Giuseppe Penone

Giuseppe Penone fa dello studio delle analogie tra forme culturali e naturali il fulcro della sua indagine e ribadisce nella comune essenza che unisce uomo e natura, in un continuo stato di partecipazione e simbiosi, l’elemento fondamentale della sua pratica artistica. Riflettendo sin dall’inizio sul concetto di fluidità e persuaso che tutti gli elementi, umani o vegetali, minerali o animali, siano in verità fluidi, Penone intreccia un discorso intenso e complesso sull’analisi della realtà e della materia. Partendo da riflessioni personali legate al contesto culturale in cui è cresciuto e al momento storico in cui ha esordito come scultore, l’artista traduce nel proprio codice linguistico il legame con la terra e con il paesaggio. Sin dall’inizio l’immagine dell’albero e del corpo sostiene la costruzione del suo edificio artistico, dirigendo i contenuti della sua indagine sia verso il mondo vegetale, con l’intento di visualizzare e modificare i processi di crescita naturale degli elementi, sia verso il corpo da sempre oggetto della sua ricerca. Le sue opere esaminano i meccanismi legati alla trasformazione e indagano la dimensione sensuale della materia, rivendicando l’intenzione di costruire una continuità evolutiva con gli aspetti linguistici della scultura classica. Albero di 5 metri, 1969-1970, e Albero di 11 metri, 1969-1989, appartengono a un ciclo di opere denominate Alberi a cui si dedica dal 1969 fino ad anni più recenti. Partendo da travi in legno di tipo industriale, attraverso un lavoro di incisione, di intaglio e di scavo fa riemergere il tronco e i rami dell’albero originale, individuabili a partire dai nodi visibili nel legno. Con un procedimento definito dall’artista “di scortecciamento” estrae la forma di un albero più giovane la cui immagine è ancora conservata al suo interno. Queste opere testimoniano il suo interesse per la fase processuale del lavoro e pur essendo concepite come forme autonome e indipendenti sono il risultato di un progetto di ricerca unitario che consiste nella rigenerazione del bosco, come testimonia la grande installazione articolata nello spazio dello Stedelijk Museum a Amsterdam nel 1980. Nel ciclo di opere dedicate ai Soffi ed eseguite a partire dal 1978, ha recuperato dal mondo della mitologia l’immagine del soffio come origine dell’uomo e elemento vitale e energetico. Memore di reminescenze filosofiche classiche in Soffio di creta H, 1978, ha voluto rendere solido ciò che è immateriale, riproducendo il volume del proprio respiro che prende consistenza fisica e assume la forma di un vaso sulla quale si manifesta l’impronta del suo corpo plasmato sulla creta. E’ un lavoro che approfondisce l’atto dell’espirare come espulsione di aria dai polmoni che a contatto con l’atmosfera diventa forma. E’ un modo di creare una scultura invisibile che ci accompagna giorno per giorno durante la nostra vita. Respirare l’ombra, 1999, appartiene a un gruppo di lavori più recenti in cui attraverso grandi installazioni Penone elabora percorsi visivi e sensoriali nel suo mondo espressivo. Pur appartenendo a due periodi cronologici differenti si presenta come una lettura complementare alla ricerca avviata con i Soffi in cui l’artista indaga e penetra il momento dell’inspirazione. E’ la scultura che viene introdotta dall’esterno nei nostri corpi nel momento in cui respiriamo attraverso gli odori. L’opera si presenta come un ambiente rivestito di foglie di alloro, al centro di una delle pareti è visibile un polmone in bronzo dorato. Combinando il profumo intenso delle foglie con l’idea della respirazione l’artista non solo definisce i confini dello spazio e la forma del luogo, ma conferma che il suo interesse non è rivolto verso la rappresentazione quanto piuttosto verso l’evocazione e la suggestione di un’immagine poetica. Si inscrive nella continuità di questa ricerca sulla superficie, sulla sensibilità della pelle e sulla relazione tra il mondo vegetale e quello umano anche Pelle di foglie (Sguardo a terra), 2003, dove le referenze al mondo vegetale e il confronto con il contenuto poetico delle sue forme esplorano il rapporto primario con la materia evocandone gli aspetti mitici. L’immagine di questa figura arborea che si prolunga nello spazio è l’emanazione di un ricordo legato ai classici della nostra cultura, dove la mitologia non è mai una fonte diretta, ma piuttosto una suggestione, un’impressione che incontra un eco e un fondamento nell’esaltazione della natura e nell’empatia con il mondo vegetale. La sensualità di questa forma scultorea trova una corrispondenza nel medium impiegato, il bronzo, metallo della scultura classica per eccellenza, che per le sue proprietà metamorfiche riassume la poetica dell’artista e lascia emergere la sua sensibilità verso l’infinità fluidità della materia.

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