stagione stilistica nata alla fine dell’Ancien Régime che guarda all’Inghilterra e ad architetti come Robert Adam e ai loro progetti per a buona aristocrazia britannica dove sale pompeiane o etrusche erano parte integrante degli appartamenti. L’ispirazione per questa sala deriva dall’analogo ambiente di Palazzo Grosso a Riva Presso Chieri, dove hanno lavorato i Torricelli.

Sala 25

Sala del Velo già Appartamento dei duchi d’Aosta, Sala da bagno, Gabinetto per la libreria, Gabinetto di trattenimento, Gabinetto delle garze.

“Gabinetto di garza”, Gabinetto per la libreria, Gabinetto di trattenimento tante definizioni per  questo, piccolo ambiente. Sicuramente il riferimento principale è il  velo drappeggiato sul fondo azzurro affrescato sulla volta,  attribuito ai fratelli Torricelli. Molto raffinata la decorazione immediatamente sotto, che presenta preziosi vasi, collane di perle che si alternano a spighe di grano, simbolo di abbondanza. Le cornici lignee, ancora visibile, vennero finemente intagliate da Giò Battista Fumari con motivi a fusarole, perle e foglie d’acqua. Alle pareti, oggi del tutto scomparsa, una carta dal motivo rigato color blu argenteo, fornita come le altre del Castello, nel 1794, dal libraio torinese Carlo Maria Toscanelli. Nel 2004 è stata riposizionata una delle due sovrapporte opera di Antonio e Giovanni Torricelli, rappresentante Le tre grazie, mentre l’altra raffigurante Bacco e Arianna è andata perduta, entrambi erano ancora al nel 1936

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Un velo per l’affresco

“Due falzoletti di garza e n.9 di garza Inglese di diverse qualità, stata rimessa alli Pittori Fr.li Torricelli acciò q.ti se ne servissero di modello nelle pitture “ acquistati dal mercante Sorelli e Marentin per un totale di 39 lire “. I fratelli Torricelli, attenti ad ogni particolare, per essere più veri del vero, si serviranno di questi veli per l’affesco della volta. Curiosa è anche la scelta dell’arredamento, per questo viene stilato un elenco di “Mobili da provvedersi per il Reale Castello di Rivoli”.. In questo ambiente si prevedeva di collocare quattro “cadreghe”, due “taboretti” e anche un “letto alla turca”, ma  venne però fatto, giustamente, presente che questo spazio “non sarà troppo praticabile per essere il sito alquanto angusto”. Purtroppo poco ci è dato di sapere rispetto al reale stato dell’arredamento, in un regesto del 1846, non si citano mobili, ma la si chiama sala del bagno, prendendo spunto da una delle definizioni, quella di toeletta.

Sala 26

Sala dei Falconieri già Appartamento dei duchi d’Aosta, Gabinetto a fiori, animali e putti

Nel 1792 la sala viene citata come “Gabinetto da toeletta, con piccola alcova annessa” ricoperto da “Stoffa all’Ottomana con padiglione sopra. Tappezzeria di basino turco di fondo giunchiglia con righe lilla vivace, contornate di piccole righe di bianco argento”, che purtroppo è andata perduta. La sala, oggi interessata dall’opera dell’artista Lothar Baumgarten, presenta la volta oggi pesantemente ridipinta, un soggetto a “fiori, animali e putti”immersi in  una scena arcadica con edifici classicheggianti, e un palazzo, che ricorda molto il Castello nel progetto juvarriano realizzata tra il 1793 e il 1794dal pittore Angelo Vacca, specialista nella pittura di animali. Lo zoccolo è nuovamente caratterizzato da animali quali cagnolini, gatti e animali da cortile. Le sovrapporte ospitano dei medaglioni dipinti attribuiti ad Angelo Vacca senior ricollocati nella loro sede nel 2004 . Essi formano un piccolo ciclo a soggetto amoroso e mitologico. All’interno di medaglioni, dipinti a grisaille, incorniciati da fiori e selvaggina, rovine architettoniche che narrano  le storie di Giove e Ganimede, Diana ed Endimione, Venere ed Adone. La decorazione rispecchia l’attenzione del duca d’Aosta  per il gusto decorativo inglese di cui gli Adam sono stati fautori.

