Keith Haring

03 febbraio 1994 - 30 aprile 1994

A cura di Germano Celant

Keith Haring (Kuntztown, Pennsylvania, 1958 – New York, 1990) sviluppa un racconto per immagini creando segni grafici altamente riconoscibili. Temi quali l’oppressione, l’omosessualità, l’amore, il piacere sono affrontati con un linguaggio inventivo, ironico, mutuato dai mass-media, la cui decodificazione può essere condivisa da tutta la collettività. Divenuto in poco tempo da protagonista delle controculture giovanili americane, che si esprimevano attraverso i graffiti, a esponente di spicco delle tendenze artistiche internazionali, Haring ha attribuito un ruolo primario al lavoro svolto negli spazi pubblici, a partire dai disegni a gesso bianco su fogli neri che, nella metropolitana di New York, ricoprono i cartelloni pubblicitari scaduti.

La mostra copre l’intera attività dell’artista americano, dai suoi esordi all’inizio degli anni Ottanta fino ai primi mesi del 1990. Le opere esposte, circa cento, testimoniano la variegata creatività di Haring. Nei disegni realizzati con pennarelli su carta, l’artista elabora il suo personale vocabolario che risente della grafica e dell’impostazione narrativa tipica dei fumetti. In queste opere realizza le immagini che saranno un elemento costante della sua poetica, quali la figura umana a quattro zampe, il cane, l’uomo, il cuore, fortemente stilizzati e “raggianti”, come provvisti di energia interiore.

Il segno di Haring interviene inoltre su vasi e statue di gesso, ricoprendoli con colori fluorescenti, simili a decorazioni neotribali, nel tentativo costante di attribuire nuove funzioni alla pittura e alla scultura. Per le pitture Haring sceglie supporti non canonici come le tele viniliche appositamente realizzate, simili ai grandi teloni che ricoprono i rimorchi dei camion, colorate a tinte vive, con i simboli allusivi alla cultura di massa dell’Occidente, come il computer, il dollaro, la televisione.

Karin Gavassa