Charlemagne Palestine

Compositore e performer, dalla fine degli anni Sessanta esplora le molteplici possibilità di quei suoni particolari prodotti tramite il corpo del performer, strumento e mezzo di risonanza, sia verso lo spazio interno che esterno oltre che attraverso le diverse modalità di comunicazione con il pubblico, per portare alla luce le risonanze interiori. Palestine ben descrive tale processo attraverso una singolare produzione di video che sottolineano e incarnano le varie sperimentazioni, nonché l’uso sempre creativo della videocamera che funge da interprete piuttosto che non semplice registratore neutrale degli eventi.
Alcune delle memorie sonore più lontane di Palestine (le esperienze di canto in un coro presso una sinagoga) diventano la base di un’esigenza costante che riaffiora in larga parte della sua vasta produzione musicale e audiovisiva. Esperienze acquisite successivamente presso la St. Thomas Church, a New York, lo avvicinano all’universo di Oliver Messiaen e di John Cage. La nuova concezione che egli matura del suono, della sua presenza, della durata e dell’espressione si fa sempre più intensamente fisica, quasi viscerale, e porterà l’artista a interessarsi alle campane tubolari e all’organo da chiesa, su cui creerà gli Spectral Continuum Drones (Bordoni dello spettro continuo), vasti affreschi sonori. Il suono, così come viene ora inteso, non è più un semplice prodotto musicale, ma il manifestarsi di una profonda condizione e attenzione inferiore.
Influenzata dall’avanguardia artistica di New York, soprattutto da pittori come Mark Rothko, Barnett Newman e Clyfford Stili, ma anche da compositori come il cantante indiano Pandit Pran Nath, Tony Conrad o Morton Feldman, la ricerca di Palestine indaga il modo in cui i suoni prendono forma e volume nello spazio, arrivando ad alterare le modalità di percezione. Il movimento e il suono, nel loro relazionarsi alla voce e al corpo, diventano i veicoli attraverso i quali Palestine produce ed espelle energia interna. Nei suoi lavori video emerge una coinvolgente componente ritualistica che fa sì che le espressioni vocali – canti ipnotici, toni e sottofondi che inducono quasi a uno stato di trance – diventino le modalità espressive caratterizzanti l’atmosfera e il carattere di ogni singola performance. Egualmente, anche la videocamera, intesa e adoperata come estensione del corpo, segue e enfatizza la medesima immersione nella realtà della performance nel suo divenire.
Correre freneticamente o situare il punto di vista su una cabina delle montagne russe o su una motocicletta in corsa sono alcuni degli esempi che caratterizzano questa contìnua sfida nei confronti delle possibilità percettive. Il punto di vista soggettivo costringe l’osservatore a non sentirsi estraneo bensì fortemente implicato, compartecipe voyeur. [F.B.]

Elenco opere

Body Music I (Musica del corpo I), 1973
video, bianco e nero, sonoro, 10′ Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Realizzati con Art/Tapes/22 a Firenze, questo video e il seguente sono esercizi-performances. Seduto sul pavimento, l’artista batte quasi ritualisticamente le proprie ginocchia a ritmo contro la superficie del pavimento. Mentre il canto va accelerando, si alza e si lancia violentemente contro le pareti, come cercando d’uscire dalla prigionia di quell’ambiente.

Body Music II (Musica del corpo II), 1974
video, bianco e nero, sonoro, 10’30”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Palestine vaga per gli interni labirintici di un’antica villa, registrandosi in prima persona, “in soggettiva”, con una videocamera in mano. Muovendosi sempre più velocemente e cantando nello spazio riverberante delle sale, realizza uno sforzo equivalente al frenetico dispendio di energie fisiche nella corsa.

Four Motion Studies (Quattro studi di movimento), 1974
video, bianco e nero, sonoro, 13’24”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Girati con camera a mano sulle giostre e sulle montagne russe a Coney Island, questi “studi” sono esperiti dal pubblico tramite gli occhi e i movimenti vissuti da Palestine durante le riprese. Ogni studio diventa sempre più astratto, trasmettendo un senso di vertigine e di spaesamento nello spazio.

Snake (Serpente), 1974
video, bianco e nero, sonoro, 10’43”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Palestine, con un approccio ritualistico, adopera il corpo come uno strumento per creare suoni e movimenti. Posto in posizione fetale, l’artista giace sul pavimento; a ogni respiro, produce un suono profondo e gira lentamente in circolo, creando un esercizio in cui la sua voce funge da sorgente di movimento.

