Digital PTSD. L’arte e il suo impatto sul trauma digitale
12.12.2020 - 13.12.2020 dalle 16:00 alle 0:00
Digital PTSD. La pratica artistica e il suo impatto sul trauma digitale
Parte I: online, sabato 12 dicembre 2020
Leggi l’articolo a cura di Flash Art
Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presenta un programma online di conferenze, interventi, conversazioni e opere d’arte dal titolo Digital PTSD. La pratica artistica e il suo impatto sul trauma digitale, strutturato in due appuntamenti che si terranno tra il 2020 e il 2021, e sviluppato nell’ambito delle mostre Espressioni. La proposizione e Anne Imhof. Sex.
È controintuitivo, ma Digital PTSD presenta attraverso una piattaforma online una critica del potenziale abuso delle tecnologie. Quali sono le conseguenze traumatiche dell’improvviso aumento delle attività virtuali in un periodo di chiusura degli spazi di aggregazione, quali i musei? Digital PTSD invita a riflettere sull’esperienza screen-based, sull’erosione fisica della materia vivente, sulla trasformazione della vita in mega-dati, e sul nuovo regime epistemico digitale.
L’esperienza isolante del lockdown ha sollevato nuovi allarmi rispetto agli effetti potenzialmente traumatici del digital overload (sovraccarico di esperienza digitale) sulla soggettività e sul corpo sociale. Digital PTSD. La pratica artistica e il suo impatto sul trauma digitale riunisce alcuni tra i principali scienziati, artisti, pensatori e curatori internazionali per presentare le loro ricerche e riflettere sulla possibilità che possa emergere una forma di disturbo da stress post-traumatico digitale dall’alleanza tra la separazione traumatica dei corpi a causa del distanziamento fisico e le conseguenze della vita online. La conferenza considera la nostra dipendenza crescente e ossessiva dalla tecnologia come una minaccia alla nostra libertà, alla nostra autonomia, al nostro benessere e alla nostra stessa esistenza come agenti fisici, e quindi come una causa di grave disagio psicologico.
I partecipanti della Parte I sono: Tabita Rezaire, artista; Carolyn Christov-Bakargiev, direttore di museo, curatore, autore; Beatriz Colomina e Mark Wigley, storici dell’architettura, teorici, curatori; Cécile B. Evans, artista; Matteo Pasquinelli, teorico di scienze cognitive, economia digitale e intelligenza artificiale; Hito Steyerl, regista, artista, scrittore e innovatore del saggio documentario; Grada Kilomba, artista e scrittore; Anne Imhof, artista musicista; Bracha L. Ettinger, pittore, teorico, psicoanalista; Éric Sadin, scrittore e filosofo; Vittorio Gallese, neuroscienziato cognitivo; Ophelia Deroy, filosofo e neuroscienziato cognitivo; Griselda Pollock, storico dell’arte e analista culturale femminista postcoloniale queer internazionale; Agnieszka Kurant, artista; Cally Spooner, artista; Chus Martínez, curatore e scrittore; Stuart Ringholt, artista; Marcos Lutyens, artista e ipnotizzatore.
Digital PTSD – Parte I è realizzato in collaborazione con e-flux. A prendere parte a Digital PTSD – Parte II, che si terrà il 20 maggio 2021, sono stati invitati tra gli altri: Devra Davis, Irene Dionisio, Catherine Malabou, Otobong Nkanga, Shoshana Zuboff.
DIGITAL PTSD – PARTE I
BIOGRAFIE PARTECIPANTI
Nel suo intervento il direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Carolyn Christov-Bakargiev, introduce alcune considerazioni sul digitale. Sta davvero emergendo un trauma correlato al sovraccarico digitale e in caso affermativo com’è necessario affrontarlo e risolverlo? I musei sono il luogo simbolo di una società e, come tali, in futuro devono trasformarsi in una palestra dove esercitare la capacità di connettere le sfere simbolica, reale e immaginaria. Christov-Bakargiev ritiene sia necessario re-immaginare i musei del XXI secolo alla luce di questo compito, superando l’approccio binario, cartesiano, dicotomico tra corpo / mente, reale / virtuale.
