E LUCE FU. Giacomo Balla, Lucio Fontana, Olafur Eliasson, Renato Leotta
Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958)
Feu d’artifice (Fuoco d’artificio), 1917
Azione astratta di luce e colori su musica di Igor’ Stravinskij per i balletti russi di Sergej Djagilev, Teatro Costanzi Roma, 1917
Ricostruzione in scala di Elio Marchegiani, 1997, dai progetti autografi di Balla; esecuzione tecnica di Mariano Boggia e Luisa Mensi; circuito elettronico, luci e sonoro di Massimo Iovine; coordinatore, Maurizio Fagiolo dell’Arco
550 x 500 x 550 cm
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Feu d’artifice (Fuoco d’artificio) è uno spettacolo che vede protagonisti solidi geometrici colorati, animati da giochi di luce in accordo con l’omonimo brano di Igor’ Stravinskij. Balla spiega che gli elementi rappresentano “gli stati d’animo dei fuochi artificiali” che la musica gli aveva suggerito.
Questo teatro animato manifesta il desiderio di liberare l’arte nella vita, e dura soltanto tre minuti, in accordo con i principi di un teatro capace in pochi istanti di condensare molteplici situazioni, come proclamato dal teorico del movimento futurista, Filippo Tommaso Marinetti, nel manifesto Il Teatro Futurista Sintetico, 1915.
Lo spettacolo andò in scena per la prima volta il 30 aprile 1917 al Teatro Costanzi di Roma, diretto dallo stesso Stravinskij e con regia di Sergej Djagilev, il noto impresario dei Ballets Russes. Gli elementi che compongono la scena di Feu d’artifice sono stati ricostruiti al Castello di Rivoli in occasione della mostra Sipario del 1997.
Lucio Fontana (Rosario Di Santa Fe, Argentina, 1899 – Varese, 1968)
Ambiente spaziale (Spatial environment), 1967 (prima versione distrutta, ricostruzione 1981)
Struttura in legno, tela, colori fosforescenti e luce di Wood
300 x 500 x 300 cm
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Donazione Teresita Rasini Fontana
Con i suoi Ambienti spaziali, Lucio Fontana coinvolge il pubblico in una esperienza sensoriale e mentale dello spazio. Fontana allestisce il suo primo Ambiente spaziale a luce nera, detto “Ambiente nero”, presso la Galleria del Naviglio di Milano nel 1949. La galleria venne illuminata con lampade di Wood, la “luce nera” che fa risaltare i colori fosforescenti con cui erano ricoperte forme astratte pendenti dal soffitto dell’ambiente oscurato. Questo stesso principio è alla base di Ambiente spaziale, 1967 (1981): la luce di Wood rivela la doppia e sinuosa traiettoria lineare di circoli dipinti a colori fosforescenti. Secondo le intenzioni dichiarate dall’artista, lo spettatore si trova nell’ambiente a tu per tu con se stesso: tutti i sensi concorrono a fare della percezione un’esperienza totale, psicologica, fisica e aperta alla personale integrazione fantastica. L’Ambiente non è dunque un oggetto da osservare, ma una sensazione da vivere.
L’Ambiente spaziale qui allestito è stato inizialmente realizzato per la mostra Lo spazio dell’immagine organizzata a Foligno nel 1967. Dopo la morte di Fontana, l’ambiente è stato ricostruito nel 1981 da Gino Marotta per un’importante retrospettiva dedicata a Fontana avvenuta a Rimini l’anno successivo.
Olafur Eliasson (Copenaghen, 1967)
The sun has no money (Il sole non ha soldi), 2008
Filtro di vetro colorato, specchio, cavo di acciaio, motori elettrici, faretti, treppiedi, supporti a muro
Dimensioni variabili: 2 anelli in specchio, 94 cm diametro; 4 anelli con filtro colorato, 30 cm diametro
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
in comodato da Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT
Utopica e sottilmente rivoluzionaria, la pratica di Olafur Eliasson unisce la memoria dell’incontro con la natura alle diramazioni della scienza e del pensiero filosofico, sociologico e politico. L’artista intende i suoi lavori come “macchine” che diventano opere d’arte nel momento dell’incontro con i visitatori.
