Candice Breitz
Definendola una perversa “lingua franca”, o meglio “il minimo comun denominatore possibile”, Candice Breitz usa la cultura di massa quale strumento per il proprio lavoro. Secondo l’artista, immagini commerciali, serial televisivi, film, musica leggera e videoclip rappresentano sia una forza oppressiva, capace di appiattire la diversità delle culture locali, sia un fertile terreno, in quanto patrimonio condiviso e consumato a livello globale. Ridefinendo il gesto artistico come un processo di selezione e di traduzione, Breitz si appropria di tale cultura popolare e, da spettatrice passiva, si trasforma in voce critica attiva.
Dopo i primi lavori realizzati come collage fotografici, nelle successive video installazioni, Breitz usa frammenti di videoclip, serial televisivi e film hollywoodiani per costruire con i volti e le voci di rockstar e attori inedite performance o brevi film. Breitz ricompone i fotogrammi “rubati” talvolta elaborandoli secondo articolati interventi digitali, sovvertendone l’originale significato ed esponendo i meccanismi ideologici, commerciali ed economici che regolano l’industria del divertimento. Talvolta chiede invece la collaborazione di persone comuni, attori improvvisati che raccontano se stessi attraverso le parole, le movenze o le canzoni dei loro idoli.
Il linguaggio parlato, nella forma di materia pericolosamente invasiva, è una componente fondamentale delle sue opere. In Yes / No (Babel Series, Dyptich) (Sì / No — Serie di Babele, dittico), 1999, due monitor su basi trasmettono l’uno immagini di Grace Jones e l’altro di Prince. Attingendo a un frammento di video musicale per ciascun cantante, Breitz ne riduce la performance a un’unica ripetizione monosillabica, equivalente del linguaggio di livello infantile che la semplificazione mediatica propone al pubblico.
Soliloquy Trilogy (Trilogia del soliloquio), 2000, consiste nella proiezione di tre brevi film tratti dalle pellicole hollywoodiane Dirty Harry (Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!), The Witches of Eastwick (Le streghe di Eastwick) e Basic Instinct. Da ciascuna, Breitz ha isolato i momenti durante i quali l’attore, o l’attrice protagonista, emette parole o si esprime verbalmente, secondo un processo di editing di impronta concettuale. Riducendo l’originale durata di ciascuno a sequenze di pochi minuti, Breitz espone la povertà dell’originale intreccio narrativo, eliminando anche ogni traccia di credibilità. Tuttavia, la presenza di ciascuno dei protagonisti, elevato a icona dominante, risulta ossessiva e estremamente fisica. Come nel caso di altre opere dell’artista, il risultato espone intenzionalmente l’ambivalente disposizione di Breitz nei confronti della cultura di massa contemporanea.
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