Carolyn Christov-Bakargiev è scrittore, storico dell’arte e curatore. Attualmente è direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e della Fondazione Francesco Federico Cerruti di Rivoli-Torino. Nel 2019 ha ricevuto l’Audrey Irmas Award for Curatorial Excellence. È stata Edith Kreeger Wolf Distinguished Visiting Professor in Art Theory and Practice alla Northwestern University (2013-2019). Nel 2012 Christov-Bakargiev è stata Direttore Artistico di dOCUMENTA (13).
Tabita Rezaire
Premium Connect, 2017
Video a canale singolo, 13 ”
Per gentile concessione dell’artista
Premium Connect prevede uno studio delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), attraverso l’esplorazione dei sistemi di divinazione africani, il mondo sotterraneo dei funghi, la comunicazione degli antenati e la fisica quantistica per (ri)pensare ai nostri canali di informazione. Abbracciando l’idea che l’ICT funga da specchio del mondo organico, in grado di guarire o avvelenare a seconda del suo utilizzo e degli utenti, Premium Connect indaga gli spazi cibernetici in cui si connettono i mondi organico, tecnologico e spirituale. Come possiamo utilizzare i sistemi biologici e spirituali per alimentare i processi tecnologici di informazione, controllo e governance? Superando le dicotomie organismo / spirito / dispositivo, questo lavoro esplora le connessioni spirituali come reti di comunicazione e le possibilità delle tecnologie decoloniali.
Tabita Rezaire è un artista-guaritore-cercatore che lavora con schermi e flussi di energia. La sua pratica interdimensionale immagina le scienze di rete – organiche, elettroniche e spirituali – come tecnologie di guarigione per servire il passaggio verso la coscienza del cuore. Navigando nella memoria digitale, corporea e ancestrale come luoghi di lotte, scava negli immaginari scientifici per affrontare la matrice pervasiva della colonialità che influenza le canzoni del nostro corpo-mente-spirito. Ha mostrato il suo lavoro a livello internazionale al Centre Pompidou di Parigi, MoMa NY, MASP São Paulo, Gropius Bau Berlin, ICA e Tate Modern London. Rezaire attualmente vive e lavora a Cayenne, nella Guyana francese, dove sta partorendo AMAKABA.
Irene Dionisio
Germ Theory, 2020
video, 1’14”
Courtesy l’artista
In The Stack. On Software and Sovereignity, Benjamin Bratton analizza cambiamenti del digitale nel contesto di una revisione della filosofia politica. Dalle piattaforme cloud alle app mobili, passando per la connettività che attraversa sempre di più le città contemporanee, Bratton propone di inquadrare i diversi sistemi computazionali che agiscono nel quotidiano non più come forme che sussistono in maniera indipendente, legate da interazioni contingenti, ma come un insieme coerente; un’entità dai contorni sfumati che Bratton definisce “megastruttura accidentale”, al tempo stesso infrastruttura computazionale e nuova architettura di governo. Questa infrastruttura prende la forma di una pila (Stack) strutturata da sei livelli interconnessi: Earth (la materia prima di cui si serve la tecnologia digitale), Cloud (il peso delle corporation globali come Google, Amazon e Facebook sulla sovranità degli stati), City (l’esperienza quotidiana dello spazio urbano cloud-computerizzato), Address (l’identificazione come forma di gestione e controllo), Interface (le interfacce che connettono utente e computer, come le app), User (agenti umani e non-umani come i bot e alcuni tipi di account social). Parafrasando Bratton, i dati dei singoli danno forma alla megastruttura. Allo stesso tempo, la megastruttura dà forma ai dati del singolo e allo spazio in cui si muove.
Beatriz Colomina e Mark Wigley
Nella loro pubblicazione seminale del 2016 Are We Human?, Beatriz Colomina e Mark Wigley esplorano il modo in cui la specie umana è continuamente e radicalmente ridisegnata dalla tecnologia. In un’epoca in cui lo smartphone è la prima e l’ultima cosa che tocchiamo da svegli, gli spazi “privati” del cervello e della propria abitazione sono drammaticamente trasformati. Il cervello è diventato una macchina e il letto l’epicentro del lavoro. Nel loro intervento, i due studiosi ampliano questa analisi alla luce delle trasformazioni sociali e mediatiche innescate dalla pandemia COVID-19 e dalla dipendenza dalle telecomunicazioni digitali.