L’atto del percepire la luce è oggetto di continue ricerche da parte di Eliasson. The sun has no money (Il sole non ha soldi) è un’installazione formata da due fari teatrali e da anelli in vetro appesi dall’alto e azionati da motorini. Gli anelli ruotano su se stessi e la loro superficie produce ombre e riflessi che, a tratti, rivelano la natura spettrale della luce.
Le proiezioni si estendono ad accarezzare le pareti, il pavimento e le volte del soffitto, producendo geometrie che ricordano orbite o anelli che circondano i corpi celesti. The sun has no money è riconducibile alle ricerche condotte dall’artista nel 2008, periodo segnato da una crisi economica globale. Stimolato dalla lettura di teorie riguardanti lo sviluppo di infrastrutture finanziarie non più dipendenti dall’economia dell’oro, Eliasson si è interrogato sul possibile sviluppo di una nuova forma di valuta, individuandola nell’energia solare. Il senso di The sun has no money risiede nel progetto di “ristabilire una sorta di giustizia” in base alla quale i paesi che geograficamente godono di una maggiore quantità di sole, peraltro gli stessi gravati dalle conseguenze delle politiche coloniali, avrebbero maggiore accesso a questa nuova forma di ricchezza.
Renato Leotta (Torino, 1982)
Sole (Sun), 2019-2020
Impianto di illuminazione composto da fari di automobile usati
Dimensioni determinate dall’ambiente
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
Profondamente legato all’atto della contemplazione, Renato Leotta elabora un’estetica eterea ed esamina il mondo come un archeologo. Leotta attinge riferimenti anche dal paesaggio urbano industriale, espressione della negoziazione fra il nord in cui è nato e il sud a cui appartiene. Un confronto mai interamente risolto, lasciato sospeso nella costruzione di opere in cui l’atmosfera è quella di un’apparizione metafisica.
Sole, 2019-2020, è un’installazione ambientale che esplora il legame fra la tradizione industriale del Piemonte, il suo territorio sociale e il Barocco, momento storico e metafora di stili. Sole consiste in un impianto d’illuminazione composto da fari per automobile FIAT. L’installazione invita a riflettere sul cambiamento sociale prodottosi nel territorio piemontese a vocazione industriale che ha gradualmente spostato la sua attenzione verso la produzione della cultura dell’intrattenimento. Ciò che era il “sole” del Piemonte è diventato un oggetto obsoleto e beffardo. Rovina di un’archeologia industriale contemporanea, l’opera mette in scena la convivenza di luce e buio, rappresentazioni di una dimensione infinita dello spazio e del tempo.
Nel Complesso Monumentale di San Francesco, Sole crea un percorso immaginario fra gli elementi architettonici e gli ambienti, instaurando un dialogo con, fra gli altri, il delicato affresco della Madonna con il bambino del pittore Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo (Montabone, Asti, 1568 – Moncalvo, Asti, 1625), noto come il Raffaello del Monferrato.
Legenda Sole:
1. Madonna col bambino (inizio XVII secolo) di Guglielmo Caccia – Fiat Alfetta 1600
2. STOP! – Fiat 850
3. Città di Torino – Fiat Croma
4. Storie della Passione: l’impiccato (XV secolo) di Pietro da Saluzzo – Fiat Lancia Tema
5. Capitello trompe-l’oeil – Fiata 127
6. Sfondamento Barocco – Fiat Panda
7. Finestra trompe-l’oeil – Fiat Alfetta 1600
8. Rosone – Fiat 850
9. Colonna romanica – Fiat Lancia Tema
10. Saluto a Lucio Fontana – Fiat 500
11. San Girolamo nello studiolo – Fiat 131
12. Sant’Agostino Civitas Dei – Fiat 500
13. Lapide sepolcrale di Gasparre Malopera – Lancia Prisma
14. Saluto a Lucio Fontana – Fiat Ritmo Abarth
15. Scavi archeologici – Lancia Tema
16. Colonnato– Fiat 131
17. Resti di Colonna XV secolo – Fiat Tipo
18. San Francesco – Alfetta 1600
Testi tratti dal catalogo E luce fu. Giacomo Balla, Lucio Fontana, Olafur Eliasson, Renato Leotta, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, 2020