Il caso del dipinto del Rinascimento italiano saccheggiato dai nazisti trova risoluzione nella Collezione Cerruti al Castello di Rivoli
Un dipinto apparentemente perduto di Jacopo del Sellaio, saccheggiato dalla collezione di una famiglia ebraica viennese agli albori della seconda guerra mondiale, è stato scoperto dal Museo Castello di Rivoli ed è ora esposto nella Collezione Cerruti grazie a un accordo amichevole con gli eredi.
Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e la Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, insieme all’Holocaust Claims Processing Office (HCPO) dello Stato di New York, sono lieti di annunciare la positiva risoluzione della vicenda legata alla proprietà dell’opera Madonna col Bambino, san Giovannino e due angeli, 1480-1485, di Jacopo del Sellaio. L’opera era stata acquistata dall’imprenditore e collezionista Gustav Arens (Reichenau, Repubblica Ceca, 1867 – Vienna, 1936).
L’imprenditore e collezionista Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015) acquisì l’opera nel 1987 ignaro dei suoi trascorsi da un antiquario italiano il quale l’aveva acquisita all’asta da Christie’s a Londra nel 1985.
Il dipinto, tra le più pregiate opere di tipologia devozionale realizzate da Jacopo di Arcangelo detto del Sellaio (Firenze, 1443–1493) da oggi deve la sua notorietà non più solo al valore storico-artistico in quanto importante esempio della più alta pittura italiana rinascimentale, apprezzata da Cerruti, ma anche al suo valore simbolico in quanto memoria del dramma dei suoi proprietari originali Gustav Arens, di sua figlia Ann e di suo marito Friedrich Unger, travolti dallo scandalo delle espropriazioni illegittime di opere d’arte durante l’epoca nazista.
L’opera, esposta a partire dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso nella camera della torre di Villa Cerruti, che oggi fa parte del polo museale Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea – Collezione Cerruti, ha infatti una storia particolarmente travagliata.
Il dipinto, acquistato dall’uomo d’affari e importante collezionista Gustav Arens presso la Galerie Sanct Lucas di Vienna all’inizio del 1936, fu inviato all’Akademie der bildenden Künste per il restauro dove il professore e storico dell’arte Emmerich Schaffran attribuì l’opera a Jacopo del Sellaio rettificando la precedente attribuzione a Raffaellino del Garbo. Alla morte di Gustav Arens, avvenuta nel marzo 1936, il dipinto ereditato dalla figlia maggiore Ann Arens sposata con Friedrich Unger fu sequestrato con l’intera collezione della famiglia Unger dalle autorità naziste presumibilmente dopo il marzo 1938 e restituito dietro il pagamento di un cospicuo riscatto. Con l’acuirsi della persecuzione ebraica, nel giugno del 1938 Ann e Friedrich Unger nonché le figlie Grete e Gitte fuggirono dapprima in Francia e nel maggio del 1939 negli Stati Uniti. A nulla servirono gli sforzi della famiglia per sdoganare e spedire negli Stati Uniti le opere d’arte e gli altri beni rimasti in deposito a Parigi; le operazioni furono ostacolate dalla burocrazia e, nel febbraio del 1942, le autorità tedesche requisirono definitivamente ogni proprietà della famiglia Unger ivi compresa la collezione d’arte.
Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Unger poterono recuperare parte del loro patrimonio artistico ma non il quadro di Jacopo del Sellaio di cui si erano perdute le tracce. La famiglia cercò ostinatamente per decenni di rientrare in possesso del dipinto amato particolarmente sin dall’infanzia dalla figlia minore Grete (Vienna, 1928). Nel 1974 l’opera riapparve misteriosamente sul mercato presso la Galerie Fischer di Lucerna e nel 1985 a Londra a un’asta di Christie’s. Due anni dopo, ignaro degli eventi drammatici che avevano contrassegnato la peripezia del dipinto, Francesco Federico Cerruti lo acquistò da un mercante italiano che lo aveva acquistato all’asta di Christie’s.