Beatriz Colomina e Mark Wigley sono storici dell’architettura, teorici e curatori. Colomina è Howard Crosby Butler Professor presso la Princeton University e il suo ultimo libro è X-Ray Architecture (Lars Muller, 2019). Wigley è professore di architettura alla Columbia University e il suo ultimo libro è Konrad Wachsman’s Television: Post-Architectural Transmissions (Sternberg Press, 2020). Nel libro Are We Human? (Lars Muller, 2016) Colomina e Wigley esplorano le nozioni di “Homo Cellular” e “Design in Two Seconds”, interessati a capire come l’archeologia del design si applica ai social media e ai dispositivi tecnologici in relazione ai meccanismi di espressione personale e prestazione del lavoro.
Ophelia Deroy è professore di Filosofia della mente all’Università Ludwig Maximilian di Monaco e membro della Graduate School in Systemic Neuroscience (GSN) di Monaco. È l’ex vicedirettore dell’Istituto di filosofia presso l’Università di Londra. È specializzata in filosofia della mente e neuroscienze cognitive e ha ampiamente pubblicato su questioni relative alla percezione multisensoriale e alle interazioni sociali. Nella sua recente ricerca affronta questioni relative a come e perché condividiamo le esperienze, in particolare nelle arti e sulle piattaforme digitali.
Intitolato Digital forgetting, l’intervento di Ophelia Deroy muove da un’analisi sulla sfera digitale, sull’aumento del traffico Internet e sui modelli di utilizzo che cambiano repentinamente. Poiché è probabile che la pandemia lasci un’eredità digitale duratura, Deroy si interroga sul suo impatto. Cosa ricordiamo delle nostre esperienze online? Quali potrebbero essere gli effetti a lungo termine sulle arti e sui musei? Deroy si pone queste domande tentando di rispondervi attraverso dati neuroscientifici e psicologici, nonché attraverso la sua esperienza con il Tate Britain, Londra, evidenziando come dimentichiamo più facilmente ciò che accade online.
Attingendo alla sua conoscenza interdisciplinare delle arti visive, della filosofia e della psicoanalisi, Bracha L. Ettinger discute la nozione di sguardo, schermo, tempo e copoiesi matrixiali. Partendo da un’analisi del Narciso di Caravaggio in termini di pulsione di morte, Ettinger termina con una discussione sulla cura, la decelerazione e la compassione oltre l’empatia in relazione ai sui dipinti Eurydice, Le Grazie, Demetra (2006-2012).
Bracha L. Ettinger è un’artista visiva internazionale, pittore e teorico, psicoanalista e filosofo, le cui opere d’arte e scritti di ampio respiro hanno influenzato la teoria dell’arte, il femminismo, gli studi culturali, la filosofia e la psicoanalisi. La sua opera d’arte ruota attorno al trauma storico, transgenerazionale e personale delle donne in guerra. Partecipa a Espressioni Castello di Rivoli, 2020-2021, e ha esposto alla Kochi Biennale, 2018, Colori presso la GAM Torino e Castello di Rivoli, 2017, 14. Biennale di Instabul, 2015, ELLE presso il Centre Pompidou, Face à l’Histoire, Centre Pompidou, Archive, Stedelijk Museum. Ha coniato il concetto di sfera Matrixiale. I suoi libri recenti includono And My Heart Wound-Space (2015); Matrixial Subjectivity, Aesthetics, Ethics, Vol I: 1990-2000 (Palgrave 2020), Vol II: 2000-2010.
Cécile B. Evans, di origine americana-belgia, vive e lavora a Londra. Il lavoro di Evans esamina il valore dell’emozione e della sua ribellione quando entra in contatto con strutture ideologiche, fisiche e tecnologiche. Recentemente ha esposto una nuova commissione di performance per il festival MOVE al Centre Pompidou di Parigi e sta lavorando a un adattamento in corso del balletto dell’era industriale Giselle. Tra le istituzioni che hanno ospitato sue recenti mostre personali figurano: nel 2019, 49 Nord 6 Est – Frac Lorraine, Museum Abteiberg, Tramway, Chateau Shatto, Museo Madre; nel 2018 mumok Vienna; nel 2017 Castello di Rivoli, Galerie Emanuel Layr, la Kunsthalle Aarhus, Tate Liverpool, M Museum Leuven; nel 2016 De Hallen Haarlem; nel 2014 Serpentine Galleries.
