Ettore Spalletti
Ettore Spalletti afferma di ritenere l’azzurro fondamentalmente un colore atmosferico. Un colore che non esiste come superficie, ma vive come condizione ambientale che abbiamo intorno. Ha inoltre spiegato che utilizza il rosa pensando all’incarnato, un colore in continua mutazione, che non trova mai la sua fissità perché si alimenta degli umori delle sue condizioni spirituali, della sua intelligenza. L’incarnato si modifica continuamente. Non è un vero colore. Ma anche l’azzurro non esiste in natura. E’ difficile trovare l’azzurro se non in una realtà impalpabile, che non è superficie, che è profondità.
In queste sue riflessioni ritroviamo l’essenza della sua arte fatta di forme e di colori. La sua è una pittura che si articola nello spazio, volumetrica e architettonica, ma anche diafana e leggera. E’ materia, ricca di suggestioni atmosferiche. E’ una ricerca verso un colore interiore che emerge come condizione specifica del suo linguaggio e che si alimenta degli echi del suo mondo spirituale. Le opere di Ettore Spalletti, dipinti, disegni, sculture, vivono il respiro di un cromatismo intriso degli umori e della luce della sua terra d’origine, l’Abruzzo. In un procedimento lento che prevede la preparazione di un impasto con colla, gesso e pigmento, l’artista lavora con una carta abrasiva lo spessore del colore raggiunto al fine di ottenere una polvere che restituisca alla superficie quella realtà impalpabile, quella impressione atmosferica a cui aspira. I rosa, gli azzurri, i grigi, i bianchi, i verdi e i gialli di Spalletti liberati dalla pesantezza della materia definiscono dei nuovi volumi, corpi quadrati, rettangolari, rotondi, figure geometriche e forme di oggetti sottratti alla realtà quotidiana animano la fantasia del suo mondo espressivo e rinnovano l’idea del luogo in cui si collocano. Le opere in collezione ben testimoniano questa attenzione insita nei suoi lavori a ridefinire e reinventare gli spazi. Presenza stanza ,1978, è una pittura su tavola che perde i connotati di un quadro dalla visione frontale e statica per diventare una architettura che si muove nell’ambiente. La sua solitaria ed enigmatica presenza verticale instaura una forte relazione con ciò che la circonda determinando e delineando i confini del luogo in cui si dispone. Anfora Bacile, Vasi, 1982, si espande in senso tridimensionale distribuendosi nella spazio secondo una successione ritmica. Queste sculture abbandonano la forma di oggetti comuni per diventare dei corpi assoluti la cui identità risiede nella loro presenza cromatica. Sono forme animate che modulano con il loro palpito la materia, i volumi e le architetture. Quella di Spalletti è un’arte apparentemente solitaria e silenziosa, che invece riserva per chi la contempla i rumori del suo mondo privato e la scoperta dei suoi paesaggi interiori. Sono contenitori di sentimenti e sensazioni quelli che ritroviamo sotto lo spessore delle sue superfici, sotto la preziosa sostanza che riluce nei contorni dei suoi volumi. Sogno Dispari, 1983, Dono, 1991, e Muro, eco rosso azzurro, 2003, instaurano un principio di asimmetria nella sua poetica. Le opere si discostano dalla parete, si dirigono verso l’esterno suggerendo tensioni e instabilità. I livelli sfalsati, i bordi incurvati e le sottili alterazioni compromettono un rigore geometrico a cui il linguaggio dell’artista si sottomette solo in apparenza. La superficie di queste opere non è piatta, né omogenea o impersonale, ma sollecitata e personalizzata dalla dimensione intima di chi le ha create. In Quartetto, rosso porpora, 1991, la pastosità materica della superficie regola la luce conferendo al luogo una dimensione tattile. La luce si riscopre colore, presenza viva, che modula e definisce una pittura di contatto in dialogo continuo con il mondo circostante. Il ricorso costante allo spazio da plasmare e da cui attingere per creare nuove visioni si ritrova anche in singole opere come Fonte, 1986, che è la trasformazione di una scultura in un oggetto urbano che ridisegna l’ambiente in chiave non monumentale, e Scoglio, 1997, che è una forma che si apre alla visione di un paesaggio marino. In questa struttura elementare che rappresenta un semplice cubo, ma che recupera una dimensione “altra” in termini di meraviglia e di stupore aprendosi alle immense profondità del mare, si ritrova il suo interesse a dare voce ai propri sogni e alle proprie idee, a evocare i luoghi dell’anima, territori sedimentati nella memoria che conservano il ricordo di immagini suggestive e poetiche. Vaso, 1981, sintetizza il desiderio di Spalletti di reinventare una scultura viva, che respiri la materialità dei suoi colori e si animi della personalità del suo creatore. In questo, che è uno dei pochi lavori fotografici realizzati, un uomo (forse l’artista) innaffia una figura geometrica (forse una delle sue sculture) che si conferma sostanza preziosa, organismo vivente da curare e da nutrire.
[GC]