Internal Tantrum (Tantrum interno), 1975
video, bianco e nero, sonoro, 7’35”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Seduto di fronte alla videocamera, Palestine mantiene il suo corpo in tensione. Lentamente inizia a cantare e a ondeggiare, come per comunicare un senso di fastidio e di dolore.

Running Outburst (Gridare correndo), 1975
video, bianco e nero, sonoro, 5’56”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Palesatine, cantando all’interno di un loft, si sposta velocemente fra animaletti di pezza posti nella stanza, tenendo la videocamera “in soggettiva”. Giunto a un’intensità quasi isterica, torna gradualmente a un movimento più quieto.

You Should Never Forget the Jungle – St. Vitas Dance (Ballo di San Vito) (Non dovresti mai dimenticare la giungla – Ballo di San Vito), 1975
video, colore, sonoro, 19’59”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
You Should Never Forget the Jungle (Non dovresti mai dimenticare la giungla), 1975
video, colore, sonoro, 11’09”
Palestine, in una stanza chiusa, indossa una sciarpa e tiene in mano un bicchiere di cognac. Inizia a cantare, alterandosi e scontrandosi contro i muri come se cercasse di uscire dalla stanza.
St.Vitas Dance (Ballo di San Vito), 1975 video, colore, sonoro, 8’50” Seduto di fronte a una parata di orsetti, bambole, sciarpe e foulard, Palestine stringe la videocamera vicino al corpo. Presente soltanto con la sua ombra, canta in modo quasi sovrannaturale. Le immagini riprese diventano sempre più mosse, viscerali, vere estensioni fisiche del suo gesto intenso, fino a pervenire a forme astratte di puro movimento.

Andros (Uomo), 1975-1976
video, bianco e nero, sonoro, 57’13”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Girato completamente da un punto di vista soggettivo, questo intenso viaggio esteriore e interiore inizia con un uomo che guarda la televisione in una stanza buia e parla della sua pigrizia, del suo senso di frustrazione e d’angoscia. Esce poi per la strada, prende la metropolitana e arriva in un luogo avvolto dalla nebbia. Si mette a correre, parlando, urlando a se stesso e allo spettatore il suo bisogno di sfuggire al dolore e ai pensieri che lo ossessionano.

Island Song – Island Monologue (Canzone dell’isola – Monologo dell’isola), 1976
video, colore, sonoro, 31’34”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
Island Song (Canzone dell’isola), 1976
video, colore, sonoro, 16’29”
Girato su un’isola delle Hawaii, il video mostra l’artista che, fissata la videocamera a una motocicletta, viaggia sull’isola alla ricerca di una via di fuga. Il suo canto si mescola all’incessante rombo del motore, sovrapponendosi ai sussulti della videocamera. Il video si conclude, come il viaggio dell’artista, con il primo piano di rocce su una spiaggia.
Island Monologue (Monologo dell’isola), 1976
video, colore, sonoro, 15’05” Palestine cerca di sfuggire dall’isola in cui si trova. Avvolta da una spessa nebbia, questa diventa simbolo della reclusione psicologica che l’artista cerca di superare. Nascondendosi o tentando di vedere attraverso la nebbia, egli parla della propria esasperazione. Si avvicina poi alla torre del faro che agisce come forza liberatoria, offrendo una luce nella nebbia.

Where It’s Coming From (Da dove proviene), 1977
video, bianco e nero, sonoro, 56’50”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
È la registrazione di un’ampia conversazione fra Palestine e Wies Smals, allora direttrice della fondazione De Appel ad Amsterdam, che verte sul lavoro artistico, sul lavoro con il corpo, sulla performance e sul ruolo della videocamera. Chi dirige e come, l’invasione della privacy, il voyeurismo implicito e le forme di catarsi.

Dark Into Dark (Oscurità nell’oscurità), 1979
video, colore, sonoro, 19’28”
Acquistato con il contributo di Compagnia di San Paolo
In uno spazio scuro, si sente Palestine borbottare e sussurrare. Lentamente appaiono gli occhi e poi il volto dell’artista che si rivolge direttamente allo spettatore con un tono in crescendo che è minaccioso, scherzoso e accusatorio allo stesso tempo. Da come l’artista si muove, avvicinandosi o allontanandosi dalla luce, il buio diventa metafora della sicurezza, data dall’ignoranza e dall’isolamento, mentre l’osservatore viene accusato di essere la fastidiosa presenza portatrice di luce.