Jannis Kounnellis

A cura di Rudi Fuchs, Johannes Gachnang, Cristina Mundici

 

Testimoniando come il passato perdura e si trasforma nella dimensione concreta del presente ed esplorando la relazione fra conoscenza e percezione personali e fratture della storia collettiva, Jannis Kounellis (Atene, Grecia, 1936) indaga il complesso statuto dell’opera d’arte contemporanea in cui la possibilità di un’unità, di una struttura e di una condizione di centralità si riconciliano con la polisemia, la natura molteplice e frammentaria, la visione sfuggente e poetica che contraddistinguono lo sguardo e l’esperienza contemporanei. Rivendicando la libertà di espressione del proprio immaginario come analisi e reazione alle più ampie dinamiche storiche e culturali in cui l’individuo si colloca, Kounellis afferma la possibilità di creare opere d’arte che siano esperienze coinvolgenti, espressione di una tensione umanista a comprendere il mondo e noi stessi, in relazione ad esso.

Rispetto ai criteri della semplice verosimiglianza o della pura astrazione Kounellis privilegia l’intensità di un incontro immediato, diretto fra oggetto e spettatore, amplificando il potenziale “fantastico” di questo incontro rispetto al suo senso letterale. Scritte, segnali, oggetti quotidiani come sacchi, letti o indumenti, elementi naturali come caffè, carbone o cotone sono fisicamente presentati nello spazio espositivo, elementi ricorrenti che sono sia l’eco di un uso autobiografico sia il simbolo di una condizione, di una visione mobile fra culture differenti, immersa in un quotidiano carico di ricordi di altri tempi e luoghi. Analogamente la tela pittorica si trasforma in una superficie grezza e malleabile, prevalentemente metallica, in cui una treccia di capelli, un uovo o un pappagallo appollaiato su un trespolo, invece di alludere al soggetto rappresentato, portano in primo piano la loro stessa presenza reale, tangibile.

Lo scontro tra illuminazione metaforica del simbolo e intensità e imprevedibilità dell’esperienza reale investe anche l’ideologia o i riferimenti a una dimensione metafisica, trasformandoli in qualcosa di profondamente umano in cui la ricostruzione di complessi universi di senso avviene attraverso dettagli minimi e banali. Come nel caso di un’intera parete coperta di foglia d’oro che evoca i fondi oro della tradizione iconografica bizantina ma è oggettivata dalla presenza di un cappotto e un cappello neri appoggiati con noncuranza a un appendiabiti, come in un normale luogo di transito e di attesa. Gli stessi cannelli di bombole a gas disposti dietro una rosa metallica o su un pavimento a decine, mentre puntano le fiamme ossidriche verso lo spettatore, divengono epifania fisica di un significato altrimenti remoto ed espressione di una fragile ma strenua armonia, al cuore dei contrasti e dei conflitti, dell’uomo e della storia.

Andrea Viliani