Luigi Mainolfi

Luigi Mainolfi si è distinto fra quanti, in Italia, dalla fine degli anni Settanta hanno intrapreso nuovi percorsi nella figurazione pittorica e scultorea, legandola a vario titolo alle tradizioni culturali del nostro Paese. Ha inoltre elaborato coerentemente un suo personale linguaggio, con il quale ha inteso praticare una scultura realizzata con materiali naturali come terracotta, gesso, legno, pietra lavica, oltre che con fusioni in bronzo. Attraverso la scultura, Mainolfi evoca le culture popolari da cui egli stesso proviene mescolandole con la memoria culturale del suo essere artista.
La Colonna di Rivoli, 1987-1988, è una lunga ed esile colonna di terracotta che parte dal pavimento della sala in cui è collocata e raggiunge il soffitto; essa fa parte di un ciclo tematico in cui ogni altra opera similmente realizzata viene installata adeguatamente all’altezza dello spazio. Questa disposizione evoca dunque un virtuale proseguimento del lavoro, con un richiamo alla Colonna infinita di Costantin Brancusi. Sul fusto della colonna l’artista ha impresso una serie ininterrotta di piccole figure che rappresentano le piccole abitazioni di una città verticale, tema svolto da Mainolfi anche con altre soluzioni formali. L’immagine di questa città è insieme favolistica e arcaica, come spesso nel repertorio visivo dell’artista. Mainolfi ha edificato da tempo un suo particolare immaginario, dove questi due caratteri sono divenuti quasi un suo tratto distintivo. Tutta la sua ricerca mira a rifondare l’atto scultoreo partendo dalle «origini» della terra. La terra (in questo caso significata, possiamo dire letteralmente, dalla terracotta) è un elemento che si può manipolare e conformare con maggiore immediatezza di quanto non consentano altre materie più solide. La terracotta è un materiale povero, con cui sono realizzati gli utensili domestici delle comunità primitive, e rimane legata all’espressività popolare. A queste radici l’artista vuole legarsi con l’elaborazione di figure e immagini che ricordano luoghi e tempi delle tradizioni della sua terra d’origine, la Campania. Un simile riferimento viene naturalmente trasfigurato in una personale ricerca poetica fondata sulla fantasiosa invenzione di un universo zoomorfo o fitomorfo (la Colonna richiama per esempio il fusto di un albero), dove le diverse nature si fondono. I riferimenti all’arcaico non conseguono a una vera e propria ricerca di tipo antropologico, piuttosto se ne nutrono liberamente, poeticamente, per creare figure vicine agli archetipi dell’inconscio collettivo. Anche la Colonna di Rivoli rientra in questo universo parallelo e organico, recando i piccoli emblemi di una civiltà integralmente reinventata ma anche sedimentata nella cultura contemporanea, di cui costituisce l’operante, anche se spesso dimenticato, fondamento.

[G.V.]