Dan Graham

Dan Graham è tra gli artisti concettuali che dalla metà degli anni sessanta sperimentano nuovi approcci estetici e metodologici verso l’oggetto artistico portandolo verso la smaterializzazione e rivendicando il ruolo preminente dell’idea rispetto alla sua realizzazione. Forse tra i più eclettici nel cercare nuove vie per l’espressione artistica, Graham è stato anche gallerista e autore di diversi articoli critici su arte, televisione e cinema, prima di realizzare opere che, attraverso la sperimentazione di diversi mezzi e tecniche, comprendono video, performance, fotografie, fino ai noti padiglioni.
I suoi primi film, realizzati tra il 1969 e il 1974, evidenziano l’interesse per l’immediatezza del medium e per la sua capacità di trasporre senza mediazioni e rielaborazioni lo scorrere reale del tempo così come ripreso dalla macchina cinematografica. In Sunset to Sunrise (Dal tramonto all’alba), 1969, il tempo è quello del tramontare e del sorgere del sole. La cinepresa inizialmente inquadra al tramonto il sole all’orizzonte per poi – con un movimento a spirale rivolto verso il cielo – allargarsi fino a dare visione dell’intera volta celeste mentre una spirale in senso inverso viene descritta dalla cinepresa nel medesimo luogo, all’alba del giorno dopo, per concludersi sulla linea dell’orizzonte con il sole che sorge. Il sole definisce il punto d’origine e di termine della ripresa e scandisce il passaggio del tempo.
In Binocular Zoom (Zoom binoculare), 1969-1970, il tempo è quello dell’apertura degli obiettivi zoom di due piccole cineprese che, poste all’altezza di ciascuno degli occhi dell’operatore, inquadrano il sole parzialmente velato da nuvole. Proiettate l’una accanto all’altra, le due immagini evidenziano la loro disparità man mano che lo zoom delle telecamere allarga il campo visivo alla medesima velocità, ma l’occhio dell’osservatore per un attimo si identifica perfettamente con la visuale delle cineprese.
Graham è particolarmente interessato alle potenzialità percettive dell’uomo e al suo rapporto con lo spazio fisico, il corpo umano è trattato come un ricettore di stimoli e la cinepresa è utile nella ricerca dell’identificazione dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. In Roll (Rotolare), 1970, due proiezioni mostrano un performer mentre si rotola per terra, e la ripresa effettuata dallo stesso performer mentre rotola con la telecamera in mano. Agli occhi dell’osservatore la sensazione del movimento è continua, ma la relazione tra il corpo in movimento e la percezione del movimento stesso crea un forte senso di straniamento. L’attenzione al corpo e alle modalità di percezione dello spazio in relazione ad esso è presente anche in Helix/Spiral (Elica/Spirale), 1973, e nel precedente Helix/Spiral (Simone Forti) (Elica/Spirale – Simone Forti), 1973, dove la stessa azione è eseguita dall’artista con la performer e ballerina Simone Forti. Un operatore al centro della scena fa scorrere la cinepresa intorno al proprio corpo riprendendo lo spazio circostante mentre contemporaneamente il secondo operatore inquadra il centro della scena muovendosi a spirale. Le due camere vengono proiettate simultaneamente su due schermi opposti riflettendo i movimenti di ciascun operatore e definendo uno nuovo spazio di azione nell’ambiente: quasi a seguire i dettami di un moderno uomo vitruviano, è il corpo di ciascun performer che determina la visione della videocamera e di conseguenza i confini della ripresa.
L’interesse per il visitatore e soprattutto per il suo rapporto con l’opera d’arte, ritorna in maniera preponderante nei padiglioni in vetro specchiante che l’artista realizza a partire dalla metà degli anni settanta. In molti di questi, realizzati sia in vetro che in vetro specchiante, lo spettatore si trova in dialogo con se stesso attraverso un gioco di specchi che lo rende parte integrante dell’opera. A metà tra manufatto architettonico – del quale ammira la funzionalità – e oggetto scultoreo, i padiglioni dialogano con l’uomo e con l’ambiente circostante ricercando nuove possibilità di sperimentazione per l’osservatore.
Il padiglione in collezione Children’s Day Care, CD-Rom, Cartoon and Computer Screen Library Project (Asilo per bambini, CD-Rom, progetto per una biblioteca di cartoni animati e schermo di computer), 1997-2000, è stato realizzato per la prima volta come padiglione interno in occasione di Skulptur Project Muenster nel 1987. Pensato appositamente come un ambiente per bambini, in cui essi possono sentirsi liberi di giocare, guardare i cartoni animati o leggere i fumetti, il padiglione sembra ergersi a difesa della libertà e contro l’educazione omologante e costrittiva che livella gli individui rendendoli, già in giovane età, facile preda del dilagante consumismo. Sembra quasi un lusso, se non un’utopia, l’esistenza di un luogo dove ciascun essere umano possa sentirsi veramente libero.

