Reinhard Mucha

L’artista tedesco Reinhard Mucha è tra i maggiori scultori europei della fine del XX secolo. Emerge nel corso degli anni Ottanta quale protagonista di una nuova tendenza artistica che elabora forme che alludono all’architettura e all’arredo interno per indagare un senso di profonda solitudine e perdita, un senso di lutto del Soggetto che si manifesta attraverso il riferimento agli spazi dell’Uomo, senza però raffigurare la persona umana. Parallelamente al senso di perdita della progettualità moderna e utopica ancora dominante tra gli artisti negli anni Settanta, infatti, Mucha costruisce le sue opere unendo materiali logori e trovati (vecchie porte, materassi, legni vari, belatom ecc.) con altri nuovi (feltro, legno, vetro ecc.). A volte crea effimeri agglomerati di oggetti che vengono smontati a fine mostra; altre volte crea durature e complesse installazioni di elementi che si relazionano al contesto espositivo, come nel caso di Mutterseeienallein (Solitudine) 1989, altre volte ancora crea sculture autonome sotto forma di pesanti teche vuote appese a parete, che evocano dispositivi per l’esposizione (bacheche, vetrine ecc.), come nel caso di Seelow – Fur Francois Robelin (Seeiow – Per Francois Robelin), 2003-2006.
In questo genere di opere, Mucha sottolinea il peso e il dramma della storia moderna tedesca – i suoi progetti ma anche il suo crollo. II senso si trova proprio nel contrasto tra l’elaborata costruzione della “teca” e l’apparente vuoto che essa contiene. Ogni nuova teca o “vetrina” realizzata si aggiunge a una serie esistente che costituisce per l’artista un progetto complessivo di ampio respiro. Dopo avere creato ogni nuova opera di questa serie, l’artista sceglie in maniera intuitiva un titolo traendolo da un elenco di 242 nomi di città tedesche con stazioni ferroviarie, originariamente raccolto nell’installazione/archivio Wartesaal (Sala d’attesa), 1979-1982; 1997. L’elenco contiene nomi di città con un massimo di sei lettere. Mucha inizia il suo percorso artistico all’Accademia di Düsseldorf alla fine degli anni Settanta quando nel 1979, ancora studente, inizia a creare il suo grande archivio di nomi esposto in una prima versione nel 1982 e poi in occasione di Documenta X a Kassel nel 1997 in una versione modificata. Le “vetrine” – tutte opere autonome ma collegate in maniera invisibile al cuore pulsante che è l’archivio di nomi Wartesaal – si ispirano alle vecchie forme di segnaletica ferroviaria, in particolare ai cartelli che si trovano in cima ai binari e indicano la destinazione di un treno, oppure ai grandi tabelloni meccanici, con l’elenco dei treni in arrivo o in partenza. Evocano un periodo passato di grande attività industriale, pur suggerendo una distanza inesorabile da esso attraverso la loro immobilità e l’assenza di ogni indicazione o nome al loro interne.
Seelow – Fur Francois Robelin (Seelow – Per Francois Robelin), 2003-2006, è una di queste “vetrine”. Pesante come se un dipinto a parete si fosse trasformato in forma tridimensionale aggettante e aggrappata al muro, l’opera risulta dall’aver tagliato in due parti e poi unito una stoffa beige a strisce per materassi a vecchie assi di legno assemblate anch’esse a strisce, alternate a bande di feltro rientranti, chiuse frontalmente da un vetro serigrafato dall’artista. L’ovale serigrafato risale a un vecchio disegno d’infanzia di una pista per un trenino giocattolo. Mentre lo sguardo sprofonda nell’osservazione del feltro, al contempo la superficie in vetro riflette l’immagine dell’osservatore nello spazio antistante l’opera, e la serigrafia pone, invece e infine, lo sguardo dello spettatore stabilmente sul livello della superficie.
Una simile strutturazione dello sguardo dello spettatore tra profondità, spazio antistante e superficie si ritrova nelle sedici teche / “vetrine” che costituiscono la parte principale dell’installazione Mutterseelenallein (Solitudine). Nel 1989, Mucha crea a Napoli presso la galleria Lia Rumma la grande e complessa installazione il cui titolo tedesco è un’espressione che indica uno stato d’animo unendo le parole “madre”, “anima” e “solo”. Le sedici pesanti teche in legno, feltro, alluminio e vetro sono appese in basso sulle pareti, in modo da accentuare il loro peso, e sono illuminate da una serie di lampade al neon posizionate verticalmente.
Al centro di tutte le teche, esclusa una, si vede la fotografia in bianco e nero di una sedia vuota. Tutte diverse, le sedie sono quelle usate da custodi o stanchi visitatori di una mostra a Düsseldorf. Suggeriscono un grande e profondo vuoto, la solitudine di ogni individuo, eppure celebrano anche la poesia dell’attesa, la specificità di ogni sedia e di ogni persona.
Come una persona, l’opera cresce e si trasforma nel tempo, scandisce il tempo della sua esposizione: collocata per molti anni al Museum für Modern Kunst di Francoforte dopo l’esposizione a Napoli, Mucha aggiunge pareti di legno sotto le teche che ricordano un parquet posto in verticale.
Nel progetto del nuovo allestimento dell’opera per la collezione del Castello di Rivoli, invece, Mucha accumula il parquet di Francoforte al centro della stanza mentre il pavimento in resina del Castello sembra ergersi sui muri dietro alle sedici teche – l’opera non esiste fuori dal tempo, scandisce il tempo attraverso le sue trasformazioni e, di conseguenza, scandisce il nostro tempo.

[C.C.B.]