Pier Paolo Calzolari
Cere, piume, neon, ghiacci, foglie, muschio, candele, strutture ghiaccianti, sale, rame, piombo, oro, stagno, ceramica, luce, fiamme, materiali elettrici, papier collé, sono solo alcuni degli elementi che compongono l’universo espressivo di Pier Paolo Calzolari, lingue del suo mondo poetico. L’artista organizza una sinfonia del quotidiano, del reale che si racconta nel presente, nel vissuto e si dispiega nello spazio della rappresentazione annientando ogni mediazione, ogni possibile raffigurazione. Non descrive, non codifica, ma vive la realtà e l’arte come un atto di passione. L’arte si fa vita e la vita si compenetra nell’arte. La sua è una poetica in grado di muoversi tra le cose secondo una dimensione alchemica, capace di riattivare in maniera sensibile e assolutamente personale lo spazio artistico e il procedimento creativo. Dalla pittura, agli oggetti, dalle installazioni, alle performance, dal video, al disegno, la sua opera è insaziabile e esaurisce ogni linguaggio, avulsa da qualsiasi tentativo di categorizzarla. I monocromi di materie sublimi, le scritte luminose al neon, le strutture ghiaccianti sfruttano i principi della fisica per creare un’estetica dell’organismo vivente. Attratto dal processo formativo degli elementi più che dalla loro forma in sé, elabora una materia viva, in cui gli oggetti abbandonano lo stato di inerzia e perdono la loro condizione statica per espandersi nell’ambiente delineando una nuova dimensione spaziale e temporale tendente verso il sublime. Senza titolo, 1967, incorpora materiali naturali e strumenti tecnologici. Un giocattolo a forma di locomotiva corre lungo un binario montato sulla superficie del dipinto. Lo spirito di ricerca che alimenta tutta l’opera dell’artista attiva qui, come in altri contesti, un dialogo tra l’organico e l’inorganico, tra la dimensione bidimensionale del monocromo e lo sconfinamento prospettico dell’oggetto tridimensionale. Scalea (mi rfea pra), 1968, è una struttura ghiacciante in rame che si presenta nella forma di tre gradini su cui poggiano una candela, una piuma e delle lettere in metallo a formare la frase “mi rfea pra”. I gradini e le scale, presenti nella sua iconografia, rappresentano la continua salita e discesa, simbolo che descrive il cammino progressivo verso la conoscenza, secondo le teorie artistiche del XVI secolo. La scrittura diventa essa stessa un’icona, le lettere sono immagini ed entità fisiche mentre l’aspetto processuale dell’opera, il cambiamento di stato della materia che si ghiaccia attraverso un processo temporale di condensazione e il consumarsi della candela evidenziano una dialettica tra il caldo e il freddo, tra la leggerezza della piuma e la pesantezza del metallo, secondo un principio di conciliazione degli opposti che invita alla riflessione e coinvolge la dimensione mentale dell’opera. Senza titolo (mortificatio, imperfectio, putrefatto, combustio, incineratio, satisfactio, confirmatio, compositio, inventio, dispositivo, actio, mneme), 1970-1971, è una grande installazione che occupa in maniera sensibile lo spazio fisico. La tradizione alchemica è all’origine dell’opera e la diffusione della luce, quale elemento fondamentale nella poetica dell’artista, dà vita a questo ambiente composto di suoni, luci e linguaggio. Dodici lampadine pendono dal soffitto. Lungo ognuna di esse scorre un sottile tubo al neon che scrive le parole latine contenute nel titolo. Le scritte alludono al processo di distruzione e ricostruzione della materia auspicato dalle pratiche alchemiche spostandolo però sul piano metaforico. Il neon, materia riduttiva e fredda come il ghiaccio, e il suono, prodotto da alcuni altoparlanti, che ripetono come in un eco le medesime parole, sono voci della sensibilità dell’artista che si riferiscono all’idea di un’opera d’arte come illuminazione. Sedie, 1896, due comuni oggetti realizzati in terracotta, ma con il sedile in piombo poggiano su una lastra dello stesso metallo collocata sul pavimento e collegata a un motore refrigerante. Un lungo grissino è posizionato in equilibrio tra i due schienali. Una volta accesa l’opera si modifica con il trascorrere del tempo secondo un processo di trasformazione della materia tipico del suo linguaggio. I sedili brinando si colorano di bianco ponendosi da quel lato dell’esistenza che trascorre, trascolora, muta, si modifica. In Senza titolo (Omaggio a Fontana), 1989, la luce materiale e immateriale e il cambiamento di stato ricompaiono quali elementi fondamentali di una poetica in cui la dimensione estetica è riflessa nella condizione fisica degli elementi. Su una struttura rettangolare in rame, appesa al muro come un quadro, sono praticati dei fori in un simbolico omaggio ai Concetti Spaziali di Lucio Fontana. Il ghiaccio assorbendo la luce entra in relazione con lo spazio assoluto dell’opera e l’astrazione fisica della materia. Colonne, 2001, è un’installazione pensata per l’atrio del museo. L’opera si ispira a una precedente versione realizzata per Villa delle Rose a Bologna. Tre colonne doriche, due rivestite di un nerofumo, prodotta con la fiamma ad acetilene, e una ricoperta di muschi di diverse varietà di verde, sono circondate da un binario, posizionato nell’estremità superiore, su cui corre un piccolo treno. Il contrasto tra la plumbea e riflessiva materia saturnina delle colonne nerofumo e la trionfante fisicità del colore oro, che sovrasta l’estremità di esse, rivendica il valore della luce mostrata dall’artista in quanto rivelazione estetica e ontologica di uno spazio fisico vissuto come luogo dell’illuminazione in una sorta di percorso ascetico. L’idea del movimento, in questo caso fisico del treno, come mutamento e la suggestione del paesaggio quale dimensione immaginativa ed evocativa conferiscono a quest’opera la sua dimensione poetica. Tutta l’opera di Calzolari ci incanta presentandoci una condizione dell’essere attraverso il processo di trasformazione degli elementi, attraverso la formazione e la composizione degli stati delle materie. Il divenire delle forme e degli oggetti, il loro fluttuare da una dimensione all’altra, il loro incessante modificarsi sono solo il modo di tenere viva l’essenza dell’arte, lo strumento attraverso il quale l’artista ci restituisce le immagini della sua straordinaria e sensibile visione del mondo.
[GC]