Dalla terra alla luna: metafore di viaggio (parte II)

22 maggio 2007 - 26 agosto 2007

a cura di Marcella Beccaria

22 maggio – 26 agosto 2007

 

Mario Airò, Giovanni Anselmo, Massimo Bartolini, Gabriele Basilico, Lothar Baumgarten, Alighiero Boetti, Jem Cohen, Enzo Cucchi, Roberto Cuoghi, Gino De Dominicis, Thomas Demand, Mario Giacomelli, Rebecca Horn, Roni Horn, Pierre Huyghe, William Kentridge, Anselm Kiefer, Kim Sooja, Mario Merz, Claes Oldenburg – Coosje van Bruggen, Charlemagne Palesatine, Giulio Paolini, Thomas Ruff, Thomas Struth, Grazia Toderi, Bill Viola, Yang Fudong, Gilberto Zorio.

 

E se l’uomo non avesse mai messo piede sulla Luna? Da quasi quarant’anni, la polemica sulla veridicità dello sbarco lunare da parte degli americani nel 1969 accende l’interesse dell’opinione pubblica. Per avvalorare la loro tesi, i più convinti tra i sostenitori di un’ennesima congiura utilizzano l’analisi delle fotografie e dei filmati diffusi all’epoca, rilevando incongruenze relative a luci e ombre, apparentemente più simili a quelle che si ottengono in un teatro di posa che a quelle lunari. Qualunque sia la verità, l’interrogativo, e soprattutto il suo rapporto con la storia dei viaggi, dei miti che li circondano e le possibilità di lettura delle immagini, è affascinante.

Continuando a tracciare un inedito percorso tra opere appartenenti alla collezione del Castello di Rivoli, Dalla terra alla luna: metafore di viaggio (parte II) approfondisce l’indagine relativa all’ubiquità del tema del viaggio nei lavori di alcuni tra i protagonisti dell’arte contemporanea. Le opere scelte testimoniano la capacità degli artisti di articolare originali interpretazioni della realtà, inventando così nuovi mondi da esplorare e nuove mitologie da tramandare.

L’articolazione di nuovi punti di vista può trasfigurare anche la realtà più quotidiana. È quanto accade negli studi sul paesaggio di Mario Giacomelli (sala 34), soggetto sul quale il fotografo è ritornato più volte nel corso della sua carriera. Così come molte sue immagini inquadrano i grandi temi dell’esistenza, inclusi il tempo, la memoria, la sofferenza e l’amore, anche la terra è per il fotografo un luogo interiore, i cui segni raccontano la continuità della fatica umana, definendosi come rughe che compongono una memoria accumulata attraverso generazioni. Al tempo stesso, la visione dall’alto e la solarizzazione a cui il fotografo sottopone le sue immagini astraggono i paesaggi dalla loro appartenenza terrestre, rendendo la Terra un luogo più simile alla Luna.

Rendendo visibile l’ampiezza degli orizzonti della mente, le opere di Grazia Toderi alludono a una dimensione spaziale che tende all’infinito. Indagando il reale, ma restituendone una versione sublimata, l’artista coniuga una visione intima, di memoria individuale con una dimensione fantastica relativa all’immaginario collettivo. Prendendo metaforicamente l’avvio dai propri ricordi legati alla visione televisiva dell’allunaggio, Toderi ha realizzato opere che hanno per contesto l’universo e i suoi spazi siderali. In più di un video, l’artista ha inoltre
esaltato inediti aspetti di luoghi legati all’incontro e alla rappresentazione, quali stadi, arene e teatri, sottolineando le valenze oniriche legate alla nascita di miti collettivi. La ripresa televisiva dello stadio che a Parigi ospitò nel 1998 l’incontro finale del mondiale di calcio è alla base del video Il decollo, 1998 (sala 35). L’elaborazione dell’artista libera l’immagine dal suo definito valore di documento, ottenendo la trasformazione della chiusa ellissi dello stadio in una sorta di veicolo spaziale, roteante astronave rimossa dalla contingenza degli eventi e pronta a un viaggio lontano dai limiti della Terra.

 

Journey to the Moon (Viaggio sulla luna), 2003 (sala 36), di William Kentridge nasce insieme ad altreopere video che l’artista sudafricano ha realizzato in omaggio a Georges Méliès, l’autore cinematograficofrancese, attore e produttore che sperimentava con le magiche potenzialità del cinema già nel 1896, e che per primo trasformò in immagini in movimento i romanzi di Jules Verne. Girato allo stesso tempodei lavori dedicati a Méliès, Day for Night (Il giorno per la notte), 2003 (sala 36), è la ripresa dei movimentidi alcune formiche mentre seguono un percorso tracciato dall’artista con lo zucchero. L’inversione indicata neltitolo si riferisce a un ribaltamento tra immagine positiva e negativa operato in sede di sviluppo della
pellicola filmica. Come una piccola storia fantastica, il video rappresenta la risposta a un impulso narrativo originato da una vera invasione di formiche subita dall’artista nel suo studio.

