Luciano Fabro
28 giugno 1989 - 17 settembre 1989
Luciano Fabro.
A cura di Rudi Fuchs, Johannes Gachnang, Cristina Mundici
28 giugno – 17 settembre 1989
Tra i fondatori del movimento dell’Arte Povera, Luciano Fabro (Torino, 1936) è autore di una ricerca contraddistinta da totale libertà che gli permette di esprimersi con i materiali e le forme più
diverse. Impegnato nell’attività accademica, Fabro è anche autore di numerosi testi, i quali documentano il suo impegno nel dibattito culturale. Intenzionato a rappresentare “l’ingombro
dell’oggetto nella vanità dell’ideologia”, adotta forme familiari di cui sottolinea la funzione simbolica collettiva.
Dal 1968 impiega la sagoma geografica dell’Italia, facendone un referente che può essere declinato in diversi materiali, inclusi piombo, cristallo, carta, ferro e persino pelliccia. Come afferma lo stesso artista, questa forma statica è per lui una sorta di album di schizzi, che gli permette di misurare la mobilità delle proprie mani. La sua riflessione include un’incessante ricerca sulle specificità linguistiche della scultura, esplorata attraverso materiali congrui come il marmo o innovativi come il vetro e la seta impiegata per i Piedi.
In occasione della mostra, nello spazio che separa l’edificio del Castello da quello della Manica Lunga, l’artista allestisce Paolo Uccello 1450-1989, 1989, lavoro il cui titolo evoca il nome del pittore
rinascimentale nella cui opera la prospettiva è regola assoluta ma talvolta contraddetta da trasgressioni visionarie. La data 1450 si riferisce infatti alla realizzazione da parte di Uccello
degli affreschi nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze, dove il tema biblico del Diluvio è svolto attraverso costruzioni prospettiche anomale e quasi irrazionali. L’opera disegna
un cubo virtuale, formato da due telai quadrati in metallo sospesi mediante cavi d’acciaio. Come una scatola prospettica, contiene elementi fissi, riconducibili al teorema spaziale della geometria
di Euclide, e elementi mobili, che alludono alla trasgressione delle stesse leggi prospettiche.
Marcella Beccaria