Mario Merz

Mario Merz creava le sue opere con materiali eterogenei e quotidiani – dai tondini di metallo ai frammenti di vetro, dalla frutta fresca alle fascine, dalle pile di giornali ai tubi al neon, dalle parole ai numeri. Non credeva nelle distinzioni tra natura e cultura, e spaziava sperimentalmente anche attraverso le tecniche. Ha realizzato sculture, dipinti, fotografie e perfino alcuni video ed è stato tra i primi artisti contemporanei a sviluppare negli anni Sessanta l’arte dell’installazione.
Pur creando dipinti densi e «materici» già a metà degli anni Cinquanta a Torino, pitture che spesso raffigurano elementi naturali quali foglie o animali, Merz si afferma come protagonista dell’Arte Povera italiana attorno al 1967. Tra i suoi primi lavori di Arte Povera sono una serie di sculture fatte con oggetti comuni che si compenetrano, le sue opere esprimono un interesse per l’accumulazione, per la crescita organica, per il dinamismo e la vitalità in generale. L’immagine della chiocciola e della spirale ricorrono simbolicamente nella sua opera, come nel dipinto intitolato Lumaca, 1976, fatto di creta e tempera su tela grezza al centro del quale campeggia un vero guscio di chiocciola.
Nel 1967 lavora al suo primo Igloo, una struttura emisferica a cupola che rappresenta un’ideale architettura temporanea e nomadica, una casa antica e contemporanea al tempo stesso, un simbolo della volta celeste e della convivialità. Transitori, cangianti, fisici e «concettuali», gli Igloo si moltiplicano e si declinano diversamente nelle mostre che Merz presenta da quel momento. Sono realizzati in metallo, fango, sacchi di sabbia, rami, cera, pietre e altri materiali. I tre Igloo nella collezione permanente del Castello di Rivoli, datati tra il 1968 e il 1981, si articolano in modo diverso, ma relazionato: il più antico, e anche il più piccolo (due metri di diametro – a dimensione di una persona seduta), è Igloo con albero, 1968-1969. Fatto in tubolare di ferro, vetri e stucco, dalla sommità fuoriesce un albero che suggerisce la compenetrazione tra architettura e mondo naturale. L’Igloo (Tenda di Gheddafi), 1968-1981, è più grande ed è coperto da una tela di iuta dipinta con il motivo delle lance. Infine, la grande installazione Architettura fondata dal tempo – Architettura sfondata dal tempo, 1981, coniuga l’igloo in tubolare di ferro, pietre e vetri con una struttura circolare in ferro e fascine che sinuosamente si estende a partire da esso. È attraversato («sfondato») da una grande tela dipinta che raffigura un immaginario animale preistorico: l’architettura (l’igloo), che è «fondata» dal tempo della civiltà, è a sua volta «sfondata» e continuamente rimessa in questione (e in gioco) dinamico dal tempo della natura. Animale terribile, 1981, è un grande dipinto che raffigura un animale, forse un rinoceronte, ed è realizzato unendo pittura su tela con tubolare in ferro, quasi a sottolineare con il tubolare la forza dell’animale antico.
Intorno al 1970, inizia a sperimentare con la nozione di crescita esponenziale, e in particolare con la serie numerica di Fibonacci, individuata dall’omonimo matematico pisano nel Medioevo. In questa serie, ogni numero è la somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 ecc.) ovunque in natura, come immagine di proliferazione. I numeri, secondo le parole dell’artista, sono «un’invenzione fantastica», qualcosa di razionale che rende possibile l’avvicinarsi all’irrazionalità della vita. Nel 1971 inizia una serie di interventi con i numeri realizzati al neon e disposti negli interni o sugli esterni di edifici. Il neon, in quanto flessibile, permette all’artista di riproporre la scritta stenografica del numero, veloce e immediata. Senza titolo (Una somma reale è una somma di gente), 1972, emerge dal suo interesse per la relazione tra i numeri e vita reale, ed è stato realizzato combinando una serie di fotografie di un crescente numero di persone sedute a mangiare in un ristorante torinese con una serie di Fibonacci di numeri al neon a celebrazione della convivialità e della socializzazione.
Manica lunga da 1 a 987, 1990, (non riprodotto) appartiene a questa famiglia di lavori: i sedici primi numeri della serie di Fibonacci in neon blu sono situati sull’esterno in mattone della Manica Lunga del Castello di Rivoli, in prossimità delle sedici grandi finestre che scandiscono il lungo edificio. Già nel Seicento preposto a galleria d’arte dalla famiglia Savoia, l’edificio viene riattualizzato in un incontro fra passato e contemporaneo, dove la finestra – membrana di confine tra interno ed esterno – assume un valore primario di relazione e compenetrazione.

[C.C.B.]