Mike Winkelmann alias Beeple in conversazione con Carolyn Christov-Bakargiev – Stagione I, Episodio I
Trascrizione
Carolyn Christov-Bakargiev So che sei una persona molto impegnata ora, quindi non dovrei prenderti così tanto tempo, ma ho ventitré domande.
Mike Winkelmann Ok. Fantastico. Anche io avrei qualche domanda da porti. Probabilmente più di ventitré. Facciamo una seconda sessione dove te le pongo.
C.C.B. Sì. Oppure puoi pormi una domanda dopo la mia. Ho molte domande perché è quasi come se fossi atterrato su un’astronave da un altro pianeta. È molto interessante.
M.W. In realtà una delle cose più interessanti è che nessuno nel mondo dell’arte mi conosce, ma milioni di persone nel mondo dell’arte digitale sanno chi sono. Il fatto che milioni di persone mi conoscano mi rende forse uno degli artisti contemporanei più seguiti e conosciuti. Esistono molti artisti di cui si sente parlare nel tuo mondo e che sono famosissimi. Ma non hanno un tale seguito e tutti questi like.
C.C.B. Beh, questo riguarda la domanda numero 18 che avrei voluto porti.
M.W. (ndr. ride) OK, mi dispiace. Ti lascio parlare.
C.C.B. In realtà volevo chiederti delle modalità attraverso le quali attribuiamo valore ai numeri.
M.W. Certo.
C.C.B. È una domanda rilevante da un punto di vista filosofico. Non è detto che se dieci milioni di persone sanno qualcosa, stiamo parlando di una conoscenza più profonda. Voglio dire, la fisica quantistica è conosciuta da pochissime persone. Quanti di noi conoscono il fisico Anton Zeilinger? Eppure, senza di lui non esisterebbe il calcolo quantistico, perché è lui che ha fatto quella buffa connessione tra le due cose. Ma queste sono considerazioni successive.
M.W. Ok, mi zittisco.
C.C.B. Vorrei conoscerti un po’, se me lo permetti, perché in realtà mi ha stupita non sapere chi tu fossi. Ma devo confessarti che uno dei miei consulenti di comunicazione digitale a Torino mi ha fatto alcuni nomi circa un anno fa e uno degli artisti che ha menzionato sei tu.
M.W. In quale occasione?
C.C.B. In occasione di un incontro con il Politecnico. Stavamo per richiedere dei fondi per poter offrire a dei giovani artisti di lavorare sull’Intelligenza Artificiale. Non abbiamo questi mezzi al Museo, ovviamente.
M.W. Certo.
C.C.B. Volevo fornire alcuni strumenti agli artisti. Stavamo studiando e gli ho detto “devi darmi alcune informazioni, cosa sta accadendo nel mondo digitale?” Sono certa mi abbia fatto il tuo nome. Ricordo di esserne rimasta sorpresa perché Winkelmann è il cognome del filosofo che ha definito cosa significhi “arte”.
M.W. Sì. L’ho letto sul New Yorker. Non ne avevo idea.
C.C.B. Prima di Winckelmann il termine “arte” non si usava.
M.W. Molto interessante. Di che periodo parliamo?
C.C.B. Metà diciassettesimo secolo.
M.W. Metà diciassettesimo secolo? Davvero?
C.C.B. Sì.
M.W.: E come chiamavano le sculture prima di allora?
C.C.B.: Le chiamavano “sculture” o “artigianato”. Il primo artista a firmare con il proprio nome fu Leonardo.
M.W.: Davvero?
C.C.B.: Sì, fino all’epoca di Giotto in alcune civiltà gli artisti erano chiamati “creatori di immagini”. Gli antichi greci si riferivano all’arte con il termine “téchne”. Singolare come cosa, perché in greco “téchne” è la radice del termine “tecnologia”. Non si è parlato di autorialità fino al diciassettesimo secolo.
M.W.: Che intendi per autorialità?
C.C.B.: Beh … ero io ad avere ventitré domande da farti!
M.W.: OK, scusa! Te l’avevo detto che ne avevo più di te!
C.C.B.: In qualche articolo hai detto che avresti voluto fare un corso accelerato sulla storia dell’arte degli ultimi cento anni. Ho pensato “glielo tengo io quel corso!”
M.W.: Mi piacerebbe. È tutto così interessante. Un mondo talmente diverso, con regole diverse, norme diverse, persone e figure importanti. Alcune questioni che credevo risolte nella storia dell’arte non lo sono affatto. Quando qualcuno guarda quello che faccio e dice “questa non è arte!” penso “addirittura? Capisco che possa non piacere…ma da qui a dire che non sia arte!”
C.C.B.: Beh, non lo so. In realtà ti ho chiesto di incontrarci proprio perché voglio capire se lo è e se può esserlo. Nella mia ultima domanda – avrei voluto chiedertelo dopo ma lo faccio adesso così magari ti faccio stare un po’ meglio …
M.W.: Aspetta, devo confessarti che non mi offendo facilmente. Quindi, qualunque cosa tu dica, sii sincera.
