Ritratto di gentiluomo con libro e guanti

1540-1541 c.

Anno di accessione 2010

Olio su tavola, 88,2 x 71,5 cm

Inv. CC.3.P.PON.1540.A195

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Provenienza: Collezione privata; Carlo Orsi, Milano.

Esposizioni: Milano 2010; Firenze 2011 (pp. 118-119, n. II.3); Firenze 2014 (p. 138, n. IV.1.6); New York 2021 (pp. 184-187, n. 44).

Bibliografia: Longhi 1952b, pp. 40, 41; Berti 1964, p. CLXVI; Cox-Rearick 1964, vol. I, pp. 308, 309; Zeri 1986, pp. 48, 49; Costamagna 1994, pp. 294-295, n. A54 (con bibliografia precedente); Conti 1995, pp. 40, 41; C. Falciani, Maria Salviati ritratta dal Pontormo, in Natali 1995, p. 131; Costamagna 2005, pp. 65-72; La Collezione Cerruti 2019, p. 23, ill.; C. Falciani, in New York 2021, pp. 184-187.

«La figura di garbo sottile, longilinea anch’essa, occupa quasi tutta l’altezza a disposizione, come un liuto nella custodia. E dalla custodia dell’ombra astratta sguscia in luce come un uovo la testa intelligente e patetica […]; il dorso della mano destra, pendula, sembra scorzato, come se il guanto ch’essa reca ne fosse la pelle (si chiamasse il modello, Bartolomeo?); nell’altra mano scatta il libro, aperto, fermato dalla luce forte come in un naturalista d’età più tarda»

(Roberto Longhi, 1952)

La vicenda attributiva di questo capolavoro del Pontormo ha inizio con un articolo di Roberto Longhi del 1952, dove le qualità pittoriche e inventive del dipinto vengono cristallizzate in una metafora fulminante: «La figura di garbo sottile, longilinea anch’essa, occupa quasi tutta l’altezza a disposizione, come un liuto nella custodia. E dalla custodia dell’ombra astratta sguscia in luce come un uovo la testa intelligente e patetica […]; il dorso della mano destra, pendula, sembra scorzato, come se il guanto ch’essa reca ne fosse la pelle (si chiamasse il modello, Bartolomeo?); nell’altra mano scatta il libro, aperto, fermato dalla luce forte come in un naturalista d’età più tarda»1. Metafore visive ancora oggi tutte sottoscrivibili, e poco si può aggiungere di più preciso per tratteggiare lo stile del Pontormo, il quale restituisce la vivezza dell’intera figura anche attraverso la forma ovale della manica luminosa che sostiene visivamente un volto dallo sguardo fiero, diretto e interrogante, come se l’uomo ritratto avesse appena distolto gli occhi da una lettura programmaticamente esibita.

Il dipinto è stato esposto per la prima volta nel 20102, e da quel momento la sua autografia non è più stata messa in discussione, ma fino ad allora Janet Cox-Rearick, Kurt Foster e, in un primo momento, lo stesso Costamagna3 avevano dubitato della paternità pontormesca a causa dell’impossibilità di esaminare l’opera dal vero. Paternità che era stata invece ribadita, pur giudicando solo da un’immagine fotografica, da Federico Zeri, da Alessandro Conti e da chi scrive4. Chi ne confermava l’autografia pontormesca paragonava il disegno del corpo e della manica bianca, dove la stoffa è mossa dalla luce come fosse materia liquida, con le uguali deformazioni stilistiche che informano il Ritratto di Maria Salviati degli Uffizi, e quello di Niccolò Ardinghelli (o Monsignor della Casa) della National Gallery di Washington, databile agli inizi del 15415. Tuttavia, solo dopo l’esposizione milanese e quella fiorentina del 20116, la critica ha riconosciuto in modo unanime la qualità altissima del dipinto, uno dei pochi ritratti sicuramente appartenenti alla tarda attività del Pontormo.

Rimane da precisare semmai la data di esecuzione dell’opera che andrà paragonata, oltre ai due citati ritratti di Maria Salviati e di Niccolò Ardinghelli, allo stile mutato dei disegni eseguiti dal Pontormo per il loggiato della villa di Castello, dipinto per Cosimo I, appena salito al potere dopo i fatti di Montemurlo del 1537. In quegli affreschi, secondo Giorgio Vasari «la proporzione delle figure pare molto difforme, e certi stravolgimenti et attitudini che vi sono pare che siano senza misura e molto strane»7. Nei fogli databili dalla fine degli anni trenta, fino a quelli ultimi per il coro di San Lorenzo, dei primi anni cinquanta, il Pontormo deforma sempre di più i corpi, che si espandono e sembrano fluttuare senza peso, al pari del torso dilatato e della manica dalla stoffa traslucida e molle in questo ritratto. Evidenze stilistiche tutte che invitano a datare il dipinto verso i primi anni quaranta del Cinquecento, e ci mostrano lo scarto fra le soggettive scelte del Pontormo e le richieste celebrative rivolte da Cosimo alle arti al tempo della trasformazione dell’Accademia degli Umidi in Accademia Fiorentina.

Istanze che troveranno nel Bronzino il necessario splendore richiesto dalla corte medicea anche alla ritrattistica. Jacopo predilige invece una semplicità quasi monocroma dell’immagine, animata, come in questo dipinto, solo dal gesto insolito della lettura esibita e dalla vivacità dello sguardo, senza che alcun elemento esterno permetta di riconoscere l’effigiato, per il quale Costamagna ha avanzato, in via ipotetica, il nome di Cosimo Bartoli, letterato vicino a Cosimo I che fu tra i fondatori dell’Accademia degli Umidi, e presso la cui abitazione fu redatto lo statuto della nuova Accademia Fiorentina nel marzo del 15418. Al pari di altri ritratti di accademici, come quello di Carlo Rimbotti, dipinto da Francesco Salviati qualche anno più tardi9, anche Jacopo pone al centro dell’immagine un libro di piccole dimensioni, forse un petrarchino, che diventa il fulcro dell’opera. Un gesto che assieme a quello del tenere i guanti in una mano, oppure la predilezione per un abito scuro di semplice eleganza, è stato accostato alle indicazioni sul vestire e sulla gestualità date da Baldassarre Castiglione ne Il Cortegiano10. Rimane infine da osservare la vivezza naturalistica della pittura nello sguardo e nel libro illuminato a contrasto col fondo bruno, da una «luce forte come in un naturalista d’età più tarda»11. Una capacità di rappresentare il mutare dei fenomeni che il Pontormo stesso rivendicherà alla propria pittura anche nella lettera a Benedetto Varchi in risposta alla disputa sulla maggioranza delle arti promossa dal letterato nel 154712.

[Carlo Falciani]

1 Longhi 1952b, p. 40.

2 Milano 2010.

3 Costamagna 1994, pp. 90, 294-295, n. A54, con bibliografia precedente.

4 Zeri 1986, pp. 48, 49; Conti 1995, pp. 40, 41; C. Falciani, Maria Salviati ritratta dal Pontormo, in Natali 1995, p. 131.

5 C. Falciani, cat. II.3, in Firenze 2011, pp. 118-119.

6 Ibid.

7 Vasari 1966-1997, vol. V, 1984, p. 330.

8 Milano 2010, pp. 17, 18.

9 Falciani 2018, pp. 50-59.

10 A. Geremicca, in Firenze 2014, pp. 126, 127.

11 Longhi 1952b, p. 40.

12 Si veda C. Falciani, Il Pontormo alla Certosa fra Leonardo e la «maniera stietta tedesca», in Firenze 2014, pp. 191-203.