Mimmo Jodice
Dagli anni Sessanta Mimmo Jodice impiega la fotografia nella sua doppia valenza di strumento di analisi del reale e di indagine introspettiva. Le sue immagini sono intense espressioni di un percorso di ricerca continua, teso a documentare l’interazione appassionata dell’occhio del fotografo con il mondo.
I suoi esordi avvengono a stretto contatto con il tessuto culturale e sociale di Napoli, sua città natale. L’obiettivo del fotografo partecipa alle nuove energie dell’avanguardia artistica che hanno luogo nella città partenopea. Negli anni Settanta sperimenta nuovi linguaggi tecnici e la materialità dell’oggetto fotografico, utilizzando al tempo stesso la fotografia come strumento di impegno sociale. «Quando è liberamente espresso – nota Jodice – il mio lavoro corre su due binari paralleli: quello della denuncia, che mi vede schierato sempre dalla parte dei perdenti, e quello della fotografia creativa, dove il mio dissenso si esprime attraverso il surreale, il metafisico, il silenzio».
Dagli anni Ottanta la figura umana non è più fisicamente presente sotto il suo obiettivo e il centro della sua ricerca diventa invece il paesaggio, inteso come paesaggio di natura, di civiltà, di memoria e di sogno.
Le immagini che compongono La città invisibile, 1990, sono una serie di vedute di alcuni quartieri napoletani e cittadine limitrofe, in cui l’azione frenetica del capoluogo sembra arrestarsi tra i reperti della civiltà contemporanea. Gli edifici industriali fotografati diventano paesaggi metafisici, dove le ombre lunghe misurano il silenzio. I luoghi sono interpretati come terre di confine, situazioni dove la realtà perde la propria abituale consistenza. La dimensione onirica è accentuata dagli ampi cieli che scandiscono la geometria delle composizioni e dalla presenza quasi costante della linea dell’orizzonte.
[MB]