Paola Pivi
Una forte tensione verso il limite estremo è una possibile definizione dell’impeto che anima il lavoro di Paola Pivi. Per l’artista, l’opera è l’espressione di una forma di realtà liberata alla sua massima potenza espressiva. Tale fenomenologia dell’eccesso è dispiegata in opere concise come secche affermazioni: un camion girato su un fianco, un aereo da caccia capovolto, un muro di pura luce, cento persone di nazionalità cinese riunite a formare un cubo, due zebre tra la neve degli Appennini o ancora la fotografia di un’isola grande quanto l’isola stessa. Nella mente dell’artista l’opera nasce come idea già compiuta e, con tenacia instancabile, Pivi dispone ogni volta le condizioni per arrivare a rendere tangibile l’immagine di partenza. Apparentemente difformi, i suoi lavori nascono da una coerente propensione a disporre gli elementi del reale in relazioni assurde e stranianti, accettando di incorrere in situazioni difficili e talvolta controverse. Sempre presente, la componente performativa assume così caratteristiche ludiche, quasi che l’artista giocasse con il mondo, rivendicando tale prerogativa quale proprio diritto inalienabile.
Proprio come se fossero momenti diversi di una stessa performance, le cinque fotografie in collezione presentano situazioni ambientate ad Alicudi, la piccola isola a nord della Sicilia nella quale l’artista ha vissuto per un periodo. Uno struzzo in riva al mare, due struzzi in barca e un asino in barca da solo: immagini incoerenti, ma frutto di una realtà vissuta e non artefatta. Analogamente si spiegano anche il profilo dell’isola intravisto da sott’acqua e la mole del gallerista che rivela inaspettate capacità natatorie. Evitando la finzione, Pivi sottolinea la necessità che anima la propria ricerca, il fatto che l’opera, quando realizzata, possa essere solo così e non altrimenti.
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