Autoritratto con ombra (Autoritratto metafisico)

1919

Anno di accessione ante 1983

Olio su tela, 60 x 50,5 cm

Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte

Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Inv. CC.20.P.DEC.1919.A91

Provenienza: Galleria internazionale, Milano.

Esposizioni: Ferrara 1995 (p. 87, n. 39, come Autoritratto con la propria ombra, 1920); Düsseldorf 2001 (n. 82, come Autoritratto con l’ombra, Cerruti); Torino 2003-2004 (pp. 86-87, n. 18, come Autoritratto con la propria ombra); Rivoli 2021-2022.

Bibliografia: Bruni 1971-1987, v. II, n. 123, ill.; Fagiolo dell ’Arco 1980a, pp. 54-55, n. 73; Fagiolo dell ’Arco 1982b, p. 38, ill.; Fagiolo dell ’Arco 1984, p. 105, ill., n. 149; De Chirico 1985, ripr. in copertina; E. Gigli, De Chirico e lo spettacolo, in Rivoli 1997, p. 70, ill.; Stoichita 2008, p. 208; Mocchi 2019, p. 7; La Collezione Cerruti 2019, p. 34, ill.

«Eccoci all’aspetto metafisico delle cose. Deducendo si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro lo spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possano apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi X, per esempio».

(Giorgio de Chirico, 1919)

Nel corso della sua lunga vita Giorgio de Chirico dipinse più di cento autoritratti che, insieme ai suoi scritti, manifestano l’essenza di un’opera fortemente programmatica e automitografica. Il primo autoritratto dell’artista, Et quid amabo nisi quod ænigma est? era una dichiarazione d’intenti da parte di un giovane pittore influenzato da Nietzsche e che aveva già chiara l’originalità della propria estetica, fondata sullo svisceramento delle apparenze attraverso una rilettura personale della storia, intesa come non lineare. Esposto al Salon d’Automne del 1912 poco dopo il trasferimento di de Chirico a Parigi, quel primo autoritratto fu per lui un biglietto da visita notevole sulla scena dell’Avanguardia. In margine a un Modernismo che proprio in quegli anni esaltava le specificità dei vari mezzi di espressione, de Chirico, in linea con le proprie radici classiciste e simboliste, si presentava come artista-filosofo-letterato.

Dieci anni più tardi Autoritratto con ombra segna la reincarnazione dell’estetica dechirichiana alla luce dell’esperienza della Metafisica e dello stanziamento in Italia. Eseguito dopo il trasferimento dell’artista da Ferrara a Roma nel novembre 1918, il quadro fu dipinto sulla scia di due importanti, seppur deludenti, mostre romane: la sua prima collettiva italiana alla Galleria dell’Epoca del 1918 (che lo vide affiancato, tra gli altri, a Carlo Carrà e Ardengo Soffici)1, e la più recente prima personale assoluta alla Casa d’Arte Bragaglia2. L’insuccesso di entrambe le mostre indusse de Chirico a difendere la propria pittura non solo dai critici, ma anche dalle appropriazioni dei suoi colleghi, primo tra tutti Carrà. A questo momento di profonda introspezione si deve il suo ritorno all’autoritratto e alla scrittura teorica, già intrapresa nel momento dell’arrivo a Parigi nel 1911 e chiaramente legata al bisogno di farsi capire.

Sulle pagine di vari periodici italiani de Chirico e il fratello Savinio spiegano la Metafisica come un’arte nuova, al contempo strettamente legata alle ricerche pittoriche di Giorgio ma anche capace di dare voce a una generazione e a un popolo3. Nel gennaio 1919, sulla rivista «Ars Nova», de Chirico pubblica il saggio Arte metafisica e scienze occulte, in cui parla del «nostro doppio, un nostro Khâ, per parlare in indiano, formato da fluidi e da sostanze incorporee»4. Nel saggio Sull’arte metafisica, apparso nell’aprile del 1919 sulla rivista romana d’avanguardia «Valori plastici», l’artista descrive una scena tutt’affatto banale in cui il legame «logico» tra gli elementi che la costituiscono (dovuto alla «collana dei ricordi che si allacciano l’un l’altro») improvvisamente si spezza, producendo sorpresa nello spettatore. Scrive de Chirico:

«La scena però non sarebbe cambiata, sono io che la vedrei sotto un altro angolo. Eccoci all’aspetto metafisico delle cose. Deducendo si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro lo spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possano apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi X, per esempio»5.

Con tutta probabilità l’autoritratto Cerruti fu dipinto in parallelo alla stesura di questi saggi, di cui parrebbe un’illustrazione e un modo per ricondurli alla figura stessa dell’artista. Fa parte di una serie di autoritratti «doppi» di fine anni dieci e inizio anni venti, in cui de Chirico si rappresenta insieme a busti di statue, con la madre o il fratello, come suoi alter ego «metafisici». Come ha notato Maurizio Fagiolo dell’Arco, l’opera Cerruti rimanda inoltre ai celebri autoritratti di Nicolas Poussin, eseguito a Roma, e di Arnold Böcklin, grande ispirazione del primo de Chirico6. Nel quadro Cerruti a un de Chirico in carne e ossa, che con il suo libro (simbolo della propria conoscenza) rimanda all’opera di Poussin, fa eco lo «spettro» disegnato dell’artista, traslazione e riproposizione dello scheletro di Böcklin. Proprio come scritto da de Chirico nel suo saggio, i due volti del pittore sono due aspetti di una stessa realtà, che da un lato appare reale, nonostante si appoggi, letteralmente, sulla letteratura, e dall’altra è «occultata», ma sa guardare al mondo con «chiaroveggenza». È probabile che questo importante dipinto, apparso con certezza in mostra per la prima volta nel 1995, rimase nella collezione personale di de Chirico fino alla sua morte nel 1978.

[Silvia Loreti]

1 Roma 1918.

2 Giorgio de Chirico, mostra senza catalogo (Roma, Casa d’Arte Bragaglia, 2-22 febbraio 1919).

3 G. de Chirico, Noi metafisici (15 febbraio 1919), in De Chirico 1985, pp. 66-71. Si veda scheda a p. 738.

4 G. de Chirico, Arte Metafisica e scienze occulte, seguito da un epòdo (Ars Nova, gennaio 1919), in de Chirico 1985, p. 63.

5 De Chirico 1919, p. 17.

6 N. Poussin, Autoritratto, Roma 1650, olio su tela, 248,9 x 188 cm, Parigi, Musée du Louvre; A. Böcklin, Autoritratto con la morte come violinista, 1872, olio su tela, 75 x 61 cm, Berlino, Alte Nationalgalerie.