Atrio Juvarriano

 

L’avancorpo dai robusti pilastri bugnati in marmo di Foresto è ciò che per primo si incontra all’arrivo al Castello, primo segno del cantiere non finito juvarriano, arrestatosi nel 1734, ma segno di un progetto di ampio respiro.

Juvarra  aveva immaginato l’atrio come uno spazio cardine tra le due ali, rigorosamente simmetriche,  dove si dovevano articolare gli elementi scenografici espressione di ricchezza e di solennità, e che doveva ospitare l’atrio d’ingresso, gli ambienti di accoglimento, gli scaloni di rappresentanza e ai piani superiori erano previsti i grandi saloni del ricevimento e di festa.

Dall’atrio al piano terra un passaggio carraio era pensato attraversare assialmente la costruzione da nord a sud diramando lateralmente gli accessi simmetrici, sottolineati da pochi gradini, agli scaloni monumentali che portano ad un piano ammezzato aperto sull’atrio stesso, quindi al vestibolo, ed infine al grande salone che si sviluppa per un’altezza di due piani.

La parte costruita oggi corrisponde ad un terzo del progetto e precisamente il solo edificio che si sviluppa a levante verso Torino, sebbene manchino anche qui gli elementi previsti da Juvarra.

Oggi come allora questa è il lato principale del Castello di Rivoli, rivolto verso la Valle di Susa, e ancora verso la Savoia, per testimoniare  l’importanza che ha sempre rivestito per Casa Savoia questa residenza di cui è stata proprietaria dal 1247 al 1883.

Da qui, le carrozze della Corte e degli ospiti avrebbero avuto accesso,  seguendo il progetto di Filippo Juvarra, rappresentato anche grazie  le grandi tele del Pannini, oggi a Palazzo Madama, del Michela e del Lucatelli, conservate al Castello Reale di Racconigi, il grande modello ligneo dell’Ugliengo.

Oggi, al contrario, c’è una spaccatura a cielo aperto tra l’ imponente facciata con le parti plasmate a “ rustico”   dell’edificio Castello e quelle della seicentesca Manica Lunga. Simbolo di un cantiere bruscamente sospeso. Nude superfici in mattoni a vista predisposte e modellate. L’atrio rappresenta nella sua incompiutezza una pagina di storia tecnica e costruttiva di grande interesse. Colonne, pilastri, archi, paraste, nicchie, cornici, oculi  pronti, per accogliere le decorazioni in stucco, statue e busti di marmo.   Da una parte con i mattoni predisposti ad accogliere, e non lo faranno mai, gli elementi decorativi in stucco.

Per accedere all’edificio Castello, a sinistra lo scalone in pietra grigia di Vaie, in origine avrebbe dovuto essere in marmo bianco di Foresto,  e continuare sino ai piani superiori, venne lasciato in  legno  all’interruzione del cantiere juvarriano, realizzati, invece, in marmo bianco di Frabosa i balaustrini laterali. Il progetto avrebbe dovuto essere  imponente e  prevedere due rampe, una per parte, del tutto simile a quello, al contrario realizzato, e sempre da Juvarra di Palazzo Madama.

Per evocare la seconda rampa, mai realizzata, l’architetto Andrea Bruno che ha seguito i restauro dal 1979 al 1984 ha posto la  grande porta a specchi, alla sinistra dell’atrio che la riflette e evoca ciò che avrebbe dovuto esserci e non è mai stato realizzato.

L’aspetto dell’atrio attuale si deve proprio all’architetto torinese, che nel 1967 fece rimuovere  le strutture costruire nel 1860 in aderenza con l’atrio juvarriano, in occasione dell’arrivo del 50° Brigata Fanteria. Queste erano costituite da un porticato sostenuto da alti pilastri in muratura e un piano superiore, il tutto di misero aspetto. Il carattere di pericolosità imminente fu uno dei fattori di inizio dell’intervento. Vennero demolite anche  le strutture posticce in legno, incannicciato e gesso realizzate ad inizio ‘900. Con queste doverose demolizioni è stato fissato il cantiere juvarriano nella sua condizione di stallo improvviso evitando ogni completamento, tornando al 1734, al suo arresto, data che è riportata anche sulle porte di accesso dell’edificio, insieme a quella del 1984, data di riapertura e apertura del Museo d’Arte Contemporanea.

L’intervento comportò, inoltre, l’abbassamento del piano di calpestio con l’asportazione di un consistente ricarico per ritrovare la quota originale, vennero cosi alla luce i basamenti delle pilastrature e tratti della preparazione del pavimento.

Quello attuale è in porfido, di profilo sono segnate, in marmo bianco e in pietra grigia le linee corrispondenti al disegno della struttura juvarriana non eseguita.