C.C.B.: L’ultima domanda che volevo farti riguardava Andy Warhol. Ho la sensazione che potresti essere l’ “Andy Warhol” dei nostri tempi. Andy Warhol non aveva idea di cosa fosse l’arte. Veniva da una famiglia ungherese di immigrati e frequentava una scuola pubblica a Pittsburgh. I suoi genitori non avevano alcun legame con l’arte. Ha studiato graphic design e ha trovato lavoro in un’azienda di graphic design. In particolare, disegnava scarpe per riviste. Si è poi trasferito a New York e ha trovato un lavoro in una società di pubblicità come grafico, di nuovo per le scarpe e cose del genere. In qualche modo, ma non so grazie a chi e come, ci deve essere stato un momento in cui è diventato famoso e non è stato attraverso una vendita. Stiamo parlando del 1960, più o meno. Molte persone dicevano “questa non è arte” perché gli espressionisti astratti erano famosi all’epoca. Si esprimeva il proprio “io interiore” come faceva Jackson Pollock con il gocciolamento. Quindi, questo ragazzo che veniva da Pittsburgh – assolutamente da un altro pianeta – in qualche modo ha cambiato il mondo intero. Quello che ha fatto è stato introdurre quelle tecniche del design nel mondo dell’arte, ma ha commesso degli errori. In altre parole, la serigrafia non era mai stata usata nell’arte. Di solito si fanno combaciare le serigrafie. Lui non le ha fatte combaciare. Quindi, il fatto che fosse un po’ sfocato – pensa alla Marilyn Monroe o qualsiasi altra immagine – improvvisamente non era faceva più essere design grafico ma un dipinto. Una cosa molto strana. E poi sono arrivate le Campbell’s Soups, la Factory e la sua rivoluzione nell’arte. Inoltre, proveniva da un ambiente cattolico, il che è piuttosto interessante in un Paese protestante come gli Stati Uniti. Il mio è uno sguardo sugli Stati Uniti in prospettiva, sono nata negli Stati Uniti ma sono tornata in Italia. Te l’ho detto adesso perché penso che questo potrebbe spiegare perché non ho alcun pregiudizio.
M.W.: Non credo tu lo sia. Onestamente, mi hai contattato semplicemente per parlare. In realtà penso che tu venga da un mondo diverso.
C.C.B.: Vado con la prima domanda, ok? Riguardava la tua vita personale, la tua infanzia e il motivo per cui ti sei trasferito a Charleston, perché fa molto freddo da dove vieni e fa molto caldo nella Carolina del Sud.
M.W.: Mio fratello ha lavorato per Boeing a Charleston. Qualche anno fa lavoravo già da casa come freelance. Era un po’ tipo “OK, potremmo vivere ovunque. Perché non ci trasferiamo a Charleston? Costa poco! Possiamo vivere in periferia e il clima è molto più bello!” Preferisco il caldo al freddo. Se vai a nuotare nel Missouri fa davvero freddo, congeli letteralmente. Mi piace molto quaggiù. È adatto a noi.
C.C.B.: Sì. E quindi, il trasferimento non è legato all’aver conosciuto qualcuno o a un matrimonio?
M.W.: Oh no, no, no. Sono sposato da 11 anni e ho un bambino di cinque anni e uno di sette anni. Anche mio fratello ha figli. Ho trentanove anni.
C.C.B.: Bene. Quindi, in un certo senso, si tratta di un esempio di lavoro a casa. Il mondo intero lo sta attualmente sperimentando.
M.W.: Sì. Passo molto tempo a casa ed è qui che mi piace stare. Sai, solo, seduto al computer.
C.C.B.: Sì. In un certo senso l’intero pianeta sta sperimentando ciò che per te era già normale.
M.W.: Sì. Sarò onesto, anche prima del COVID-19 passavano giorni prima che uscissi di casa. Succedeva che mi rendessi conto di non uscire di casa dal fine settimana precedente! Ed era proprio così…perché lavoro così tanto…poi intervallavo con dei viaggi, rimanevo a casa, lavoravo, e così via. Andavo a fare conferenze di design in giro per il mondo. Era un po’ come stare a casa, come se non conoscessi nessuno a Charleston. Non ho amici in città, a parte ovviamente mio fratello. Non conosco nessuno da queste parti. Onestamente non ho voglia di fare amicizia. Le conferenze sul design sono state una bella pausa.
C.C.B.: Ti mancano le tue relazioni nel mondo professionale senza le conferenze, doverle fare online?
M.W.: Per me le conferenze erano utili per parlare con le persone. Quando andavo alle conferenze…non vado quasi mai ad ascoltare i discorsi di qualcun altro…vado a parlare con le persone faccia a faccia. Voglio incontrare le persone e avere più tempo per socializzare, perché posso sempre guardare i loro talk su YouTube. Vado per essere presente e vedere la gente di persona. Questa conversazione su Zoom va bene, ma sarebbe molto meglio se fossimo seduti nella stessa stanza. E non credo che tu possa ricrearlo.
C.C.B.: Beh, speriamo di poterti riaccogliere presto in Europa.
M.W.: Amo l’Italia. Amerei assolutamente tutti lì. Non sono mai stato a Torino, quindi sarebbe fantastico.
C.C.B.: Fantastico. Ti faccio un’altra domanda, la seconda – salto da un argomento all’altro e poi magari torniamo indietro. Dirò cose che sono probabilmente davvero banali per te. E mi sento un po’ in imbarazzo perché non ne so molto della “cultura pop”, diciamo così. Ma vorrei sapere in che modo l’estetica dei film di fantascienza ti influenza? La ritrovo molto nel tuo lavoro. Nelle tue interviste parli di eventi quotidiani, notizie che vedi sulla CNN e così via, ma l’estetica non è affatto quella. Quali sono i mondi immaginari e i riferimenti visivi che utilizzi e che ti ispirano? Penso anche che Mad Max, potrebbe essere qualcosa a cui ti riferisci? Forse qualcosa come Oblivion con Tom Cruise? O anche Her, stranamente, o Transcendence con Johnny Depp? Da cosa prende spunto l’estetica dei tuoi lavori?
M.W.: Sì, direi che proviene da quei film. Sono molto influenzato da quello che fanno anche gli altri artisti digitali, perché è così facile condividere. Penso che sia come l’arte. Con “arte digitale” mi riferisco all’arte realizzata nell’ultimo ventennio quasi esclusivamente su computer con alcuni software come Photoshop, software 3D, con elementi video, ecc. Ma è creata con un computer e diffusa su Internet. Questa è la mia definizione in questo contesto. Essendo molto condivisa, l’arte digitale si evolve davvero velocemente. Le tendenze cambiano rapidamente e qualcosa rimane in voga per sei mesi o un anno, e poi ne esce un’altra. Sono decisamente influenzato da quella roba. Mi sto anche occupando un po’ di più delle mie cose. Tonnellate e tonnellate di persone hanno iniziato a fare Every Days, grazie al mio, al punto che è diventato tipo “Oh, stai facendo Every Days? Che sfigato!”
