Nan Goldin. Devil’s playground

A cura di Catherine Lampert e Carolyn Christov-Bakargiev

L’arte di Nan Goldin evoca quello che la memoria personale non riesce a conservare – lo sguardo
di una persona, la tessitura della sua pelle, o la sensazione della sua carne. Allo stesso tempo,
la sua arte visualizza quello che caratterizza e distingue la memoria personale da quella collettiva – quel nostro modo di ‘archiviare’ la vita in maniera idiosincratica come un insieme fluido e cangiante di tracce e particolari, e senza oggettivi rapporti di scala fra i vari ricordi.

Goldin vuole ricordare ogni dettaglio della sua vita personale, la gente che incontra, le esperienze condivise, le emozioni che la attraversano, le relazioni che durano nel tempo.

Per analogia, e un po’ per emulazione, chi guarda le sue opere affina la propria sensibilità e vede intensamente, empaticamente, di più.

L’affresco che Goldin compone nel corso di una vita scandita da incontri in luoghi diversi, da New York a Tokyo, da Parigi a Napoli, assomiglia molto a una comédie humaine, un grande ritratto collettivo fatto di tanti personaggi, ognuno colto nella sua individualità. È un inno all’umanità nelle sue gioie e nei suoi dolori, nei suoi desideri e nelle sue disperazioni. Le sue immagini sono soprattutto ritratti di amici, da soli o più spesso in coppia. Vi sono anche alcuni autoritratti di particolare intensità nonché dei ritratti di bambini. Le stesse persone sono fotografate in diversi momenti della loro vita, a segnare relazioni che continuano nel tempo e che costituiscono quella ‘famiglia’ molto stretta di amici di cui Goldin ama circondarsi. I titoli delle opere riprendono i nomi di questi amici, rendendoceli familiari: Suzanne Crying, New York (Suzanne che piange, New York), 1985; Cookie and Vittorio’s Wedding, New York (Il matrimonio di Cookie e Vittorio, New York), 1986, Joey at the Love Ball, New York (Joey al Love Ball, New York), 1991, ecc. La successione delle immagini diventa il nostro album di ricordi. Li vediamo dormire, ballare, fare la doccia, fare l’amore, stare insieme alle feste, aspettare, piangere, allattare, sulla spiaggia, in piscina, nei bar, nelle stanze d’albergo. A volte, li vediamo drogarsi o con lo sguardo già velato ed euforico. Il punto di vista di Goldin è carico di compassione, coglie la malinconia sui volti, non emette giudizi e restituisce un’identità individuale a chi è generalmente senza volto e rimosso dalla società, come nel caso dei suoi amici gay e travestiti, quelli che vivono con l’AIDS, e il mondo outsider in generale. Negli ultimi anni, Goldin ha ritratto anche paesaggi magici come il mare intensamente blu in una grotta a Capri, il vulcano di Stromboli, vaporoso all’alba, degli ex-voto a Somma Vesuviana, o il bitume fumante delle Solfatare a Pozzuoli.
In questi paesaggi o nature morte, personali e romantici, gli amici sono presenze fugaci, solo ombre, oppure le immagini diventano ritratti di luoghi imbevuti di memoria, e a volte di un senso di crisi.

Storicamente, la fotografia è stata una tecnica sviluppata per riprodurre con fedeltà la realtà. Nell’epoca postmoderna della società dello spettacolo, invece, è diventata sempre più spesso una tecnica per inventare una realtà parallela, una finzione, o un simulacro. Goldin non è un’artista postmoderna. E’ invece una fotografa moderna, qualcuno che crede ancora nella capacità dell’immagine fotografica di rappresentare le verità, di indicare e fare un memoriale delle esperienze autentiche. L’arte di Goldin è anche una delle manifestazioni più chiare della vitalità della tradizione realista oggi, quella tradizione in letteratura e in pittura di rappresentare con dignità la vita quotidiana e i più umili.

Nata a Washington D.C. nel 1953, l’artista trascorre la sua prima infanzia in un tipico quartiere residenziale della grande periferia americana. Quando Nan ha undici anni, sua sorella maggiore, Barbara Holly Goldin, si toglie la vita. L’evento drammatico diventa un elemento fondante della sua vita successiva. A quattordici anni lascia la sua casa natale e va ad abitare prima presso famiglie adottive e poi nelle “comuni”. Attorno ai quindici anni, Goldin inizia a scattare fotografie nell’intento di creare un diario visivo della sua esistenza quotidiana. La fotografia diventa anche un meccanismo per elaborare la perdita, e per conservare questa perdita ad infinitum. Ogni scatto è il momento massimo di un incontro, quell’attimo che inevitabilmente precede la separazione, l’obiettivo che si chiude, il buio. Amore e vita sono intimamente connessi in quest’arte ostinatamente energica ed erotica.

Ancora teen-ager, dunque, comincia a scattare fotografie ‘istantanee’, migliaia di immagini, come facevano negli anni Settanta e Ottanta – prima del computer – la maggior parte dei ragazzi. Allo stesso tempo, scrive e riempie ossessivamente dei diari, quaderno dopo quaderno.

