Gilberto Zorio
Le opere di Gilberto Zorio sono campi inesauribili di energia fisica e mentale. Tra i protagonisti del gruppo dell’Arte Povera, dal 1966 ha indirizzato la propria ricerca in direzione di una processualità che rende continuamente mutevole ciascuna opera. Predisponendo reazioni chimiche o fisiche, l’artista immette i propri lavori all’interno di un ciclo vitale, di fronte al quale egli per primo si pone come spettatore. Il tempo è spesso un’importante componente, in quanto solo il naturale trascorrere delle ore e dei giorni rende pienamente tangibile il dispiegarsi delle trasformazioni a cui le opere sono soggette.
L’evaporazione di acqua marina, e la conseguente traccia nella forma di cristalli di sale, delineano in Tenda, 1967, la dinamica di un paesaggio naturale. Il lago salato che si forma all’altezza degli occhi degli spettatori corrisponde alla dimensione antropocentrica che Zorio esalta nelle sue opere. Anche i tubolari metallici sui quali è poggiato il telo sono stati pensati dall’artista secondo una dimensione umana e la loro funzione viene paragonata a quella delle vene e dell’ossatura.
Zorio ha rinnovato il linguaggio della scultura liberandola dalla fissità e dalla pesantezza a cui è tradizionalmente associata. In Colonna, 1967, un pesante conduttore in Eternit è poggiato su una camera d’aria, quasi si trattasse di una colonna rovesciata. Il conduttore rimane quindi in una situazione di equilibrio precario; a sua volta, a causa del peso dello stesso elemento, la camera d’aria diventa durissima e la gomma perde di duttilità. La giustapposizione dei due materiali intacca l’apparente natura di ciascuno di essi, proponendo un’immagine architettonica di elevazione.
L’idea di ascesa è anche presente in Macchia III, 1968. «Quanto mi ha sempre interessato – nota a questo proposito l’artista – è stato il tentativo di sollevare la scultura, di sospenderla e collocarla in aria, al fine di occupare tutto lo spazio, compreso l’orizzonte aereo». L’opera è realizzata spargendo a terra, in cerchi concentrici, gomma liquida. Successivamente, la gomma viene sospesa nello spazio mediante corde la cui tensione non è mai definitiva. L’innalzamento della scultura corrisponde alla capacità dell’artista di rendere tangibile l’appartenenza dell’opera allo spazio dell’immaginazione, rinnovando continuamente la meraviglia di un incontro inaspettato.
La dimensione narrativa è spesso presente nelle sue opere, nella forma di un raccontare fantastico che attraversa il tempo e lo spazio. In questo senso, compaiono nei lavori elementi come crogiuoli, giavellotti, otri e soprattutto canoe, assunti quali ideali strumenti di viaggio. Barca nuragica, 2000, è una sezione di canoa in giunchi intrecciati, presentata quale vettore che ha attraversato la storia e diverse civiltà. Dinamicamente triangolare, l’opera effettua movimenti che sembrano preludere a un nuovo viaggio. Sollevata nello spazio, essa è anche liberata dal silenzio e restituita alla vita grazie al sibilo emesso dall’aria compressa che ne provoca il movimento.
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