C.C.B.: Continuo con le mie domande. Tra poco tocco la questione degli Every Days e del tempo, dei rituali e di ripetizioni periodiche (o non ripetizioni). Se il tuo lavoro risente di questa “cultura dei meme”, dove le persone fanno collage e si scambiano immagini, ci sono artisti digitali in particolare che ti hanno influenzato? Sei influenzato anche dal cinema? Perché anche quelli sono fatti in digitale…
M.W.: Direi alcuni film. Direi che l’influenza più forte ce l’ha avuta Star Wars. La più grande ingerenza su di me e sulla maggior parte degli utenti. Penso che quella visione della tecnologia e quell’estetica della tecnologia siano decisamente influenti nel mio lavoro e in quello di molte persone. In termini di artisti individuali, onestamente sono influenzato da tanti artisti diversi. Se te ne indico uno o due, ti fuorvierei, come se li targettizzassi.
C.C.B.: Che mi dici di Christopher Nolan e Inception (2010) o del recente Tenet (2020)?
M.W.: A dire il vero, non l’ho ancora nemmeno visto. Non direi che mi piacciono quei film e non direi che siano molto influenti.
C.C.B.: Ok, quindi è più qualcosa stile Mad Max?
M.W.: Mi piace ma non direi che sia così influente.
C.C.B.: Ok, quindi Star Wars, ma i film? I remake dei film di Star Wars?
M.W.: Ma non direi nemmeno che sono così tanto i film. Penso di essere più influenzato da altri lavori che vedo e consumo. Prendo una piccola idea tipo “Oh, non ho mai pensato di creare una forma del genere!”. Potrebbe essere qualcosa di molto, molto piccolo. Non sono davvero [influenzato da] film o programmi TV. Guardo i lavori di altre persone. A volte sono i videogiochi. Hai mai sentito parlare di un sito chiamato ArtStation?
C.C.B.: Sì, in realtà sì.
M.W.: Su ArtStation trovi un sacco di persone molto brave in quello che fanno. È un luogo che mi ispira.
C.C.B.: Che ne pensi dei “film d’arte” o dei film che per un pubblico di nicchia, molto importanti nella storia del cinema? Tipo Solaris di Tarkovsky. Lo hai visto?
M.W.: Intendi la versione anni ‘80? Non lo ricordo bene – tutti erano morti, tutti erano… c’è stata una strana svolta? Non me lo ricordo…
C.C.B.: È stato realizzato nel 1972 ed è una sorta di controparte russa di 2001: Odissea nello spazio. Entrambi sono stati realizzati durante la Guerra Fredda. Un altro film molto influente è del 1962 di Chris Marker e si chiama La Jetée. È la storia del futuro. La storia è stata ripresa in Twelve Monkeys. La storia del futuro distopico. Uno scienziato deve tornare al passato per aggiustarlo, per poi andare avanti e aggiustare il presente. Quindi, tutti quei film sono ispirati a La Jetée. Te lo mando. Chissà che magari infettare le tue fonti! Ti mando un link.
M.W.: Probabilmente ce n’è una versione digitalizzata su YouTube.
C.C.B.: Sicuramente. Che ne pensi di Lars von Trier?
M.W.: È lui il regista di Dogma 95?
C.C.B.: Sì. Esattamente. Dogma 95.
M.W.: Ah, lo adoro! Questo film è stato molto influente quando stavo iniziando a usare un sistema di regole. Mi piace davvero molto quel sistema. Mi piace molto l’idea: è quello che è. Ci sono regole come “non puoi mettere una luce in una stanza, deve essere luce naturale”. Mi piace molto perché ti toglie il controllo. È molto interessante ed è vicino al mio modo di pensare. È del tutto soggettivo: lasciare che sia come c**** sia. È stato sicuramente importante. In realtà ho iniziato a fare arte nel 1999, quindi circa otto anni prima degli Every Days. Ho fatto un sacco di cortometraggi. Quindi quella roba è stata molto influenzata da Von Trier e dai suoi film.
C.C.B.: Interessante: darsi delle regole come un modo per introdurre qualsiasi cosa. C’era un romanziere francese…George Perec, che ha costruito i suoi romanzi in questo modo. Ma hai visto Melancholia di Lars von Trier di dieci anni fa, con il satellite collideva con la Terra?
M.W.: Lentamente?
C.C.B.: Sì, lentamente.
M.W.: Credo di sì. C’è un matrimonio di mezzo o qualcosa del genere?
C.C.B.: Sì. È uno dei miei film preferiti.
M.W.: Von Trier ha fatto quel film… c’era un disegno per terra con tutte queste stanze?
C.C.B.: Sì, Dogville.
M.W.: Dogville! Dio mio. Questo è uno dei miei preferiti in assoluto.
C.C.B.: Ma dai! È il miglior cinema del pianeta. Questo è ciò che si chiama “film di alto livello”. Ci sono un centinaio di film di cui potremmo parlare, ma almeno abbiamo trovato un terreno comune con un grande, grande, grande regista. Vorrei chiederti qualcosa sull’uso delle parolacce…
M.W.: Sull’imprecare?
C.C.B.: Sull’imprecare, sì. Lo fai in tutte le interviste. Non l’hai ancora fatto in questa conversazione. Ma volevo chiederti se ha a che fare con la “sindrome dell’impostore”. Ti sottovaluti? In genere, quando esplorano un nuovo comunità o un nuovo mondo in cui non si sentono a proprio agio, le persone più talentuose o le persone più creative hanno la sensazione che, qualunque cosa stiano facendo, non dovrebbero essere lì…
M.W.: Ti seguo…
C.C.B.: …che è solo questione di fortuna, sai? Hai mai provato questa sensazione? Io l’ho provata molte volte nella mia vita.
