Lucio Fontana. La cultura dell’occhio

A cura di Rudi Fuchs, Johannes Gachnang, Cristina Mundici, Alessandra Canterini

Nel superamento delle logiche contrapposte, ma entrambe estranee allo spazio significante della tela della figurazione e dell’astrazione, i tagli con cui Lucio Fontana introduce squarci netti su superfici monocrome rappresentano la realizzazione di un rapporto puramente oggettivo fra l’artista e l’opera, definito dalla reciproca implicazione fra dimensione concettuale e sfera ell’esperienza sensibile, fra il dato corporeo del gesto e la dimensione cognitiva, lo scatto fantastico che esso istantaneamente evoca.
Questa capacità dell’opera di definire autonomamente lo spazio e il tempo in cui si colloca è alla base della poetica elaborata dall’artista a partire dagli ambienti della fine degli anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta, come il neon bianco presentato in mostra che disegna un arabesco di pura luce sul soffitto, e approfondita nei vari cicli pittorici degli anni Cinquanta. In essi, aderendo all’estetica informale, l’artista cosparge la superficie pittorica di elementi materici come pietre e vetri colorati che poi accosta a violenti e ripetuti buchi, quasi a far collidere fra loro interventi decorativi di peso specifico diverso, operando un cortocircuito fra decorazione e decostruzione dello spazio pittorico. Un’analoga esplorazione delle infinite potenzialità dello spazio illusionistico della tela è rappresentato da altre opere degli anni Sessanta in cui la cornice stessa del quadro, sagomata fino ad alludere a forme naturali, diviene enunciazione e contemporaneamente svelamento del quadro come spazio artificiale. Nel loro susseguirsi, all’interno del percorso della mostra tra disegno, pittura, scultura, installazione e perlustrazione spaziale, le opere di Fontana agiscono da filtri in grado di attivare la nostra consapevolezza che lo spazio e il tempo sono dati mentali esperibili, “concetti spaziali”. Alludendo a una possibile interazione con essi nella realtà concreta dell’opera, l’artista svela la complessità sostanziale che soggiace alle nostre esperienze più comuni e condivise.
Andrea Viliani