[COB]


Le prime opere realizzate da Dan Graham a partire dalla metà degli anni sessanta, nascono in risposta all’arte del periodo e ad alcuni aspetti del sistema artistico. Dopo una breve esperienza come direttore di una galleria commerciale, durante la quale si trova a diretto contatto con l’allora nascente movimento del Minimalismo, decide di utilizzare per la presentazione delle proprie opere pagine di riviste a larga diffusione. Rispetto al contesto offerto dai tradizionali luoghi deputati all’arte, è infatti attratto dalla più stretta relazione con il tempo reale offerta dalla stampa, i cui contenuti si devono rinnovare ogni giorno, settimana o mese, presentando ai lettori una temporalità che non aspira all’eternità dell’arte. Pubblica così, su pagine altrimenti destinate alla pubblicità, lavori di natura concettuale, che sovvertono la logica Pop di adottare immagini prelevate dal contesto mediatico e dalla cultura di massa e che riflettono sull’idea di arte quale prodotto economico.
Interessato alla complessa relazione esistente tra l’opera d’arte e l’osservatore, a partire dagli anni settanta, Graham inizia a utilizzare performance, video e film. Attraverso la performance, che il video può documentare in tempo reale, l’artista indaga nuove definizioni del concetto di pubblico, sollevandolo dalla tradizionale posizione di semplice osservatore dell’evento. In questo senso, Graham, anche quando espone se stesso, sperimenta modalità che permettono al pubblico di trovarsi in posizione analoga e ugualmente importante a quella del performer. La rilevanza data al processo visivo quale elemento fondante del contenuto e del significato dell’opera è sviluppata nei film che produce tra il 1969 e il 1974. In essi, attraverso la sua dichiarata presenza nell’ambito dell’opera, la telecamera asserisce la preminenza dell’atto visivo. È tuttavia il video, spesso presentato nel contesto di strutture simili a modelli architettonici, il mezzo che permette all’artista di analizzare con maggiore libertà le tematiche relative alla visione e alla sua relazione con le dimensioni spaziali e temporali. In diverse installazioni presentate nel corso degli anni, impiega telecamere collegate a monitor che permettono al pubblico di vedere la propria immagine percependola in un tempo e uno spazio sfalsati rispetto a quelli durante i quali è avvenuta la registrazione. Le categorie relative a presente, passato, futuro, sono in questo modo riesaminate, così come, grazie all’impiego di vetri e specchi, i concetti di interno/esterno e pubblico/privato sono più volte posti sotto esame. Soprattutto, fondamentale diventa il ruolo del pubblico, senza il quale non ci sono le condizioni per l’esistenza dell’opera d’arte. Nei lavori di Graham, l’osservatore infatti corrisponde spesso a chi è osservato, ed entrambi sono soggetto e oggetto dell’opera. A sua volta, da tradizionale oggetto il lavoro artistico diventa un processo fluido, aperto al mondo circostante e capace di interagire e avere parte attiva nell’ambito dello scambio sociale.
Queste tematiche sono ulteriormente approfondite dall’artista nei padiglioni che produce a partire dal 1980. Costruiti in metallo e vetro, essi sono caratterizzati da un’estetica che intenzionalmente rimanda all’architettura modernista e alla scultura minimalista, sottoponendo entrambe ad una profonda indagine critica. I padiglioni di Graham, spesso situati all’esterno come vere costruzioni indipendenti, funzionano come strutture percorribili. L’uso di vetri più o meno opachi o riflettenti, contribuisce a rinnovare l’indagine dell’artista relativa ai confini tra la presunta identificazione di interno quale dimensione privata ed esterno quale luogo pubblico, rinnovando la questione relativa alla definizione dell’opera d’arte e il suo contesto. [MB]

Elenco opere

Past Future Split Attention (Passato futuro attenzione divisa), 1972
Video, bianco e nero, sonoro, 17’03”
Castello di Rivoli Museo D’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
All’interno di uno stesso spazio, due persone che si conoscono parlano al microfono: un uomo predice il comportamento dell’altro, mentre l’altro uomo rievoca comportamenti passati del conoscente. La performance che il video documenta rappresenta una delle indagini dell’artista sugli aspetti psicologici dello spazio e del tempo.

Performer / Audience / Mirror (Performer / pubblico / specchio), 1975
video, bianco e nero, sonoro, 22’52”
Castello di Rivoli Museo D’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
In tempo reale, l’artista descrive al pubblico i propri gesti e poi descrive il pubblico stesso. Successivamente, si pone di fronte a un muro specchiante e ricomincia le due descrizioni guardando la realtà riflessa.

Minor Threat (Minaccia minore), 1983
video, colore, sonoro, 38’18”
Castello di Rivoli Museo D’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Con stile documentario, l’artista documenta un concerto dei Minor Threat, un gruppo di Washington, DC che fa musica hardcore, un genere di musica analoga al punk ma a differenza di esso peculiare alle zone suburbane. Il video espone l’aggressività che il concerto scatena e rappresenta un capitolo dell’approfondita indagine sulla musica popolare e le sue implicazioni rituali che l’artista ha condotto in alcuni suoi lavori.

Rock My Religion (Il rock, la mia religione), 1982-1984
colore, bianco e nero, sonoro, 55’27”
Castello di Rivoli Museo D’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Facendo uso di testi scritti, materiale sonoro e visivo, l’artista intende dimostrare la stretta relazione tra la religione e il rock. Il video rievoca innanzi tutto la storia degli Shakers, setta religiosa fondata da Ann Lee, una donna che riteneva di essere l’incarnazione femminile di Cristo. In particolare, l’artista si sofferma sui loro riti comunitari, che includevano danze praticate in stato di trance, ritenute pratiche necessarie alla guarigione dell’anima. Questi riti, che hanno rappresentato un importante aspetto della cultura americana, vengono posti in parallelo con l’ideologia del rock’n’roll degli anni cinquanta e del rock degli anni sessanta.