M.W.: Penso che tutti la provino in una certa misura. Direi che a volte la provo, a volte no. È complicato. Ci sono molte persone a cui ovviamente piace molto il mio lavoro, ma a volte penso che i loro standard siano troppo bassi. Penso “Uhm, non è davvero così bello [quello che faccio]”. Dipende…
C.C.B.: Esatto. È qualcosa che spesso hanno le persone molto talentuose e brillanti, specialmente durante l’adolescenza, quando sono giovani.
M.W.: Certo.
C.C.B.: Ha a che fare con l’attività degli artisti. Mi chiedo se le parolacce siano, sai, in senso freudiano, una specie di strategia di adattamento.
M.W.: Onestamente penso che sia soltanto il modo in cui mi esprimo. Mi sembra di essere arrivato a un punto in cui il mio vocabolario si sta piano piano esaurendo, ed è come se stessi sostituendo sempre più parole con le parolacce. È come se la mia capacità di esprimermi …
C.C.B.: Ah!
M.W.: … peggiorasse.
C.C.B.: Interessante. Le parolacce diventando significanti fluttuanti.
M.W.: Diventano un sostitutivo. Ed è come “prima sostituiva solo questo e ora sostituisce questo, questo, e quest’altro”. Alla fine, sembra che stia dicendo a malapena una parola. È tutto un “f******, c****, c****”. Come se non sapessi esprimermi. Quello che dico non ha nemmeno senso.
C.C.B.: Ho capito. Quindi, è un modo per aggirare le parole.
M.W.: Di trovare la parola forse. Non lo so.
C.C.B.: È interessante perché oggigiorno assistiamo a una rottura del linguaggio verbale causato dall’uso eccessivo di parole su Internet. Voglio dire, la gente dice che ci sono sempre più immagini, ma ci sono tutte queste parole!
M.W.: Un bel po’ di parole!
C.C.B.: Ho letto nelle tue interviste che a volte parli del mio mondo come “il mondo dell’arte tradizionale”. Lo trovo strano.
M.W.: Beh, come lo chiameresti?
C.C.B.: Beh …
M.W.: Il “mondo dell’arte”? Solo il mondo dell’arte?
C.C.B.: Sì, beh, di solito non uso comunque queste parole – “mondo dell’arte” – perché per me il “mondo dell’arte” è quasi un termine dispregiativo. Lo associo alle feste e tutti questi ricchi collezionisti con il loro personale speciale. Sai, Basel Art Fair è “il mondo dell’arte”. Ed è una delle cose peggiori.
M.W.: Non ti piace Art Basel?
C.C.B.: Oh, no!
M.W.: Aspetta, aspetta, aspetta! Una domanda: ci vai sempre?
C.C.B.: Certamente.
M.W.: Ogni anno?
C.C.B.: Certamente.
M.W.: Strano davvero. Ma lo odi.
C.C.B.: Certamente.
M.W.: Perché vai allora?
C.C.B.: È come andare dal dentista o qualcosa di simile. Può essere piacevole prendere la macchina e andare a fare shopping al centro commerciale, ma non è esattamente come andare a vedere un film di Lars von Trier o andare nello studio di un artista.
M.W.: Perché non ti piace, però?
C.C.B.: Perché non è il modo in cui l’arte dovrebbe essere vissuta e vista. Ogni artista fa opere in un certo modo e in qualche modo sa chi è il suo pubblico e come dovrebbe vivere l’arte. Sono famosa per aver trovato spazi davvero strani in cui gli artisti possono fare le cose, ma non deve essere uno spazio fisico. Può essere uno spazio virtuale. Può trattarsi di una serie di lettere inviate. L’idea di poter prendere qualsiasi opera d’arte e metterla su un supporto di quattro metri per quattro … quei dipinti, piangono. È un po’ come quel film What Women Want, ma è What Paintings Want o What Sculptures Want. L’opera d’arte vorrebbe essere vissuta in un certo modo. Perché dovremmo guardare un Beeple su uno schermo rotto in cui non puoi vederne i colori? È tutto sbagliato. È quasi come se trasformassero le opere d’arte in NFT, anche se sono NFT analogici. Quando rimuovi un affresco di Giotto fuori dalla cappella, lo strappi dal muro e lo metti da qualche parte, semplicemente non è più Giotto.
M.W.: Capisco. Interessante. Giusto per essere onesti, non sono mai stato ad Art Basel. Sono stato a Miami durante quel periodo, ma non sono mai stato a Basilea. Ma capisco quello che dici. Sembra il posto peggiore per fruire le opere d’arte, un po’ deprimente.
C.C.B.: Quindi non lo chiamerei “il mondo dell’arte”. Voglio dire, quando dico il “mondo dell’arte”, intendo quel mondo: mercato, feste e rapporti di potere. In effetti, penso che la maggior parte delle persone nel mondo dell’arte digitale pensi che il mondo dell’arte sia quello. Ma c’è qualcos’altro nel mondo dell’arte, che è separato dal mio mondo. Maurizio Cattelan – che hai citato in tuo Beeple -appiccica al muro la sua banana con lo scotch a Miami o Basilea, perché sta commentando l’idiozia. Voglio dire, sono stupidi! Ma [quello] non è il grande Cattelan. A proposito, abbiamo la più grande collezione di Cattelan nel nostro Museo, come il cavallo [Novecento, 1997] appeso con le gambe a penzoloni. È una sorta di monumento o di elegia al Novecento, alla catastrofe, all’eroismo …
M.W.: Non sono sicuro di averlo visto.
C.C.B.: Oh, dovresti cercare su Google “cavallo – Cattelan” e ti verrà fuori una foto del nostro Museo con il cavallo. È una specie di elegia del XX secolo. All’inizio del XX secolo artisti d’avanguardia come Rodchenko hanno creato la cosiddetta “scultura mobile” durante il periodo della Rivoluzione russa. Pensavano che la scultura dovesse muoversi. La scultura sospesa è poi arriva negli Stati Uniti con Alexander Calder. Ma in fondo, stava dicendo Cattelan, quella è la fine della scultura mobile.