 

Il continuo slittamento tra reale e fittizio è alla base delle opere di Thomas Demand, fotografie in scala 1:1 di modelli cartacei eseguiti dall’artista all’interno del proprio studio. Memorie personali, storia collettiva e immagini provenienti dai media compongono una ricca rete alla quale Demand spesso attinge. Tuttavia, proprio in virtù del metodo adottato, ogni sua immagine dichiara il potenziale di finzione che si cela dietro a ogni fotografia. Intenzionato a sviluppare nuove metodologie di lavoro, l’artista ha iniziato a impiegare la tecnologia digitale per supportare una più precisa costruzione dei propri modellini cartacei. Così è nata l’idea
di riprodurre l’immagine trovata su una cartolina commerciale di una grotta di Maiorca, caratterizzata da imponenti stalattiti e stalagmiti. Descrizione accurata di una complessa architettura, l’opera risultante, Grotto (Grotta), 2006 (sala 37), riesce a spingere la visione al di là del preciso metodo impiegato per realizzarla, descrivendo così un luogo che sembra frutto della fantasia più che della realtà.

 

Nei suoi romanzi, Jules Verne ha indicato l’Islanda quale porta di accesso al centro della Terra. Se per lo scrittore francese l’isola era il punto di inizio di un viaggio fantastico, per Roni Horn (sala 37), l’Islanda è invece l’ambito attraverso il quale posizionare se stessa nel mondo. Con regolarità migratoria, dal 1975 l’artista americana ritorna infatti nell’isola, luogo che è diventato uno dei cardini attorno al quale ruota la sua esperienza umana e artistica.
Simbolicamente e letteralmente, la geografia di questa terra estrema è diventata per Horn una geografia interiore, portata gradatamente alla luce nel corso di ogni nuovo viaggio. Quasi fosse un cartografo che lavora però con una macchina fotografica, attraverso gli anni l’artista ha sviluppato un progetto enciclopedico intitolato To Place (Situare), che si compone di libri e installazioni. Le immagini in mostra appartengono al capitolo dedicato a Jules Verne. In esse, visioni di onde dalla forza primordiale si alternano a primi piani dell’acqua, così ravvicinati da diventare astratti. Come in tutte le opere dell’artista, l’osservatore è chiamato in causa, quale partecipe dell’esperienza evocata attraverso le immagini.

 

Pierre Huyghe è interessato alla relazione tra reale e immaginario, alla stratificazione delle
interpretazioni e all’esperienza quale territorio di narrazioni inedite. Seguendo alcune voci concernenti l’esistenza di una creatura e di un’isola non ancora tracciata sulle carte, nel febbraio del 2005 Huyghe ha organizzato una spedizione nell’Antartico. Il film A Journey That Wasn’t (Un viaggio mai accaduto), 2006 (sala 38), descrive il viaggio in barca a vela e l’incontro con la nuova isola, fino all’apparizione della misteriosa creatura. Mentre Huyghe e i suoi compagni di avventura solcano i mari, un gruppo di musicisti, a Central Park, New York, esegue un brano la cui struttura evoca quella dell’isola cercata. Intenzionalmente posta al
limite tra la realtà documentaria e la finzione narrativa, l’opera indaga le condizioni relative alla nascita di una storia, possibilmente un nuovo mito. Tornando alla concretezza del presente, la mostra si conclude con opere che riguardano l’esperienza del turismo, fenomeno che appartiene a una precisa categoria contemporanea nell’ambito del viaggio. Le opere Audience 9 e Audience 11 (Galleria dell’Accademia) Firenze, 2004 (atrio, terzo piano Castello), appartengono all’analisi riguardante gli interni di musei che Thomas Struth conduce da diversi anni, dedicandosi soprattutto a località ad alto impatto turistico. In tali immagini l’attenzione è posta sul pubblico in atto di visitare e sulla relazione tra le persone e le opere d’arte esposte. Ambientate a Firenze, le fotografie in mostra sono parte di una serie scattata al pubblico della Galleria dell’Accademia, ripreso nel momento dell’incontro con il David di Michelangelo. Escludendo dal proprio obiettivo il soggetto dell’attenzione degli spettatori, Struth mette a fuoco l’individualità di ciascun visitatore, il linguaggio del corpo, l’abbigliamento indossato e la peculiarità di posture, gesti ed espressioni. Creando immagini di monumentalità quasi epica, Struth fissa la contingenza disordinata delle persone all’interno della presunta immobilità, quasi sacrale, del contesto museale.

Marcella Beccaria