Nel suo intervento Digital World: The Experience of Self and Others in COVID-19 time, Vittorio Gallese discuterà il rapporto con le immagini digitali intese come rappresentazioni visive smaterializzate della realtà. Le sue argomentazioni si basano sulla convinzione che la tecnologia sia sempre stata un’estensione della mente, e che quindi la definizione stessa di “artificiale” sia intrinsecamente connessa alla capacità cognitiva “naturale” di sviluppare dispositivi con l’evoluzione di nuove tecnologie cognitive. Attraverso il suo intervento approfondirà i possibili effetti della digitalizzazione sui processi neuro-cognitivi coinvolti nella comunicazione sociale e nella costituzione del sé, soprattutto nel contesto della maggiore quantità di tempo trascorso online durante il recente lockdown, che ha cambiato in modo significativo il nostro impegno con ciò che può costituire la realtà quotidiana.
Vittorio Gallese, Laureato in Medicina e Chirurgia, è Professore Ordinario di Psicobiologia e Neuroscienze Cognitive presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma. Neuroscienziato cognitivo, la sua ricerca si concentra sulla relazione tra sistema sensoriale-motorio e cognizione indagando le basi neurobiologiche e corporee di intersoggettività, psicopatologia, linguaggio ed estetica. È autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche e tre libri.
Prendendo le mosse dal Narciso di Caravaggio, Anne Imhof e Carolyn Christov-Bakargiev considerano il crollo dell’immagine nel suo stesso riflesso come una rappresentazione dei tempi narcisistici in cui viviamo, costellati dai selfie scattati con i nostri smartphone. Tuttavia, nella sua lettura Imhof si allontana dalla connotazione meramente negativa legata al narcisismo, aprendo il concetto a ulteriori livelli di autointerpretazione. Un selfie potrebbe essere uno strumento per riscoprire noi stessi in modo inaspettato e capire quale ruolo possiamo svolgere in questa società accelerata, se solo fossimo disposti a leggere la nostra immagine in modo diverso.
Anne Imhof è un’artista musicista che vive e lavora a Berlino. Attraverso le sue “durational performances” offre un’espressione inedita dell’esperienza del mondo contemporaneo in cui la fisicità è sempre più mediata dalla comunicazione digitale. Le nuove forme di alienazione e distacco dettate dalla massiccia diffusione dei social media e dai suoi nuovi gesti correlati possono essere considerate una componente essenziale del lavoro dell’artista. È stata insignita del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 2017.
Grada Kilomba e Carolyn Christov-Bakargiev affrontano alcune delle complessità delle tecnologie digitali contemporanee, evidenziando la necessità di problematizzare il loro utilizzo oltre le dicotomie polarizzanti. Il lavoro di Kilomba sul trauma coloniale fornisce una chiave di lettura per considerare come la digitalizzazione non possa di per sé essere separata dalla storia del colonialismo e per discutere l’emancipazione socio-politica delle comunità emarginate attraverso le reti digitali.
Grada Kilomba è un’artista e scrittore che vive a Berlino. Il suo lavoro attinge alla memoria, ai traumi e al post-colonialismo. Kilomba è meglio conosciuta per la sua scrittura sovversiva e la sua pratica unica di narrazione in cui porta la sua stessa scrittura in performance, immagine e installazione. Il suo lavoro è stato presentato alla 10. Biennale di Berlino, 2018, documenta 14, 2017, Kassel e alla 32. Biennale di San Paolo, 2016.
Agnieszka Kurant presenta un’indagine sull’intelligenza collettiva, gli sfruttamenti algoritmici del capitale sociale e le trasformazioni dell’umano risultanti dall’automazione del nostro processo decisionale. L’artista discute i suoi progetti esplorando il futuro del lavoro e della creatività, dal crowdsourcing e il lavoro fantasma alla sostituzione dell’autorialità individuale con forme collettive complesse, il pubblico come fabbrica di produzione di valore e la ridistribuzione del capitale dal mercato dell’arte. Condivide la sua attuale ricerca sull’uso dell’A.I. nella colonizzazione dei nostri sogni e della natura, e dai suoi esperimenti con società artificiali e sociologia computazionale.
