Joseph Kosuth
16 maggio 2006 - 30 luglio 2006
Concetto, Corpo e Sogno
a cura di Carolyn Christov-Bakargiev
La rassegna Concetto, Corpo e Sogno presenta cinque mostre che si inaugurano in successione durante la primavera e l’estate 2006, personali dedicate ad artisti dell’arte concettuale. Ogni mostra è caratterizzata dalla presenza di opere storiche e di progetti recenti o inediti ed è accompagnata da un colloquio con ognuno degli artisti. Grazie al sostegno della Fondazione CRT Progetto Arte Moderna e Contemporanea, molte delle opere presentate sono entrate a far parte della collezione permanente del museo.
Joseph Kosuth (Toledo, Ohio, 1945) è tra i primi artisti dell’arte concettuale. Con opere basate sul
linguaggio e sulle strategie di appropriazione, il suo lavoro interroga la produzione e il ruolo
del linguaggio e del significato all’interno dell’arte.
L’arte concettuale si sviluppa a partire dalla metà degli anni Sessanta come tendenza artistica in cui l’arte è essenzialmente un’attività che crea significato. Contrariamente al Modernismo secondo il quale i limiti del mezzo utilizzato definiscono l’opera, come si produce l’opera non la determina. La parte progettuale e ideativa dell’opera d’arte è più importante della sua elaborazione concreta in oggetti fisici. Analizzando l’esperienza artistica e l’effetto che hanno il linguaggio, e la cultura in generale, sulla realtà, gli artisti concettuali come Kosuth si sono allontanati dalla pittura e scultura tradizionali. Da sempre interessato a Freud e alla psicanalisi, a Duchamp e alla nozione di Readymade, a Wittgenstein e alla filosofia del linguaggio, Kosuth ha indagato la natura linguistica delle proposizioni artistiche nei vari contesti sociali, istituzionali, psicologici ed etnologici, ampliando i confini tradizionali del ruolo dell’artista. Reagendo al culto della personalità dell’arte espressionista, con la sua accentuazione della fisicità dell’oggetto artistico e del gesto ‘sciamanico’ ritualizzato, e in generale ai significati predefiniti dai mezzi artistici tradizionali, Kosuth prende una definizione radicale: operare nell’ambito dell’arte ma al contempo spostare l’oggetto del lavoro artistico in una dimensione strettamente intellettuale attraverso la sottolineatura dell’aspetto linguistico dell’arte. Rifiuta il formalismo del tardo modernismo e utilizza diversi mezzi e materiali non adoperati fino allora dall’arte tra cui molte installazioni che comprendono elementi vari, dalla fotografia al mobile, dal testo scritto a parete o in tubi al neon fino ad altri mezzi dell’arte pubblica come inserzioni pubblicitarie o striscioni appesi per strada. Attraverso una smaterializzazione dell’opera tradizionale e una presentazione di segni di varia natura, l’opera diventa essa stessa un segno linguistico ed una riflessione che non illustra nulla, priva di riferimenti, rimandi, simboli o metafore alcune al di fuori di sé. L’opera diventa per Kosuth un’indagine sulla maniera in cui il suo significato si manifesta e questa pratica di indagine ha per l’artista implicazioni anche politiche: sapere come il significato si manifesta nell’arte riflette come la nostra cultura produce la coscienza.
Ha iniziato ad applicare la sua metodologia concettuale nelle sue prime proposte analitiche come ‘Vetro Quadrato Trasparente Appoggiato’ (1965), che consiste in ciò che descrive il titolo stesso (quattro vetri quadrati appoggiati al muro). L’aspetto tautologico di quest’opera (una cosa che presenta soltanto se stessa e non si riferisce a nulla al di fuori di se stessa) si ritroverà in maniera diversa in tutta la sua opera successiva. Nelle ‘Proto–Investigazioni’ degli anni 1965-66, quali per esempio ‘Una e Tre Sedie’, l’artista presenta, accostati, un oggetto, la sua immagine e la sua definizione tratta dal dizionario. Segue la ‘Prima Investigazione’(1966-68) – una serie di lavori individuali composti di un ingrandimento fotografico di definizioni tratte dal dizionario, sottotitolati ‘Arte come Idea come Idea’. Dopo le prime opere, Kosuth sviluppa il suo interesse linguistico verso l’osservazione e la produzione di opere che sono sperimentazioni e critiche della produzione di senso nell’arte e nel suo contesto. Realizza dalla fine degli anni Sessanta e dall’inizio degli anni Settanta grandi opere in-situ e contestuali, tra cui installazioni sia sotto forma di progetti architettonici per interni sia come grandi opere per spazi pubblici in città diverse dell’Europa, degli Stati Uniti e del Giappone. La sua opera si amplia fino ad includere la cura di grandi installazioni dove far convergere arte, architettura, design e pratica curatoriale.
‘Una e Tre Sedie’, del primo periodo di Kosuth, è collocata nella sala 19 al secondo piano del Castello assieme ad altri due lavori rispettivamente della fine degli anni Settanta e della fine degli anni Ottanta. Insieme, queste opere forniscono una visione dell’approccio all’arte di Kosuth. Presentano come loro significato la maniera in cui il significato (il ruolo del linguaggio nella concezione e percezione di una sedia; l’atto di diventare consapevoli del proprio processo di lettura; l’effetto che ha il contesto su ogni appropriazione/copia) si manifesta.
Sul tetto della Manica Lunga e al terzo piano del Castello, nel sottotetto, sono allestiti due pannelli luminosi, ciascuno recante una frase (in italiano e in inglese).
Si tratta dell’opera in due parti ‘Vedere Conoscere’ ideata e realizzata per il Castello di Rivoli. Questa nuova opera, che cita una frase di Giovanbattista Vico, manifesta come la conoscenza stessa si costituisca nel conoscente (che la fa sua e così facendo costituisce l’esistenza della cosa da conoscere): ‘Fa’ vero ciò che tu vuoi conoscere -; ed io, in conoscere il vero che mi avete proposto il farò, talché non mi resta in conto alcuno da dubitarne, perché io stesso l’ho fatto’. G.V.
Carolyn Christov-Bakargiev