Stefano Arienti

Attraverso un processo manipolativo, ripetitivo e quasi maniacale, Stefano Arienti  trasforma gli oggetti più banali e consueti prelevati dalla realtà quotidiana – elenchi telefonici, fumetti, orari dei treni e poster – in sculture che, pur mantenendo l’aspetto fragile e caduco del medium utilizzato, manifestano l’interesse dell’artista nei confronti delle potenzialità comunicative implicite nelle immagini appartenenti alla cultura di massa. Sono proprio le immagini più popolari in quanto largamente diffuse e quindi più riconoscibili, a diventare occasione per una rielaborazione del tutto personale. Grazie a piccoli gesti come il piegare le pagine di un libro, il cancellare alcune parti di un manifesto o il ricalcare una sagoma conservandone solo pochi punti, l’artista interviene proprio sull’immediata riconoscibilità dell’icona creando uno spiazzamento percettivo in chi osserva e attenuando il potenziale comunicativo dell’immagine.
In Clint, 1994-1995, seguendo uno dei suoi più consueti procedimenti, Arienti interviene su un manifesto con il ritratto di Clint Eastwood, con cancellature che in parte commutano l’immagine originaria. Trasformando un personaggio molto conosciuto del cinema in un soggetto dall’aspetto completamente diverso con il volto deformato in maniera angosciante, Arienti utilizza tutta la forza espressiva dell’immagine rivelando le debolezze e le insicurezze delle società contemporanea.
Chimica Organica, 1988, nasce invece da un vecchio testo universitario le cui pagine sono state piegate e graffate a formare un lungo serpente. Posizionata di volta in volta in maniera differente a seconda dello spazio espositivo, questa scultura antropomorfa cambia continuamente la sua forma per adattarsi secondo un processo quasi darwiniano al luogo a lei destinato. L’aspetto comunque ludico del lavoro si pone in contrapposizione con il metodico processo distruttivo perpetuato dall’artista nei confronti del libro.
Il procedimento che porta alla realizzazione dell’opera è fondamentale all’interno della pratica dell’artista che non nasconde il suo interesse per l’Arte povera e processuale, ma soprattutto per il lavoro di Alighiero Boetti.
Nella proiezione di trenta diapositive Senza titolo, 1991-1992, il processo manipolativo attraverso il quale Arienti ha modificato le trenta immagini che compongono l’opera è ancora più evidente. Intervenendo direttamente sulle diapositive con graffi, fori e bruciature, ha completamente trasformato le immagini preesistenti; scorci cittadini, fiori, nature morte, fotografie provenienti dalla sfera più intima e personale dell’artista vengono in questo modo da lui metodicamente distrutte, quasi torturate attraverso un modus operandi che, pur conservando la violenza del gesto mantiene tutta la delicatezza e l’intimità che sempre contraddistingue i suoi lavori.

[COB]

Le opere di Stefano Arienti nascono dall’appropriazione di immagini esistenti che l’artista raccoglie, cataloga e poi rielabora avvalendosi di un’ampia varietà di processi di manipolazione. Bucare, cancellare, ricalcare, graffiare, ricoprire sono solo alcune delle tipologie di azioni eseguite dall’artista, secondo una ampia metodologia che a sua volta produce ulteriori immagini e nuovi significati, restituendo racconti che hanno come protagonisti la memoria, il tempo e i sentimenti. Cartoline, 1990-1991, appartiene ad una ricerca nella quale Arienti incide su lastre di polistirolo dettagli di immagini riconducibili a opere d’arte, monumenti, paesaggi, utilizzando al tempo stesso cartoline o biglietti augurali. L’inedita raccolta così ottenuta contraddice tradizionali classificazioni. Scegliendo come supporto il polistirolo, materiale fragile ma spesso usato per proteggere e imballare quanto è più delicato, l’artista apre inoltre l’opera a una particolare relazione con il tempo e il concetto di effimero.

[MB]