Agnieszka Kurant è un’artista il cui lavoro indaga l’intelligenza collettiva, le intelligenze non umane (dalla microbica all’intelligenza artificiale) e lo sfruttamento del capitale sociale sotto sorveglianza del capitalismo. Esplora le trasformazioni dell’umano e il futuro del lavoro e della creatività nel XXI secolo, dal crowdsourcing e il lavoro fantasma alle società artificiali. Attualmente è Artist Fellow presso il Berggruen Institute ed è stata artista residente al MIT CAST nel 2018. Le sue recenti mostre includono nel 2020 Broken Nature al MoMa, Cybernetics of the Poor alla Kunsthalle Wien, Uncanny Valley al De Young Museum; nel 2019 la 16. Biennale di Istanbul, The Age of You al MOCA Toronto e alla Triennale di Milano. Nel 2015 Kurant ha presentato una commissione per la facciata del Guggenheim Museum di New York.
Marcos Lutyens è un artista che vive e lavora tra Los Angeles e Regno Unito. La pratica di Lutyens mira al benessere psichico ed emotivo del suo pubblico guidando abilmente i partecipanti in esercizi ipnotici che influenzano i livelli più profondi della loro psiche. Le sue opere si traducono in installazioni, sculture, disegni, cortometraggi, scritti e performance. Durante il COVID-19, Lutyens ha creato una serie di 12 performance tramite Zoom per aiutare il processo di guarigione di persone in vari Paesi in tutto il mondo. Continua ad alleviare il dolore dei medici in prima linea attraverso sessioni di ipnosi.
Chus Martínez è curatore, storico dell’arte e scrittore. Attualmente è direttore dell’Istituto d’arte della FHNW Academy of Art and Design di Basilea, dove cura anche lo spazio espositivo dell’Institut Der Tank. Il suo ultimo libro Corona Tales, scritto e pubblicato online (seguito dall’edizione cartacea) durante il lockdown della primavera 2020, ha offerto la possibilità di raccogliere, anche se virtualmente, le modalità in cui si stava generalizzando la crisi COVID-19 e come ricercare modi di farlo, chiedendo di identificare le vulnerabilità.
Matteo Pasquinelli è Professore in Filosofia dei media presso l’Università di Arti e Design, Karlsruhe, dove coordina il gruppo di ricerca sull’intelligenza artificiale e la filosofia dei media KIM. Ha curato l’antologia ad accesso libero Alleys of Your Mind: Augmented Intelligence and Its Traumas (2015, Meson Press) e, con Vladan Joler, il saggio visivo The Nooscope Manifested: AI as Instrument of Knowledge Extractivism. La sua ricerca si concentra sull’intersezione tra scienze cognitive, economia digitale e intelligenza artificiale. Per Verso Books sta preparando una monografia sulla storia dell’IA dal titolo provvisorio The Eye of the Master.
L’intervento di Griselda Pollock, dal titolo Aesthetic Transformation and Trauma – On Screen Now !, affronta “l’era della digitalizzazione” prima di riflettere sulle caratteristiche del trauma: qualcosa che accade ma non lo sappiamo; ossessiona il fatto che non possiamo cogliere la forma di ciò che ossessiona. Attingendo a questa interpretazione, Pollock si chiede se la nostra attuale esperienza sociale di distanza fisica, dissociazione paurosa ed esposizione all’associazione schermo possa essere definita traumatica. Non sono le condizioni sociali e il contenuto piuttosto la tecnologia che ci sta traumatizzando.
Griselda Pollock è storico dell’arte e analista culturale femminista postcoloniale queer internazionale. È Professore di Storia dell’Arte Sociale e Critica e Direttore del Centro di Teoria e Storia dell’Analisi Culturale presso l’Università di Leeds. Le sue pubblicazioni più recenti includono la riedizione del classico femminista Old Mistresses (coautore), il montaggio della raccolta degli scritti teorici dell’artista Bracha L. Ettinger (Palgrave 2020) e una monografia sull’artista Charlotte Salomon (Yale 2018). Come parte della ricerca attuale, sta affrontando la trasformazione estetica e il trauma in relazione alla nostra esposizione agli schermi.
