Jan Dibbets

L’analisi dello spazio, della luce e delle proprietà della percezione sono alla base dell’arte di Jan Dibbets. Già nelle opere prodotte in ambito concettuale, alla fine degli anni sessanta, impiega la fotografia, ma la definizione di fotografo non gli corrisponde affatto. Per Dibbets, la fotografia è infatti un puro strumento e molte sue opere sembrano contraddire le leggi della piramide visiva che regolano i principi della tecnica fotografica. Smentendone la pretesa di obiettività, a un possibile uso della fotografia quale documentazione o informazione, l’artista ne sostituisce un altro che sviluppa invece il suo potenziale impiego quale agente di trasformazione. Lavorando in serie sistematiche e, dedicando a una stessa famiglia di lavori anche dieci anni, l’artista studia la possibilità di alterare l’illusione tridimensionale, frammentare i tempi di esposizione o ancora moltiplicare il punto di vista. Libera da ogni categorizzazione, la ricerca di Dibbets riesce a trasformare immagini del reale in proposizioni astratte, riuscendo però sempre a mantenere una contatto visivo con la realtà. Secondo le dichiarazioni dell’artista, la sua arte è strettamente connessa alla storia della pittura, con particolare attenzione alla tradizione olandese, a partire dai paesaggisti del Seicento.
Parametro della pittura olandese, in quanto elemento dominante del paesaggio locale, l’orizzonte è uno degli elementi che segnano in maniera determinante la sua ricerca. In molte opere, l’artista ne indaga il valore di motivo relativo alla visione, percepibile e definibile solo se rapportato a un preciso punto di vista. Nella serie Comets (Comete), cui appartiene Comet Land/Sky/Land 6°-72° (Cometa terra/cielo/terra 6°-72°), 1973, Dibbets delinea l’orizzonte secondo una prospettiva capace di comprendere prossimità e distanza, con un dinamismo non percepibile dall’occhio umano. Realizzata montando la macchina fotografica su un treppiede e ruotandola progressivamente di alcuni gradi a ogni scatto, l’opera risulta composta da dodici fotografie incentrate sull’incontro tra il cielo e il mare, disposte in modo che le proporzioni e il taglio della prima determinino matematicamente la sequenza successiva.
L’orizzonte è protagonista anche della più recente serie di opere New Horizons (Nuovi orizzonti), alla quale appartiene l’opera del 2007 Land-Sea (Terra-mare) in collezione. In questo caso l’immagine permette all’osservatore di percepire giustapposte due vedute di uno stesso paesaggio, relative a quanto nella realtà si troverebbe di fronte e alle proprie spalle.
A partire dagli anni Ottanta, l’architettura e dettagli come pavimenti, soffitti, volte o finestre occupano con continuità la ricerca dell’artista. Ciascuno degli interni scelti viene indagato in più opere, come nel caso del pavimento del duomo di Spoleto. In Spoleto Floor (Pavimento di Spoleto), 1981, Dibbets dispone a semicerchio una serie di fotografie relative a dettagli della pavimentazione, sviluppando un’equivalenza tra la sequenza e il principio in base al quale essa è ottenuta. Le immagini, di formato quadrato, sono sovrapposte le une sulle altre, in modo che di ciascuna fotografia siano visibili porzioni altrimenti celate nelle altre. Montate su una tavola dipinta e contenute entro una traccia disegnata, le immagini contraddicono la fisicità del pavimento. Invece di essere piatto e concreto, esso diventa uno spazio astratto, un cerchio sospeso in atto di compiersi o di svilupparsi all’infinito nel vortice di una spirale.
Elementi destinati a convogliare la luce, oppure oculi la cui forma o funzione è analoga a quella dell’occhio, le finestre sono un ulteriore motivo che occupa l’artista per lungo tempo. Barcelona Window (Finestra di Barcellona), 1989-1990, appartiene a un gruppo di opere ispirate alle finestre di una scuderia realizzata da Antoni Gaudì per Eusebi Güell a Barcellona. Vista dal basso, la sagoma della finestra è ripresa accentuandone l’analogia con le ali di una farfalla.
La fotografia inclusa in Tollebeek Spring II (Primavera a Tollebeek II), 2000, è stata invece scattata in un piccolo villaggio olandese. Schermo posto tra l’esterno e l’interno, la finestra lascia parzialmente intravedere la rigogliosa natura esterna, evocando la tensione verso un altrove, un luogo ideale raggiungibile attraverso la visione dell’intelletto. L’anamorfosi sviluppata attraverso la fotografia rende ellittica l’apertura originariamente rotonda e, come nel caso delle altre opere delle serie delle finestre, l’astrazione è accentuata dalla giustapposizione della fotografia alla superficie pittorica.

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