M.W.: Pazzesco.
C.C.B.: Sì, sì, ma comunque…ho risposto alla tua domanda sul mondo dell’arte. L’ultima cosa che penserei di me stessa è che sono tradizionale.
M.W.: Ora mi è chiaro. Quando parlo di “mondo dell’arte tradizionale”, mi riferisco a tutto quello che non è arte digitale.
C.C.B.: Esatto.
M.W.: Intendo i musei e le cose più accademiche e il genere di cose “serie”, così come le stronzate commerciali. Lo uso solo per intendere tutto tranne “questa cosa che è un po’ nuova”.
C.C.B.: Esatto. Ma in quel mondo dell’arte tradizionale, ci sono alcuni artisti che fanno cose digitali. Ad esempio, abbiamo fatto una mostra di un artista chiamato Ed Atkins. Non carica le sue cose su piattaforme digitali, ma è tutto fatto sul suo laptop. Vuole che i suoi lavori vengano mostrati come grandi video sui muri, all’interno di spazi, ma stiamo parlando di computer grafica. Parla di cosa sia una persona, se una persona è solo una pelle che puoi acquistare e spostare….
M.W.: Però vedi, se torni alla mia definizione di “arte digitale”, quella non sarebbe arte digitale, perché non è distribuita principalmente attraverso Internet. Non è diffonderlo sulle piattaforme che fa la differenza. È pensato per i musei. È digitale, ma è destinato, ancora una volta, al “mondo dell’arte tradizionale”. È lì che viene visto piuttosto che su Internet, che è più “populista”, perché puoi dire tipo “ho disegnato questa cosa e l’ho mostrata a tutti senza contesto”. È solo che la vedo in modo diverso, capisci cosa intendo? Anche se potrebbero essere usati alcuni degli stessi strumenti.
C.C.B.: OK, ma hai detto prima, l’arte digitale si fa solo con strumenti digitali.
M.W.: “Principalmente” con strumenti digitali.
C.C.B.: Ma ora lo stai qualificando: dici e che anche i suoi veicoli devono essere digitali.
M.W.: Viene distribuito a un gruppo di persone attraverso meccanismi e piattaforme pop.
C.C.B.: OK, beh, questo ti avvicina di nuovo ad Andy Warhol. Ma lascia che ti chieda allora, perché vorresti, come hai affermato in alcune interviste, che il tuo lavoro fosse mostrato al MoMA o nel cosiddetto “mondo dell’arte tradizionale”?
M.W.: Beh, perché sono già su altri canali, quindi perché non essere in entrambi?
C.C.B.: Oh, quindi si sta espandendo!
M.W.: Sì. È interessante per me. Ovviamente, tutti gli artisti digitali vorrebbero essere al MoMA. Dai! Di cosa stiamo parlando? È un grande onore! Immagino però che sia davvero solo un altro f****** trofeo, ad essere onesti. Per farla breve penso sia questo. È importante che tu sia in un museo; è una buona cosa, qualunque diavolo di cosa significhi. Penso che il motivo per cui vorrei essere in un museo sia solo perché nessuno sta bussando alla porta per farmi entrare. Quindi questo è un altro motivo per cui voglio entrare.
C.C.B.: È interessante. Se si guarda alla storia dell’arte contemporanea americana, ad esempio Bruce Nauman, è stato invitato nei musei europei prima di essere accettato nel mondo dell’arte americano. È successo anche all’arte concettuale. È successo a Lawrence Weiner e Joseph Kosuth, che in pratica dicevano che il concetto dell’opera d’arte è l’opera d’arte. Questo non era accettato nel mondo dell’arte americano. Doveva essere riconosciuto prima in Europa. Non so perché, ma è successo più volte.
M.W.: Penso che sia probabilmente perché le persone in Europa hanno una mentalità un po’ più aperta. E penso che le persone negli Stati Uniti abbiano una mentalità chiusa.
C.C.B.: Beh, è possibile. Ma potrebbe essere che alle persone piaccia qualcosa che viene da molto lontano.
M.W.: Potrebbe essere. Si. Potrebbe essere quello. Un certo esotismo.
C.C.B.: Passo ora ad alcune domande che riguardano un po’ questo problema finanziario. In altre parole: realizzi i tuoi disegni, immagini e video come hobby? Penso che tu distingua “la mia arte” dal “mio lavoro”, nel senso che se lavori per Justin Bieber o altri, questo è il tuo lavoro, mentre se lo fai semplicemente senza utilità diretta, allora è la tua arte. Pensi che l’opera d’arte sia in quelle immagini e video, o anche nella distribuzione finanziaria di essi?
M.W.: Non credo che l’opera stia nella distribuzione finanziaria.
C.C.B.: Aspetta, non intendevo solo finanziario nel senso di Ethereum. Intendevo “finanziario” quasi in senso numerologico. In altre parole, la struttura o il sistema all’interno del quale ottieni un milione di followers, centinaia di migliaia di followers. Uso “finanziario” in generale, che si tratti di dollari, persone, followers o commenti. L’opera d’arte è in quel rapporto strutturale con quei numeri, o è nelle immagini stesse e nei video, o in entrambi?
M.W.: Bella domanda. Cerco di non prestare attenzione a queste cose. Penso che sia un po’ una distrazione, ad essere onesti: quanti “like” ha qualcosa o a quanto viene venduto. Questo per me non ha nulla a che fare con l’opera d’arte. L’opera d’arte è qualunque c**** di cosa. E da lì qualcuno lo compra. Oppure non lo comprano. Ho realizzato tutte queste cose per oltre un decennio senza pensare che qualcuno le comprasse. L’ho fatto perché volevo farlo ed era tipo “voglio fare questa roba. Sto cercando di fare qualcosa che non ho mai visto prima. Ed è tutto”. E le altre cose sono davvero una distrazione dal fare il lavoro.