Tabita Rezaire è un artista-guaritore-cercatore che lavora con schermi e flussi di energia. La sua pratica interdimensionale immagina le scienze di rete – organiche, elettroniche e spirituali – come tecnologie di guarigione per servire il passaggio verso la coscienza del cuore. Navigando nella memoria digitale, corporea e ancestrale come luoghi di lotte, scava negli immaginari scientifici per affrontare la matrice pervasiva della colonialità che influenza le canzoni del nostro corpo-mente-spirito. Ha mostrato il suo lavoro a livello internazionale al Centre Pompidou, MoMa, MASP di San Paolo, Gropius Bau, ICA e Tate Modern. Rezaire attualmente vive e lavora a Cayenne, nella Guyana francese, dove sta partorendo AMAKABA.
Stuart Ringholt è nato a Perth, in Australia occidentale, e vive e lavora a Melbourne. Il suo lavoro assume molte forme tra cui performance, video, disegno, collage, scultura e laboratori collaborativi. Temi personali e sociali come la paura e l’imbarazzo sono spesso rappresentati attraverso situazioni assurde o ambienti di auto-aiuto amatoriale. I suoi laboratori sulla rabbia sono stati creati per la 16. Biennale di Sydney, 2008, e sono stati precedentemente esposti a livello internazionale, incluso in Germania per dOCUMENTA (13), 2012. I suoi famosi tour naturisti sono stati presenti in importanti spettacoli d’indagine di James Turrell, Wim Delvoye e Pipilotti Rist. Ringholt è docente presso la MADA Monash University e nel 2016 ha conseguito un PhD (Filosofia).
Éric Sadin, scrittore e filosofo, è uno dei maggiori pensatori del mondo digitale. È invitato a tenere conferenze in tutto il mondo e i suoi libri sono tradotti in diverse lingue. Ha appena pubblicato il suo nuovo saggio, L’Ère de l’individu tyran. La fin d’un monde commun, (Grasset, ottobre 2020, traduzione in italiano di Luiss University Press nel 2021). Pubblica regolarmente rubriche su Le Monde, Libération, Les Inrockuptibles, Die Zeit. Ha pubblicato diversi libri, in particolare: Surveillance Globale – Enquête sur les nouvelles formes de contrôle (2009); La Société de l’anticipation (2011); L’Humanité Augmentée – L’administration numérique du monde (2013); La Vie algorithmique – Critique de la raison numérique (2015); La Silicolonisation du monde – L’irrésistible expansion du libéralisme numérique (2016, tradotto da Einaudi, 2017), L’Intelligence artificielle ou l’enjeu du siècle. Anatomie d’un antihumanisme radical (2018, traduzione in italiano di Luiss University Press, 2019).
Hito Steyerl è una regista, artista visiva, scrittore e innovatore del saggio documentario. Attualmente è docente di New Media Art presso l’Università delle Arti di Berlino, dove ha co-fondato il Research Center for Proxy Politics. Steyerl ha prodotto una varietà di lavori come regista e autore nel campo del documentario saggista, della filmografia e della critica postcoloniale, sia come produttore sia come teorico. È ampiamente pubblicata in periodici, giornali, riviste e antologie, nonché autore di pubblicazioni, tra cui l’acclamato Duty-Free Art: Art in the Age of Planetary Civil War nel 2017.
Cally Spooner è nata nel Regno Unito. Vive e lavora a Torino. Radicata nella sua formazione filosofica, la sua pratica inizia con la scrittura, si svolge come performance, quindi si stabilisce come installazione, scultura, disegno, film e suono. Usa la durata, l’erosione, l’attesa, le prove e il collasso come atti di resistenza, in un clima tecno-capitalista attuale per chiedersi come possiamo distinguere tra ciò che è vivo e ciò che è morto. Le recenti mostre personali includono DEAD TIME, Parrhesiades, Londra, 2020; DEAD TIME, The Art Institute of Chicago, 2019; SWEAT SHAME ETC., Swiss Institute New York, 2018; Everything Might Spill, Castello di Rivoli, 2018. Spooner è anche LEGIBILITY COORDINATOR e LECTURER di OFFSHORE, una società di performance di conoscenza incarnata e scuola di filosofia pratica, fondata da Spooner nel 2017.
Le attività del Castello di Rivoli sono realizzate grazie al contributo della Regione Piemonte
Il programma è realizzato anche con il sostegno della Compagnia di San Paolo