Dopo aver frequentato l’Accademia a Boston, nel 1978 Goldin si trasferisce a New York, attratta dal mito della vita sregolata dell’artista nella metropoli. S’immerge nel clima intenso dell’East Village negli ultimi anni Settanta e primi anni Ottanta, tra feste, musica, cinema, droga, ed esperienze sessuali sia eterosessuali sia omosessuali. Nel bar di Times Square dove lavora
per guadagnarsi da vivere, oppure nei cinema e nei club underground, proietta sequenze di diapositive. È così che nasce The Ballad of Sexual Dependency (La ballata della dipendenza sessuale), 1981-1996, tra i suoi capolavori. L’opera multimediale è fatta da più di settecento diapositive proiettate ed accompagnate da brani musicali che fungono da voce narrante. Nel 1986 l’opera è pubblicata come libro di fotografie. L’incontro con l’installazione è un’emozione continua: il sottofondo musicale è un collage di musica eclettica amata dall’artista; le immagini proiettate scorrono sul muro in maniera incessante, dalla foto di una festa di compleanno nel 1981, con Goldin seduta in braccio al ‘suo’ ragazzo, a quella di altre coppie che si abbracciano, alle amiche che piangono mentre si confidano a Nan, a donne nella vasca da bagno, a gente che beve: “Alla fine, afferma l’artista, l’opera parla di quanto sia difficile unirsi sessualmente e di quanto sia intenso il bisogno di farlo”. Guardare tutte queste vite, tutti questi desideri e solitudini induce nello spettatore un senso di overdose emozionale, qualcosa di simile a guardare nei dettagli di ogni figura una rappresentazione dell’inferno in un giudizio universale del Medioevo.

Nel 1996 il Whitney Museum of American Art di New York dedica a Goldin una grande mostra retrospettiva intitolata I’ll Be Your Mirror (Sarò il tuo specchio). La mostra riuniva immagini potenti che esprimevano la gamma delle gioie e dei dolori rappresentati fino ad allora da Goldin.

Questa nuova mostra itinerante, “Devil’s Playground” (Il giardino del diavolo), è stata inaugurata al Centre Georges Pompidou di Parigi nel 2001. Prima di approdare a Rivoli, è stata successivamente presentata alla Whitechapel Art Gallery di Londra, al Centro de Arte Reina Sofia di Madrid e al Museu Serralves di Porto. La mostra include due delle sue note proiezioni di diapositive, The Ballad of Sexual Dependency (La ballata della dipendenza sessuale), 1981 – 1996, e Heartbeat (Battito di cuore), 2001, quest’ultima realizzata appositamente per la mostra su musica di Björk. Inoltre, saranno esposte più di trecento fotografie realizzate a partire dagli anni Settanta, con una particolare attenzione alle opere recenti. Più della metà sono state realizzate dopo il 2000, quando l’artista si è trasferita a Parigi. Sono raggruppate sinfonicamente in grandi famiglie di immagini allestite nello stile di una quadreria oppure in installazioni della dimensione di una intera sala, da “The Other Side” (L’altra parte), “Recovery” (Guarire), “AIDS”, “Mon am'” e “First Love” (Primo amore), fino a “Elements” (Elementi) e “Still on Earth” (Ancora su questa terra). In “First Love” vediamo diversi momenti di desiderio e tenerezza nella vita del giovane nipote e della sua prima amante – Simon and Jessica on the Metro, Paris (Simon e Jessica nel metro, Parigi), 2001; Simon and Jessica Kissing in my Shower (Simon e Jessica si baciano nella mia doccia), 2001; etc. – mentre “Mon am'” ritrae un’altra coppia di amici più maturi con occasionali accenni al figlio della donna – Valerie and Bruno Sex, Hand on Wall, Paris (Valerie e Bruno, sesso, mano sulla parete, Parigi), 2001; Valerie, Bruno and Mel Laughing in Bed, Paris (Valerie, Bruno e Mel ridono sul letto, Parigi), 2001; etc.

A partire dalla metà degli anni Novanta, le immagini di Goldin sono diventate più tenere e permeate di luce – parlano più del relazionarsi che non dell’alienazione. Il tema della sopravvivenza – quella dell’artista ma anche degli altri – è presente in tutta l’opera, ma emerge particolarmente nelle immagini recenti, dopo la perdita nel corso degli anni di tanti amici per l’AIDS o la droga. Il mistero della perdita, la profondità dei sentimenti suscitati e l’anelito spirituale che esso induce sono anche espressi in potenti fotografie di reliquie, ex-voto ed altre immagini religiose – Skulls and Tears, Chapel of Salpétrière, Paris (Teschi e lacrime, Cappella della Salpétrière, Parigi), 1999; Masectomy ex-voto, Madonna dell’Arco, Somma Vesuviana (Ex-voto masectomia, Madonna dell’Arco, Somma Vesuviana), 1996. Le persone vengono ritratte, sia in interni che all’aperto, con empatia, come se si fondessero, sfumando, nel paesaggio circostante e, allo stesso tempo, come se il paesaggio diventasse sempre più personale e intimo, quasi una forma di ritratto. Nelle immagini intense e fantasmatiche di questo “giardino del diavolo”, il cielo e il mare non sono totalmente separati, e l’aria diventa densa. Come quando si è immersi nell’acqua, il corpo diventa continuo con il luogo, il Se si espande nel tempo e nello spazio. Goldin rivolge il suo obbiettivo verso i più piccoli – Ulrike, Stockholm (Ulrike, Stoccolma), 1998 – come sui più anziani che si avvicinano alla morte – Guido with his Mother, Grandmother and Shadow, Torino (Guido con sua madre, nonna e ombra, Torino), 1999 – o ritrae i momenti misteriosi e estatici del fare l’amore, quei momenti in cui la fusione sessuale significa perdere i confini che costruiamo abitualmente nella vita pubblica. In questo universo fluido e indistinto di mare luminescente e di fievole luce, Goldin ritrae i mutamenti sottili e costanti di tono e di stato d’animo, quei cambiamenti infiniti e quella ricerca interiore che qualificano l’umanità al suo meglio.

Carolyn Christov-Bakargiev
Agosto 2002