Nel 2016, dopo la morte di Cerruti (luglio 2015) si avviano gli accordi per l’affidamento della Collezione Cerruti al Castello di Rivoli, poi formalizzato nel 2018. Le ricerche condotte dal Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea hanno permesso di riconoscere nella tavola il quadro sottratto alla famiglia Unger e, nel 2018 la Fondazione Cerruti, anche a nome del Castello di Rivoli, ha contattato l’HCPO (Holocaust Claims Processing Office) dello Stato di New York grazie al quale sono stati individuati gli attuali eredi nella famiglia di Grete Unger Heinz, figlia minore di Ann e Friedrich Unger, e nei figli di sua sorella Gitta Unger Meier: Karen Reeds, Andrea Meier e Alan Meier. Nel 2018 è stata quindi avviata una trattativa tra le parti conclusasi felicemente nel 2020 con le finalità di mantenere integra la Collezione Cerruti, preservare il ricordo dei tragici eventi che hanno scosso l’Europa nel corso del XX secolo e permettere al pubblico di vedere il dipinto nella nuova casa museo, Villa Cerruti, gestita dal Castello di Rivoli. Oltre a un compenso finanziario da parte delle Fondazione Cerruti alla famiglia, è stato concordato di narrare le vicissitudini del dipinto e della famiglia Arens e Unger ai visitatori. Ora è dunque possibile ammirare l’opera di Jacopo del Sellaio, un dipinto particolarmente amato da Cerruti a tal punto che l’aveva voluto accanto al letto nella camera della torre, uno spazio mistico in cui erano state raccolte molte opere devozionali e destinato al raccoglimento della sulla finitudine.
Afferma Grete Unger Heinz, “A quasi 93 anni, avevo perso la speranza che questo amato dipinto rinascimentale italiano appartenente ai miei genitori sarebbe mai riemerso. Sono lieta non solo che la Fondazione Cerruti abbia raggiunto un equo accordo con gli eredi della famiglia Unger, incluso un resoconto completo della travagliata storia del dipinto, ma anche che io possa ancora vedere l’opera stessa al Museo del Castello di Rivoli nel corso della mia vita”.
Aggiunge Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli e della Fondazione Cerruti, “Sono lieta che la Fondazione Cerruti, gli eredi di Ann e Friedrich Unger e il nostro Museo siano stati in grado di risolvere con successo una richiesta di restituzione dei beni delle vittime dell’Olocausto lunga decenni. Attraverso la nostra ricerca sulla provenienza della Collezione Cerruti – e grazie all’Ufficio Reclami dell’Olocausto (HCPO) di New York – siamo stati in grado di identificare gli eredi di questo dipinto rinascimentale andato perduto durante la Seconda Guerra mondiale, compensarli per la loro perdita e conservare il dipinto al museo per la fruizione pubblica. Quest’opera di Jacopo del Sellaio, così amata dai suoi proprietari originali e anche da Francesco Federico Cerruti, che l‘ha acquisita nel 1987 senza conoscerne il passato travagliato, ha finalmente trovato la pace”.
La Collezione Cerruti
La raccolta di Francesco Federico Cerruti, gelosamente custodita e nascosta in una villa vicino Torino, per anni solo vagheggiata in quanto accessibile solo a pochi e fidati “amici intenditori”, rappresenta un unicum nella storia del collezionismo privato italiano per vastità e importanza e fa dell’imprenditore torinese uno tra i più importanti collezionisti europei.
È l’esito di un lavoro di ricerca e raccolta di opere d’arte durato circa 70 anni, un percorso “straordinario” che riverbera la personalità schiva, silenziosa e austera di un uomo appassionato spinto dal desiderio di sottrarre al transitorio e all’effimero la bellezza immutabile della creazione artistica.
Nella villa di Rivoli aperta, al pubblico nel maggio 2019, sono raccolte infatti opere rarissime conservate con la cura acribiosa del collezionista che, sottratte al piacere del nascondimento, sono finalmente visibili offrendosi in una modulazione del bello che è storia dell’arte tout court dal Medioevo fino all’età contemporanea passando per il surrealismo e le principali correnti del Novecento.