C.C.B.: Ma hai detto, un minuto fa, che il fatto che sia distribuito là fuori era in qualche modo importante.
M.W.: Beh, è più una definizione. Una parte. E immagino sia qualcosa a cui penso: “sarà distribuito in questo modo.” Ma non penso in termini numerici a cosa succede o quanti like ottiene o cose del genere. Viene distribuito. E quando viene distribuito è fatta. Poi diventa una cosa a sé su Internet e prende una vita propria, che penso sia un altro aspetto interessante. Molte di queste cose le sto regalando e permettendo alle persone di farci quello che vogliono. È quasi come far nascere qualcosa che poi cambi forma. Non sembra nemmeno più una mia creazione a un certo punto. Se pubblico delle clip e qualcuno se ne appropria, quando le vedo da qualche altra parte, non sembrano un mio lavoro, anche se le ho fatte io. Se qualcun altro le ha trovate su Internet, le ha preso e le ha usate altrove, sembra molto più una loro creazione che una mia.
C.C.B.: Anche se non [le clip] non sono cambiate?
M.W.: Sì. È tipo “Oh, guarda, la mia clip”, ma in realtà non è proprio mia. Sembra la cosa stessa. Il video ha trovato la sua strada.
C.C.B.: Intendi come un figlio?
M.W.: Più o meno, sì. Credo davvero che se pubblichi qualcosa su Internet, essa appartenga a Internet. Lo farà perché non c’è controllo. Non c’è nessuno che dica “Togli le mie cose da Internet!”
C.C.B.: Quindi non credi nelle leggi sul copyright?
M.W.: Non mi piacciono molto le leggi sul copyright, perché vengo dall’open source. Ho una laurea in informatica e penso che l’idea di “open source”, di creare qualcosa e darlo via e lasciare che le persone ci costruiscano su, sia un’idea molto interessante applicata all’arte. Quindi, sì, non penso che ci siano risposte giuste o sbagliate in merito alle leggi sul copyright, ma non mi piacciono.
C.C.B.: Quello che non capisco è tutta la questione sugli NFT. Perché l’NFT è l’opposto. In un certo senso, si tratta proteggere qualcosa da copyright.
M.W.: Ricevi qualcosa di simbolico.
C.C.B.: Ma cos’è?
M.W.: Solo una prova di proprietà. Di sicuro con un NFT non possiedi il copyright.
C.C.B.: Bene, allora cosa si può fare con quella prova?
M.W.: È come un dipinto. Da quello che so, quando acquisti un dipinto, non acquisti il copyright. Stai acquistando un dipinto. Puoi mostrare il dipinto e dire: “Possiedo il dipinto”, ma non possiedi il copyright. Almeno questa è quello che so.
C.C.B.: No, no, aspetta, aspetta, aspetta. Facciamo chiarezza.
M.W.: Forse mi sbaglio.
C.C.B.: Il copyright è sull’immagine del dipinto, quindi puoi vedere la fotografia del dipinto. Il copyright appartiene all’artista o agli eredi fino a 70 anni dopo la loro morte. E può anche essere parzialmente di proprietà della persona che ha scattato la fotografia. Ma qui parliamo della fotografia del dipinto. Il dipinto vero e proprio è di proprietà della persona che lo ha realizzato.
M.W.: E se la persona che lo possiede facesse un’altra fotografia?
C.C.B.: Il titolare del copyright dell’immagine rimane sempre l’artista.
M.W.: A me sembra in qualche modo simile. Guarda il dipinto stesso come se fosse il segno. Non puoi prendere e costruire cose nuove da quello.
C.C.B.: No, non credo che tu possa fare quell’analogia, perché è l’opposto. La fotografia del dipinto non è il dipinto. Mentre dici che l’NFT è l’opera d’arte.
M.W.: Non credo sia l’opera d’arte.
C.C.B.: Esatto. Quindi, l’NFT non è l’opera d’arte e la fotografia del dipinto non è il dipinto. È un po’ l’opposto di quello che stai dicendo.
M.W.: Sì. Ora capisco meglio. Il dipinto è l’opera d’arte. Ma l’NFT non è l’opera d’arte. Non è proprio la stessa cosa.
C.C.B.: No, non lo è.
M.W.: Questa questione ha davvero bisogno di un po’ di lavoro e di essere chiarita, perché i termini legali sono diversi nelle diverse piattaforme. Se lo compri su SuperRare, o lo compri su Nifty Gateway, o lo compri su qualsiasi altro posto, hanno tutti termini diversi. Non c’è una risposta uniforme. Sono simili, ma non sono la stessa cosa. La gente non lo sa e ha davvero bisogno di un po’ di chiarezza. Anche dal punto di vista della comprensione, perché la maggior parte delle persone pensa di possedere il copyright, o almeno molte persone pensano “Possiedo il documento! Beh, a dire il vero no!”
C.C.B.: No, ovviamente. Tuttavia, la tua idea di diffondere gratuitamente tutto su Internet non sembra davvero corrispondere all’ideologia dietro gli NFT.
M.W.: Credo di sì invece, perché con gli NFT dono ancora questo lavoro gratuitamente. Quando qualcuno acquista un lavoro del genere, lo considero una sorta di “ok, stiamo intrattenendo una relazione in cui entrambi vogliamo il meglio per questo lavoro”. È come contratto. Tipo “Ok, uniamo le forze. Rendiamo questa immagine il più popolare possibile. È meglio per te monetariamente come collezionista ma anche meglio per me come artista.” E quindi lo considero una sorta “OK, se compri qualcosa di mio, allora siamo più o meno coinvolti in una relazione. Ti va di fare questa cosa?” Se dici “Non voglio”, io risponderei, “Ok, va bene”.
