Nalini Malani

Nalini Malani vive e lavora a Mumbai, città che l’artista preferisce continuare a chiamare Bombay. Malani esplora attraverso il disegno, la pittura, l’installazione e numerose altre forme sperimentali d’arte la ciclicità della violenza nella storia, in particolare quella sulle donne, nel contesto dell’inarrestabile globalizzazione. Profondamente politica, l’arte di Malani prende ispirazione da archetipi presenti nella cultura orientale, nei miti greci, in un dialogo di ampio respiro che include il teatro e la letteratura contemporanea. Coinvolgendo gli osservatori in ambienti immersivi e multisensoriali, l’artista riflette sulle conseguenze devastanti delle guerre, dei fanatismi religiosi e dello sfruttamento dell’ambiente naturale.

The Tables Have Turned è formato da 32 cilindri dipinti al rovescio collocati su meccanismi simili a giradischi che ruotano a quattro giri al minuto. L’opera è stata inizialmente ideata in occasione della Biennale di Sydney Revolutions – Forms That Turnnel 2008 e allestita in un rifugio antiaereo di forma circolare a Cockatoo Island e riallestita in occasione della mostra personale dell’artista presso il Castello di Rivoli (autunno 2018).

Illuminati da faretti alogeni, i cilindri proiettano sulle pareti una serie di ombre in movimento che si mescolano e si sovrappongono, in un gioco di ombre che parla di morte e devastazione: un angelo bizantino, teschi, cani in fuga à laMuybridge, la violenza di Caino contro Abele come citazione di una delle più celebri xilografie di Dürer. Tra le immagini si vedono anche le consorti degli dei riprodotte come antiche pitture Kalighat, in riferimento a quello stile pittorico di origine bengalese che fiorì nell’Ottocento, quando il mecenatismo reale venne a mancare e i pittori di corte si ritrovarono senza occupazione. Per Malani, questo momento in cui i pittori iniziarono ad affrontare storie sociali e politiche segna l’inizio dell’arte indiana moderna.

The Tables Have Turnedè parte di una serie di lavori sviluppati da Malani traendo ispirazione dal mito omerico di Cassandra e dalla lettura contemporanea che ne fa Christa Wolf nel suo romanzo Cassandra (1983). L’opera può essere interpretata come metafora di altre catastrofi. Il sonoro dell’opera, pronunciato con voce suadente dall’attrice Alaknanda Samarth, sottolinea il fatto che, per descrivere ciò che accade nel mondo, non sia rimasto nient’altro che la lingua del passato.