È un percorso di formazione, di affinamento della sensibilità, di ricerca del sublime che si avverte in tutte le opere della collezione – vasi, arredi, quadri, statue, libri e rari tappeti – che confermano un rapporto esclusivo e assoluto con l’arte; la cura degli accostamenti e la disposizione degli oggetti rivelano la geografia degli affetti e delle passioni del collezionista impegnato in un dialogo continuo e serrato con le opere d’arte e i loro creatori, tutto partecipa dello stesso respiro comune, teatro di presenze intrecciate le une alle altre che trascendono il valore della singola opera per restituire intatto il significato di una collezione intesa come totalità e iniziata da un Cerruti giovanissimo con l’acquisto di un inchiostro e acquarello su carta del 1918 di Kandinsky.
Di particolare interesse e straordinariamente conservati i Medievali fondi oro con cui Cerruti amava iniziare le rare visite al “suo museo”. Altrettanto eccezionale il valore dei pittori sacri come Bernardo Daddi, Gentile da Fabriano, Sassetta – di cui si può ammirare Sant’Agostino nella camera padronale – e Neri di Bicci. Si passa quindi ai maestri rinascimentali: Dosso Dossi, Pontormo, “strappato” agli Uffizi e si continua con Ribera, Diziani, Fra’ Galgario. Il percorso nella passione di Cerruti continua con le opere allegoriche di Batoni, non cedute al Getty Museum, per poi passare a quadri di Pellizza da Volpedo, Balla e Boccioni, Casorati, Severini, Picasso, Magritte. Straordinari i 10 dipinti metafisici di de Chirico collocati nella sala da pranzo della villa. E altrettanto indimenticabili le opere di Modigliani, Bacon e Giacometti. Compaiono infine opere di Andy Warhol, Paolini, Burri e Manzoni. Terminiamo questo excursus ricordando l’ultimo acquisto, “Jeune Fille aux Roses” (1897) di Renoir. Molti gli autoritratti o i ritratti di uomini soli – tra cui si possono citare “Ritratto di un giovane uomo” (ca. 1400) di Fra’ Galgario, “Ritratto di gentiluomo con libro e guanti” (c. 1540-1541) di Pontormo, “Autoritratto Metafisico” (1919) di de Chirico, “Studio per Ritratto IX” (1957) di Francis Bacon, “Ritratto di Harry Melvill” (ca. 1930) di Man Ray – che portano a immaginare quasi la ricerca di una proiezione di se stesso nell’arte.
Questo “inventario” ci fa capire l’importanza della collezione che raccoglie non solo opere pittoriche, ma anche arredi di assoluto pregio, e dimostra un interesse non solo per l’arte in senso stretto ma anche per il lavoro sapiente degli artigiani, primi raffinati interpreti di quello che oggi definiamo design. Fra tutti va citato un secrétaire in avorio di Piffetti, il più grande ebanista italiano del Settecento, e due divani disegnati dall’architetto Filippo Juvarra.
La collezione contempla inoltre un’ampia e pregiata raccolta di libri e incunaboli, rare edizioni e rilegature preziose. Di particolare interesse un libretto del Seicento con copertura smaltata e pietre incastonate, custodito nella camera da letto della villa, senza dimenticare il progetto editoriale più ambizioso del XVII secolo: l’Atlas Maior di Joan Blaeu in dodici volumi, perfettamente conservati; non solo libri, ma anche rilegature ed edizioni lussuose, come una copia di A la recherche du temps perdu, in un’elegante finitura Art Deco, che rimanda alla vita quotidiana di Cerruti, scandita dai ritmi della sua legatoria industriale.
La passione di Cerruti per l’arte, la sua innata e meticolosa capacità di selezionare e ricercare con pazienza capolavori, insieme alla sua vita austera e al silenzio intorno alla sua figura, hanno il merito di restituirci oggi una collezione che può guardare ad altri esempi significativi di mecenati e collezionisti del passato come Barnes, Frick, Estorick, solo per citare alcuni tra gli esempi più significativi.
