Niele Toroni

La prima azione programmatica compiuta da Niele Toroni risale al 3 gennaio 1967. In quella data, in occasione del Salon de la Jeune Peinture di Parigi, l’artista stila una dichiarazione insieme ai pittori Buren, Mosset e Parmentier che contiene già tutto il suo programma di lavoro. La dichiarazione, molto polemica, elenca le qualità e le funzioni tradizionalmente attribuite alla pittura quali l’importanza delle relazioni cromatiche e l’applicazione delle regole compositive e si conclude con un deciso «Noi non siamo pittori». Questo programma ha rappresentato uno dei momenti radicali di quella messa in discussione dello statuto della pittura che è stato tipico degli anni Settanta. Toroni, al pari di Buren e degli altri firmatari, ma anche di tutti gli esponenti dell’Arte Concettuale, inaugura un lavoro critico rispetto ai protocolli espressivi dell’arte. Nel suo caso, lo specifico della pittura non viene abbandonato, bensì ridotto a pratiche predeterminate e a scelte di negazione perché l’artista intenzionalmente rifiuta di fare esattamente ciò che la tradizione si aspetta da un pittore. Questa posizione deriva dalla volontà di intervenire operativamente sul ruolo ideologico e sociale che la società capitalista attribuisce all’artista e al suo prodotto. Toroni interviene su queste caratteristiche per ribaltarle completamente. Invece di tratti distintivi, crea opere basate su un processo meccanico e anonimo. Invece di opere che mutano di stile, inaugura una costante ripetizione di opere «sempre uguali», rette sempre dalle stesse regole linguistiche che attingono esclusivamente ai fondamenti della pittura.
La tela Impronte di pennello n. 50 a intervalli regolari di cm 30, 1984, ha come titolo la pura descrizione di se stessa, o meglio del metodo di lavoro che l’ha generata. Si deve considerare come uno dei molti episodi di pittura che l’artista invariabilmente denomina travail/peinture (lavoro/pittura). È basata sulla stessa regola che da sempre informa questo lavoro: applicare varie impronte di pennello n. 50 a 30 cm esatti di distanza l’una dall’altra fino a riempire la superficie di volta in volta considerata. Anche nell’intervento che l’artista ha realizzato direttamente sui muri di una sala del museo, il lavoro si risolve nelle impronte di pennello date meccanicamente. In questi gesti elementari e reiterati, Toroni fa agire in realtà tutto il sistema della pittura, nel senso che rende operativi tutti i suoi connotati: la tela/supporto, il pennello/strumento, il colore/materia espressiva, e lo spazio che accoglie l’opera. Lo spettatore deve sapere che si tratta semplicemente di impronte di pennello date ogni 30 cm, perché questo è ciò che Toroni vuole mostrargli, ma potrà, se vuole, vedere in ogni opera di Toroni tutte le possibili immagini pittoriche, tutta la pittura, perché il suo lavoro si pone come metonimico, come la parte per il tutto. La riduzione cui sottopone la specificità del linguaggio pittorico, l’adozione di pratiche meccaniche e facilmente apprendibili vale come demitizzazione della figura dell’artista creatore in vista di una trasformazione del suo ruolo in quello di operatore culturale impegnato nella socializzazione dei propri strumenti espressivi.

[GV]