C.C.B.: Ma, ad esempio, il signor Vignesh Sunderasan — MetaKoven, possiede ancora Everydays: the First 5000 Days. Non l’ha venduto, vero?
M.W.: Sì.
C.C.B.: Ma potrebbe venderlo.
M.W.: Sì.
C.C.B.: E poi tu non entri in contatto con quel nuovo compratore?
M.W.: Potrei. Direi, “Ok, beh, ora sei il proprietario, cosa vuoi farne?” E lo stesso vale anche per esporlo. “Come vuoi mostrarlo? Cosa fai? Vuoi che ti crei qualcosa?” Considero gli NFT quasi come un abbonamento a quell’opera d’arte. “Ok, hai questo abbonamento. Abbiamo una relazione adesso. Cosa posso fare per aggiungere valore a quell’opera d’arte, entro limiti ragionevoli?”
C.C.B.: Ma se volessi mostrare gli Every Days al MoMA, diciamo, o in un castello in cima a una collina vicino alla Francia, non avresti bisogno di chiedere al proprietario?
MW: Non sono obbligato, ma penso “Beh…ha pagato un sacco di soldi per questo” quindi, potrei dire “Vai a farti f*****, lo mostrerò comunque”, ma non lo farei. A meno che questo tipo non abbia detto “No, non voglio mostrarlo”. E allora…va bene.
C.C.B.: Quindi, vuoi dire che hai un impegno etico?
M.W.: Onestamente, i collezionisti hanno investito e mi hanno sostenuto come artista. Nessuno gli aveva chiesto di farlo. E quindi penso “Ok, siamo nella stessa barca. Hai investito nella mia opera d’arte. Sei interessato a me. E quindi voglio assicurarmi che tu sia felice.” È come se fossimo nella stessa squadra e i nostri interessi fossero allineati.
C.C.B.: OK, ora ho capito. Ma i tuoi primi NFT li hai realizzati lo scorso ottobre. Quindi questo mondo è ancora nuovo per te.
M.W.: Molto nuovo. La figura del collezionista è ancora qualcosa a cui sto ancora pensando.
C.C.B.: Certo. In un articolo hai detto che hai convertito tutti gli Ethereum in dollari. Vero?
M.W.: Sì.
C.C.B.: Quindi, non sei… come dire…
M.W.: un “crypto dude”?
C.C.B.: Sì.
M.W. Non me ne frega niente delle cripto valute. Non ne ho. Non me ne frega niente dei bitcoin. Non ne ho. Non me ne frega niente, e in realtà sono piuttosto conservatore riguardo agli investimenti. E così, quando l’ethereum stava impazzendo ho pensato “Scappa a gambe levate! È uno spaventoso gioco d’azzardo.” Avevo pochissimi ethereum prima di conoscere gli NFT. E ad essere onesti, gli NFT, secondo me, non hanno nulla a che fare con le cripto valute. Le NFT sono prova della proprietà, punto. La blockchain è una tecnologia atta a dimostrare solo la proprietà. Punto. Compri con le cripto valute perché è il modo più semplice per acquistare in questo momento, perché [gli NFT] utilizzano la stessa tecnologia. Ma in futuro, sono quasi certo che gli NFT non avranno nulla a che fare con le criptovalute.
C.C.B. Quindi, fondamentalmente, potresti usare la blockchain con i dollari?
M.W. Sì. Non ha nulla a che fare con gli ethereum e niente a che fare con i bitcoin. E penso che si allontanerà sempre di più da quella realtà.
C.C.B. Beh, ho quasi finito con questa serie di domande sui soldi. Ma solo per capire: Chi ti ha contattato? Christie’s o MakersPlace? Com’è andata?
M.W. MakersPlace aveva qualche contatto da Christie’s che pressava dicendo: “Oh, devi controllare questa cosa degli NFT”. Alla fine, Christie’s ha detto: “Ok MakersPlace, faremo una sorta di asta con te. Facci sapere con chi ti piacerebbe farlo.” E poiché ho avuto un’enorme vendita a dicembre di 3,5 milioni, ero di gran lunga la persona più popolare in quell’ambito. E così sono venuti da me e mi hanno detto: “Ok, vorremmo te”. Quindi MakersPlace era una specie di tramite. All’inizio erano tipo “Christie’s non vuole parlare con te”, hanno cercato di inserirsi. E poi, non appena ho iniziato a parlare con Christie’s, è stato come “Beh, sembra che vogliano parlare con me direttamente in realtà”.
C.C.B. Ok, la mia prossima domanda: ho notato una cosa, ovvero che il tuo sito web non viene aggiornato ogni giorno. Voglio dire, l’ultimo aggiornamento risale al 6 gennaio.
M.W. È solo pigrizia. È così noioso. E poi pubblico ogni giorno su così tante piattaforme: Instagram, Tumblr, Twitter, Facebook.
C.C.B. Questa era la mia successiva domanda. Perché, ad esempio, l’immagine in questo momento sul tuo Instagram è diversa da quella su Tumblr?
M.W. C’è una ragione molto specifica. E in realtà, sei la prima persona che me lo ha chiesto formalmente. Ancora una volta, riguarda le regole [che mi do]. Il lavoro deve essere fatto e pubblicato entro mezzanotte. E così la versione di IG è più aggiornata di quella di Tumblr. Se guardi la versione di Tumblr, di solito è una versione più brutta.
C.C.B. Quella in cui non hai aggiunto il sangue sul coniglio.