Tutte le personalità che hanno dato vita a queste importanti e vaste collezioni, hanno raccolto il passato, grazie alla loro passione, per consegnarlo intatto al futuro. Sono riusciti a vivere e far vivere opere, preservandole da guerre, razzie e facili abusi. Noi ne raccogliamo un’importante eredità da rispettare e continuare a raccontare.
Francesco Federico Cerruti nacque a Genova il 1° gennaio del 1922 da Giuseppe (1890-1972) e da Ines Castagneto (1892-1977). Il padre, di modeste condizioni economiche e dipendente di una legatoria genovese, si trasferì con la famiglia a Torino l’anno successivo, in cui venne alla luce la sorella Andreina il 19 gennaio 1923. Giuseppe, inviato nella città subalpina dalla ditta genovese per aprire una succursale, ben presto si mise in proprio avviando una sua attività di legatoria. Gli anni dell’infanzia di Francesco Federico furono caratterizzati da un’educazione molto ferrea e severa e i due fratelli, già in età scolare, vennero subito coinvolti nell’attività del padre che li obbligava a legare i libri nella cucina di casa dopo il rientro da scuola. Questo ambiente familiare, così austero e rigido, influì molto sulla formazione e sul carattere di Francesco Federico, che per tutta la vita mantenne sempre uno stile di vita molto sobrio dai tratti molto intransigenti.
Diplomatosi in ragioneria nella sessione estiva del 1940 presso l’Istituto tecnico commerciale G. Sommelier, Francesco F. entrò subito a lavorare nella ditta familiare, seguito l’anno successivo dalla sorella. I bombardamenti del luglio del ’43 distrussero completamente lo stabilimento che allora era sito in corso San Maurizio, poco distante dal centro cittadino. Nel dopoguerra il “ragioniere”, così venne in seguito chiamato da tutti, dimostrò grandi capacità organizzative e un grande spirito di innovazione a tal punto che rilanciò l’azienda familiare, denominata Legatoria Industriale Torinese. Dopo una sua visita negli Stati Uniti nell’ottobre 1957, introdusse in Italia la tecnica americana della “perfect binding”, una procedura che permetteva la rilegatura senza cuciture. Creò le proprie macchine robotizzate per industrializzare la legatoria – fino ad allora pratica artigianale – brevettando anche tecniche specifiche. Grazie a questa sua ingegnosità, la LIT raggiunge i massimi livelli di produzione, con ingenti quantità di commesse inerenti alle rilegature delle guide telefoniche italiane, oltre a molte altre, fino a produrre 200.000 volumi al giorno. A questo suo innovativo spirito imprenditoriale affiancò un grande amore per la bellezza, fondato su un’innata raffinatezza e profonde intuizioni, che lo portò a creare una delle collezioni d’arte tra le più importanti d’Europa. Oltre alla passione per il bello e alle capacità visionarie del capitano d’industria, erano presenti in lui sentimenti di compassione e di carità, tradotti in attività di beneficenza, sempre nel suo stile rigoroso e appartato, lontano dai riflettori. Dopo una lunga malattia, morì a Torino il 15 luglio 2015.
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Inaugurato il 18 dicembre 1984, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea è ospitato all’interno di una Reggia Sabauda progettata dall’architetto Filippo Juvarra. Nel 1960 il Castello è inserito in un programma per il restauro dei monumenti più rappresentativi dell’area piemontese e nel 1967 si inizia il lavoro di recupero. Nel 1979, su incarico della Regione Piemonte, l’architetto Andrea Bruno inizia i lavori di restauro. Dal 1997 il Castello di Rivoli è iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Nel 2000 anche la Manica Lunga restaurata apre al pubblico assieme al Ristorante, alla Biblioteca e alla Sala Conferenze. Nel 2017 apre il CRRI, Dipartimento di Ricerca e di Archiviazione del Museo. Nel 2019, grazie a un accordo con la Fondazione Cerruti, apre l’adiacente Villa Cerruti. Il Castello di Rivoli organizza mostre, attività di ricerca, attività educative e raccoglie una prestigiosa collezione di opere dal secondo dopoguerra ad oggi e al suo interno è conservata una delle più importanti raccolte di Arte povera al mondo.
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