Mario Merz

12 gennaio 2005 - 27 marzo 2005

Mario Merz a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Ida Gianelli, Beatrice Merz

“Se la forma scompare la sua radice è eterna”: in questo verso del poeta mistico Rumi si ritrova la complessa visione di Mario Merz, basata sull’ideale continuità dinamica del cosmo, degli esseri viventi e dei processi di trasformazione della natura. Indagine poetica e conoscitiva, la ricerca dei principi che regolano l’universo organico si articola attraverso opere che rappresentano i progressivi riconoscimenti effettuati dall’artista all’interno dei segreti del mondo sensibile. La mostra al Castello di Rivoli raccoglie alcuni tra i più significativi momenti del percorso dell’artista a partire dal 1968, anno in cui Merz unendo il presente a un passato pre-storico inizia a impiegare la forma dell’igloo. Struttura abitativa e arcaica metafora del cosmo, l’igloo appartiene alla cultura nomade e coerentemente con questo principio esso è la forma che accompagna il cammino dell’artista. Realizzato in argilla, metallo, vetro, asfalto, juta o fascine, l’igloo di Merz trova materiali e proporzioni in relazione organica ai luoghi, e diventa doppio o triplo alternando condizioni di apertura e chiusura, trasparenza e opacità. Ambiente di incontro, nei primi esemplari realizzati negli anni della guerra del Vietnam e delle rivolte studentesche, accoglie sulla propria cupola motti e frasi che esulano dall’aneddoto, per confermare invece la ricerca di principi filosofici, come nel caso della frase del Generale Giap “se il nemico si concentra perde terreno se si disperde perde forza”. Forma reale e simbolica, l’igloo rappresenta nello spazio tridimensionale il dinamismo della spirale, segno del movimento cosmico che comanda l’iconografia dell’artista. In ambito matematico essa corrisponde alla progressione di Fibonacci, la sequenza numerica individuata dall’abate Leonardo da Pisa all’inizio del Duecento, secondo la quale ogni numero corrisponde alla somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34…). Merz usa i numeri Fibonacci come dato che descrive le leggi della natura attraverso la verità dei numeri, riconoscendo in esso un sistema capace di rappresentare la crescita nello spazio di un oggetto. Con la serie di Fibonacci, l’artista inserisce le proprie opere nel ciclo continuo di trasformazione che regola l’universo fisico, proiettandole nell’infinito. Così accade per Accelerazione = sogno, numeri di Fibonacci al neon e motocicletta fantasma, 1972, la motocicletta esposta alla Documenta di Kassel, ibrido tecnologico-animale lanciato in una corsa virtuale o per lo spazio esterno della Manica Lunga di Rivoli, animato dalla progressione dei numeri al neon (1990). La relazione tra spazio, persone e cose è indagata da Merz attraverso la tematica dei tavoli, considerati il primo tassello nella costruzione di una possibile “Casa Fibonacci”. Luogo dello scambio sociale, il tavolo è presente sia come struttura fisica sia come immagine pittorica, pratica che l’artista ritrova all’inizio degli anni Settanta proprio a partire da questo tema. Accogliendo ortaggi, frutta, fascine giornali, in Tavolo a spirale in tubolare di ferro per festino di giornali datati il giorno del festino, 1976, l’opera diventa quello che l’artista definisce un vero “paesaggio moderno”. Nella visione panica di Merz, durante gli anni Ottanta diventano numerosi i dipinti di animali. Ad essi la mano dell’artista regala la dignità di creature appartenenti al mito. Il bestiario include coccodrilli, lucertole, iguane, rinoceronti, leoni, tigri, bisonti e ancora animali notturni, come gechi o gufi, in quanto gli animali sono per Merz “la notte dell’umanità”, più antichi di essa. Talvolta gli animali sono animati da barre al neon, lance luminose che imprimono ulteriore velocità alla pittura. Il particolare sentimento del tempo, libero dalla logica della successione lineare, che guida il pensiero di Merz è evidente nella capacità dell’artista di attingere contemporaneamente a tutti i temi individuati nel corso della propria ricerca. Ogni nuova opera può accogliere e compenetrarsi con un’altra precedentemente realizzata, originando nuove proliferazioni di senso. In Senza titolo (Tavolo per Marisa), 2003, la lancia, vettore già individuato nelle opere degli esordi dell’Arte Povera, entra nella dinamica del tavolo, imprimendo alla dedica contenuta nell’opera il valore di una dimensione infinita. Marcella Beccaria