Thomas Struth

Le opere fotografiche di Thomas Struth indagano il mondo contemporaneo, attraverso temi e contenuti che prevedono sempre una visione antropocentrica della realtà, anche quando l’uomo non è esplicitamente parte del soggetto trattato.
Sin dalle prime fotografie in bianco e nero, che rappresentano vedute di strade cittadine riprese in una prospettiva centrale, appare chiaro che quella umana è una presenza nascosta: evocata dalla tracce lasciate nel paesaggio architettonico, richiamata dal senso di appartenenza dell’osservatore alla scena raffigurata. Infatti, mentre l’impostazione di tipo seriale e concettuale ricorda molto le immagini di edifici industriali di Bernd e Hilla Becher – i cui corsi Struth aveva seguito alla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf nel 1973 – l’inquadratura stabilisce un nuovo e coincidente rapporto con il punto di vista dell’osservatore. Di fatto Struth modifica l’attitudine passiva di “chi guarda”, ponendo l’osservatore al centro della scena, attraverso l’illusione della sua presenza all’interno di essa.
Nella serie di fotografie che hanno come oggetto di indagine importanti e conosciuti musei europei e americani – e di cui le due opere in collezione fanno parte – il ruolo partecipe dell’osservatore assume ancora maggiore evidenza, caricandosi di ulteriori significati. Le fotografie ritraggono gruppi di visitatori immortalati nell’atto di contemplare importanti capolavori dell’arte del passato. Le immagini, stabilendo in questo modo un rapporto diretto e immediato tra i diversi ambiti di osservazione (fuori e dentro il quadro), inducono il visitatore, tramite la sua immedesimazione con i protagonisti della fotografia, a “osservarsi mentre osserva” in una sorta di percorso introspettivo all’interno del proprio Io. Ad un altro, ma contestuale livello interpretativo, anche l’artista guarda se stesso, grazie al confronto con l’autore dei capolavori da lui a sua volta ritratti e grazie alla relazione e all’equiparazione tra due differenti mezzi espressivi: la fotografia appunto e la più aulica pittura.
Diversamente dalle Museum Photographs (Fotografie dei musei) – nelle quali la camera, posta alle spalle dei visitatori, inquadra anche i capolavori fondendosi con lo sguardo dello spettatore – le fotografie in collezione, che rappresentano la Galleria dell’Accademia a Firenze, appartengono alla serie Audience (Spettatori), in cui gli spettatori sono presentati frontalmente. Inconsapevolamente catturati nel compiere le proprie azioni, essi formano una moltitudine eterogenea e variopinta che rispecchia perfettamente la nostra società. Il decoro a cerchi rossi presente sul pavimento della sala espositiva, conferisce un senso di circolarità a tutta l’immagine, favorendo così l’illusione della piena identificazione tra gli spettatori ritratti e l’osservatore, trascinato da questo ingannevole abbraccio all’interno della rappresentazione. Un inesauribile gioco di riflessi e rimandi che costruisce, tramite il tempo antico delle opere d’arte rappresentate e il tempo appena trascorso dei visitatori immortalati, una storia del tempo presente che si compie nel momento esatto in cui noi – da osservatori privilegiati – diveniamo parte integrante della narrazione.

[COB]