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La volta della sala, eco del progetto juvarriano

La volta della sala dei Falconieri presenta personaggi classicheggianti, animali e un tempietto, ma anche la raffigurazione di un edificio coronato da una balaustra , statue e trofei, che ricorda molto da vicino il progetto di Filippo Juvarra per il Castello di Rivoli, riscontrabile in altri suoi edifici come, ad esempio, a Palazzo Madama. Il progetto dell’architetto messinese per Vittorio Amedeo II, parte da quello elaborato da Michelangelo Garove, urbanista e architetto attivo a Rivoli, tra il 1703, subito dopo le devastazioni dell’esercito francese e il 1713, anno della sua morte. Juvarra, riprende i lavori nel 1718, e a corredo dei progetti egli fa realizzare da Gian Paolo Pannini,  Andrea Lucatelli, Marco Ricci e Massimo Teodoro Michela, dei grandi quadri che rappresentano gli esterni del Castello su tutti i lati, l’atrio e il grande salone da ballo. Quattro di questi,  del Pannini e del Lucatelli provenienti da Roma, via mare, rischiarono di non giungere mai in Piemonte, perché la nave che li trasportava si imbatté in una tempesta e  rischiarono di essere buttati fuoribordo. A corredo, poi, il modello ligneo realizzato da Carlo Maria Ugliengo nel 1718 e rimasto al Castello sino al 1740, quando venne trovato nella legnaia della Caserma. Esso oltre che essere corredato dai giardini, andati persi durante la guerra, è apribile e presenta sulle pareti degli schizzi tracciati a matita e a penna dallo stesso Juvarra raffiguranti le decorazioni da realizzarsi. Evidente la trasformazione in scenografica residenza e simbolo della monarchia assoluta, tra le prime novità, l’abbattimento della Manica Lunga, seicentesca Pinacoteca Ducale,  per costruite al suo posto accogliere un’ala speculare a quella già presente. Al centro un corpo più alto per ospitare l’atrio e al piano nobile il grande salone da ballo, quest’ultimo mai realizzato.

Sala 21

Sala di Udienza o dei Putti già appartamento dei Duchi d’Aosta, Camera d’Udienza della Principessa Beatrice

La camera da letto della Principessa Maria Beatrice, primogenita dei Duchi d’Aosta presenta, sulla volta una decorazione caratterizzata da gruppi di putti intenti a giocare o a suonare, e che si affacciano da una balaustra, opera del pittore monregalese Giovenale Bongiovanni, datati tra il 1793 e il 1794. Sui due lati corti, vi sono altrettanti riquadri con i simboli dei reali genitori: il leone della Val d’Aosta e l’aquila a due teste degli Asburgo. Nella sala vi sono sovrapporte e dipinti per trumeau appartenenti allo stesso periodo, sempre di Giovenale Bongiovanni, riportati al Castello nel 2004 . I dipinti che, recenti studi, hanno sottolineato avere delle non comuni qualità pittoriche, hanno come protagonisti, fanciulle vestite da contadine, insieme a bambini e giovani innamorati, iconografie tipicamente iscritte nel gusto arcadico settecentesco. Le pareti hanno ancora lacerti di carta da parati a motivi floreali dello stesso periodo. Da una delle finestre della sala si può vedere il balcone settecentesco in ferro battuto con il monogramma di Vittorio Amedeo II, datato tra il 1711 e il 1713 nel periodo in cui lavora a Rivoli Michelangelo Garove.

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Maria Beatrice di Savoia

Maria Beatrice di Savoia

(Torino, 1792 – Cattajo, 1840)

Primogenita di Vittorio Emanuele e Maria Teresa d’Asburgo-Este, destinata ad una vita privilegiata, vive in un frangente storico certamente drammatico per i Savoia e per tutta l’Europa, a cavallo tra la Rivoluzione francese e la Restaurazione. Il 20 giugno 1812 Maria Beatrice sposa, con dispensa papale, lo zio materno Francesco d’Asburgo-Este. Il marito diviene il 14 giugno 1814 Francesco IV, duca di Modena, Reggio e Mirandola. Durante il Congresso di Vienna si parla di una possibile salita al trono del Regno di Sardegna di Maria Beatrice, sebbene in Casa Savoia dal 1307 salissero al trono solo maschi. Alla fine nella seduta del 3 dicembre 1814 si sancì che la successione era maschile e per ordine di primogenitura sia nel ramo regnante che quello dei Savoia-Carignano, per cui se non vi fossero stati eredi sarebbe divenuto re di Sardegna Carlo Alberto. Curiosamente Maria Beatrice per i cattolici britannici era formalmente la legittima sovrana di Scozia e Inghilterra, diritti ereditati dai Savoia tramite il lontano cugino Enrico Benedetto Stuart, cardinale di York. Appassionata di pittura e letteratura compose due libretti per opera lirica il Ruggiero e l’Antigono e come molte sovrane della sua epoca si dedicò alle opere di beneficienza.

Testo introduttivo

Titolo

Moderno e contemporaneo è l’ultimo piano del Castello, un tempo ospitava piccoli appartamenti per i membri della corte, anche se in alcuni documenti di parla di altri per i principi cadetti. La servitù era alloggiata nel sottotetto, oggi non più esistente. Il restauro di Andrea Bruno, volutamente mostra le strutture portanti, prive di ogni decorazione. Allo stesso periodo risale la passerella che sovrasta l’estradosso della volta di fine ‘700, visibile dopo che il pavimento ligneo è andato perduto durante l’ultima guerra mondiale.

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Le rosse capriate che sovrastano l’estradosso della volta della sala 18 , realizzate in cemento armato sono una rara testimonianza post guerra ancora esistente.