Lothar Baumgarten
Yurupari – Stanza di Rheinsberg è stata inizialmente esposta a Düsseldorf nel 1969. Come scrive Lothar Baumgarten «il titolo si riferisce al mio luogo di nascita, Rheinsberg, una città nella regione del Brandeburgo nella Germania orientale. Riconfigurata in relazione al nuovo spazio, l’opera è stata presentata nella sua attuale versione una seconda volta nel 1984, al Castello di Rivoli. Essa allude al fenomeno “Tempo” in due sensi: al tempo storico, attraverso il dialogo che instaura con il contesto architettonico nel quale si situa, e alla transitorietà del tempo, attraverso la scelta dei materiali impiegati. Il pigmento blu cobalto non fissato, usato per colorare i muri, dà espressione a una qualità intrinseca dei Tropici: la loro effimera transitorietà. Disseminati sui muri sono i nomi delle piante e degli animali che abitano l’emisfero Sud del Nuovo Mondo. Questi nomi evocano un composito scenario dell’America tropicale; inoltre, rimandano all’appropriazione verbale di queste terre da parte degli europei e alla loro inclusione in un sapere enciclopedico. In questo modo, i nomi riportano all’epoca smaniosa di classificazione, nella quale i desideri di conquista e di nuove esperienze si combinarono nella pratica di nominazione di un intero mondo fino ad allora sconosciuto. I nomi scelti per questo spazio, la loro giustapposizione e le loro interrelazioni, mettono in moto diversi gradi di associazione con un continente: come può essere percepito dai cinque sensi; come può essere conquistato in un processo di scoperta irrevocabile; e come può essere immaginato, attraverso le descrizioni dei libri letti in una stanza di Rheinsberg». L’opera è un’installazione permanente in una sala del Castello, caratterizzata da un repertorio decorativo tipico di una residenza di campagna.
Il trittico delle tre stampe fotografiche intitolate Hoffnung La Gran Sabana (Speranza – La grande Savana), 1977, è ambientato in Venezuela. Le fotografie sono state scattate a La Gran Sabana, l’estesa prateria che si ritiene nasconda ancora il leggendario El Dorado. Lo scheletro di una capanna in una delle fotografie è l’unica traccia in un paesaggio apparentemente incontaminato, che una rinnovata febbre dell’oro sta però mettendo in pericolo.
Nelle opere di Baumgarten, che includono film, fotografie, disegni a muro e installazioni ambientali, sono spesso presenti vocaboli di lingue pressoché estinte. Attraverso l’uso di parole appartenenti a popolazioni autoctone, l’artista mette in luce il processo di espropriazione culturale a cui molte civiltà sono state assoggettate al momento dell’incontro con il mondo occidentale. L’importanza della lingua quale strumento di possesso sul mondo e l’alienazione conseguente allo scollamento tra le parole e le cose è la tematica che accomuna un gruppo di lavori dell’artista. Trascrivendo i nomi di diverse linee ferroviarie americane, in Diamond Frog (Il cuore dello scambio), 1989, egli rievoca un capitolo della storia americana. I nomi, posati nero su bianco a comporre una forma che ricorda il segnale comunemente impiegato all’incrocio con una strada ferrata, recano insieme a parole inglesi la memoria di idiomi degli indiani annientati durante la conquista del West. Il disegno a parete è parte del progetto Carbon, al quale appartengono anche le quattro immagini in collezione. Come ha scritto l’artista, il soggetto di Carbon è «l’aroma della geografia», incarnato dalla polifonia dei nomi delle linee ferroviarie. Nel loro insieme, le numerose immagini che compongono la serie raccontano la diversità del paesaggio americano e i bruschi cambiamenti ai quali è stato sottoposto, ripercorrendo implicitamente la storia dell’espansione territoriale contenuta entro le strade ferrate degli Stati Uniti.
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