Pia Stadtbäumer

Le sculture di Pia Stadtbäumer dipartono dalla tradizionale resa tridimensionale del corpo umano per esprimere questioni universali, ma assolutamente contemporanee, relative all’identità, alla sessualità, alla malattia e alla violenza. L’artista usa come ispirazione amici o persone appartenenti alla propria cerchia familiare ma, impiegando fotografie anziché modelli, si allontana dalla specificità del soggetto. Pur nella loro estrema accuratezza, che include anche le più sottili rughe della pelle, le sue sculture non sono riproduzioni mimetiche del corpo umano. Una serie di deformazioni, di scala, di colore e di forma, crea una tensione tra l’impianto figurativo di matrice realista e la contemporanea concezione della scultura come composizione autonoma. I materiali da lei adoperati, quali cera, gesso o impasti sono lontani dalla composta classicità delle superfici bronzee o marmoree impiegate nella scultura tradizionale e rimandano piuttosto ai modelli usati in anatomia per studiare il corpo umano e le sue possibili alterazioni. L’artista installa le sue figure in stretta relazione con l’ambiente espositivo. La sua attenzione alle proporzioni architettoniche dello spazio è in contrasto con la composta visione umanista del corpo quale misura dell’universo, per accogliere invece le complesse costrizioni che dettano le nostre esistenze.
Ispirandosi alla figura di un bambino di circa sei anni, Stadtbäumer ha plasmato Max, Screaming (Max, mentre urla), 1997-1998. A grandezza naturale, la scultura domina lo spazio che la circonda. Le gambe leggermente divaricate e mani e piedi piuttosto grandi connotano un corpo che già contiene la traccia del futuro sviluppo e che cerca il proprio spazio nel mondo circostante. L’impasto giallo acido amplifica l’espressione del viso distorto in una smorfia. Gli occhi sono strizzati e la bocca è spalancata in un urlo indecifrabile, forse espressione di gioia, forse manifestazione di incontenibile dolore. Sono parte dell’installazione tre fotografie in bianco e nero, primi piani del modello in terracotta che precede il calco della scultura. Lievi variazioni di scala da un’immagine all’altra, e soprattutto l’insistenza sul viso di Max, sembrano rimandare alla tradizione accademica delle têtes d’expressions, quel vocabolario fatto di volti tesi in espressioni estreme corrispondenti a specifici stati d’animo. Il riferimento alla tradizione, come spesso avviene nel lavoro di Stadtbäumer, è oltrepassato e contraddetto dalla voluta ambiguità emotiva.

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