Remo Salvadori

Remo Salvadori agli inizi degli anni Settanta utilizza la fotografia o gli oggetti comuni, disseminandoli nello spazio, per reinterpretare concetti filosofici o figure archetipiche o legate al mito. Lo spazio è sempre il riferimento principale dell’artista, che lo interpreta come fonte di energia psichica creatrice, cosicché anche il suo studio viene tematizzato nell’opera, e trasfigurato nelle risonanze spirituali che sempre gli ambienti e gli oggetti assumono nel suo lavoro. Nell’opera dell’artista ricorrono forme geometriche interpretate come simboli di stati esistenziali ed entità cosmiche (il quadrato, elemento stabile, appartenente alla terra; il cerchio relativo al cosmo e alla trascendenza) o immagini ricorrenti interrogate nella loro polisemia.
Per Salvadori l’opera d’arte nasce sempre come volontà di percepire, ponendosi in relazione con la «sonorità» interiore dello spazio in cui essa viene creata. Ne La stanza delle tazze, 1985-1986, otto elementi in forma di tazza sono disposti a parete, secondo posizioni orbitali che alludono al segno dell’infinito, estendendo vertiginosamente lo spazio dell’ambiente. La tazza, come altri tipi di contenitore che appaiono nell’opera di Salvadori, viene assunta dall’artista in quanto elemento tangibile, quotidiano e alchemico, capace di testimoniare il desiderio di contatto e scambio tra sé e gli altri. «Per me – nota l’artista – la tazza è la possibilità di passare da uno stadio illusorio bidimensionale a uno stato reale, a più dimensioni». In tela su rame, gli otto elementi sono lavorati con cera e pigmenti che includono le colorazioni primarie – rosso, giallo, blu – e oro, bianco, nero, verde e fior di pesco. Lampada, 1988-1989, consta di nove elementi, ciascuno composto di un foglio di carta in posizione diagonale. Ogni foglio reca al suo centro un anello di bronzo che contiene un acquerello, con una zona centrale gialla contornata da una blu. La figura del cerchio è indicata dall’anello di bronzo, che sembra il fulcro intorno a cui ogni elemento ruota e che con la sua fisicità dona rilievo ed evidenza plastica. Il colore invece manifesta l’immaterialità e la luce, e il lavoro verte propriamente sul rapporto fra scultura che comprime il flusso luminoso del colore e per conseguenza ne accentua l’irradiamento e l’accensione. La relazione è posta anche fra bronzo come elemento del fuoco (la fusione del metallo che consente di dargli forma), e pittura ad acqua. L’acquerello è il connubio tra pigmento e acqua, dunque veicola nella sua consistenza quasi immateriale l’idea stessa della luce, del colore/luce come vibrazione e sublimazione della materia. I nove elementi che compongono l’opera sono relativi ai diversi luoghi in cui ciascuno è stato realizzato. Ogni foglio è caratterizzato quindi da un diverso grado di luminosità perché si riferisce a un diverso momento e luogo. Anche fra i colori prescelti per la stesura ad acquerello, il blu e il giallo, si instaura un rapporto di complementarità: il giallo ha forza centrifuga e trova nel principio opposto, centripeto, del blu, un elemento di equilibrio. La scelta dei colori effettuata dall’artista richiama, come nel caso dell’opera precedente, le teorie dell’antroposofo Rudolf Steiner, elaborate come approfondimento della teoria dei colori di Goethe. Tutto il lavoro di Salvadori verte sull’idea di superamento dei principi di opposizione, che gli deriva dalla frequentazione delle scienze antroposofiche come disciplina interiore espressa nell’arte, in modo da giungere a una percezione spirituale della realtà.

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