M.W. Niente sangue sul coniglio. Esatto. Quindi questo è come lavoro. Non voglio perdere nemmeno un giorno. E quindi non voglio ridurmi all’ultimo e rischiare di non pubblicare. Di solito faccio queste cose a tarda notte. Quindi quello che faccio è pubblicare su Tumblr e dire “ok, ce l’ho fatta per oggi. È pubblicato. Adesso ho tempo fino a mezzanotte per migliorarlo.” Mi sono ridotto di recente a lavorarci fino alle 11.59 di sera. Guarda quell’immagine su Twitter: è stata postata alle 11.59. Ho letteralmente lavorato fino a quell’ora per migliorarlo. Ne avevo uno di scorta nel caso in cui fosse andata via la luce, quindi non avrei perso la mia “giornata”, ma avevo quest’altro su cui volevo davvero dedicare più tempo e migliorarlo. E quindi penso che andando avanti, quello che farò è fare un’immagine molto velocemente – in circa due minuti – per mostrare alle persone che puoi fare qualcosa in due minuti, ma se ci metti un po’ di più puoi sicuramente migliorarlo. Non ci sono scuse tipo “Non ho tempo per creare”. C******. In due minuti puoi fare qualcosa. Non sarà fantastico, ma è qualcosa. E penso che sia una grande cosa che alla gente manca: tornare a creare arte per il gusto di creare arte e non farti mille paranoie in testa.
C.C.B. È interessante. Quello che mi viene in mente sono gli esercizi spirituali in molte pratiche cattoliche, come la regola benedettina.
M.W. Dovrei ricordarmene. Ho frequentato una scuola cattolica.
C.C.B. Esatto. Ecco perché mi è tornato in mente. L’Italia è un Paese principalmente cattolico. Certo, c’è stata una minoranza ebraica, una minoranza protestante, una minoranza islamica dalla Seconda guerra mondiale. Quindi c’è tutto, ma è principalmente cattolico. Ne sappiamo tanto. E quando parli, mi ricordi la regola benedettina. Alle 4 ti svegli, alle 6 fai così… e ogni singolo monastero benedettino ha seguito questa regola: ora et labora. Quindi forse c’è qualcosa nella tua formazione che potresti non ricordare nemmeno ma che attribuisce valore a questo tipo di ordine. E poiché il mondo digitale è un mondo così fluido, forse si avrebbe la sensazione di cadere a pezzi se non si creasse una qualche forma di ordine.
M.W. Non so se sia necessariamente l’ordine. Penso che sia solo un modo per migliorare e fare pratica.
C.C.B. Sì, ma penso che la regola benedettina sia vicina a ciò che stai descrivendo. Questi cosiddetti esercizi spirituali hanno a che fare con il miglioramento. Ma comunque, mi è appena venuto in mente. Ho un’altra domanda, che riguarda il metaverso: cercare di fare soldi e aprire musei digitali sul metaverso. Cosa ne pensi di questo?
M.W. Sono molto più interessato a cercare di portare il digitale nel mondo fisico. Ho già la sensazione di avere tasca il mondo digitale tutto il giorno. Come possiamo prendere quest’arte, l’arte digitale e renderla fisica? Sono molto più interessato a questo.
C.C.B. Come immagini il tuo lavoro esposto in un museo?
M.W. Le persone sembrano pensare che con l’arte digitale tu non stia comprando nulla. Ma invece stai acquistando un’opera d’arte che può assumere qualsiasi forma. Non deve assumere solo una forma. Quando compri un dipinto, ha una forma. È un dipinto. Non cambierà mai. Niente sarà mai diverso. Decadrà lentamente nel corso di centinaia di anni. Se hai qualcosa di digitale, non va da nessuna parte: è in un f***** cloud! È nell’etere. E può assumere forme diverse nel mondo fisico.
C.C.B. Ma ti sto chiedendo come pensi che possa farlo?
M.W. Bene, questo è il modo in cui il mio lavoro andrà avanti: trovare i diversi modi di mostrare le cose. Perché gli schermi sono molto noiosi. Lo smartphone di tutti sembra esattamente lo stesso. È un rettangolo nero. Ci sono molti modi diversi, ma parte del mio lavoro sarà fisico. Stiamo lavorando per realizzare oggetti fisici migliori. Anche qui: si tratta di qualcosa che ho iniziato tre mesi fa, quindi è molto nuova l’idea di creare oggetti fisici con l’arte digitale. Questo è quello che mi interessa.
C.C.B. Stai pensando di stampare in digitale?
M.W. Non necessariamente. Penso a qualcosa tipo avere schermi a casa tua. Penso che dovrebbero rendere il lavoro ancora molto digitale, per ricordare come è stato realizzato. Lo adoro. Vedi lo schermo? Come si muove e crea dei glitch in questo momento?
C.C.B. Oh sì.
M.W. Quindi questo tipo di cosa prende l’immagine di tutti i giorni e svanisce lentamente attraverso diverse sezioni. Puoi vederlo sfumare nell’altra immagine qui. Ed è pensato per essere una sorta di oggetto passiva nel tuo ambiente, perché siamo così abituati a un’arte digitale che devi guardare attivamente. Non riesco davvero a pensare a un modo in cui al momento puoi goderti passivamente l’arte digitale come faresti con un dipinto. Non dici: “Ok, guarderò il dipinto. Non guarderò quel dipinto oggi. ” È solo una parte del tuo ambiente e ti sta influenzando lentamente. Penso che sia quello che possiamo fare con l’arte digitale. E le persone lo guarderanno in modo molto diverso quando lo fai, quando è solo nel tuo ambiente.
C.C.B. Questa è un’intuizione meravigliosa. Quindi vuoi ricreare la passività della nostra vita, come quando camminiamo in cima a una montagna, e non ti piace guardare quel fiore, ma è lì?
M.W. Penso che ci siano un sacco di modi interessanti per portare la grafica digitale nella tua vita in questo modo.
C.C.B. Devi collegarlo questo oggetto?
M.W. Sì, si collega. Quindi ha un’autonomia di due ore. Ma non ha interfaccia. Basta tirarlo fuori dalla scatola. Non c’è niente da cambiare; non c’è niente, non è firmato, ma c’è una sorta di segno.
C.C.B. Potresti mettere questi piccoli oggetti in un museo.
M.W. Potresti avere un mucchio di opzioni; questo è un modo. L’altro modo è fare una stampa. Ho realizzato enormi tele di Every Days. E l’altro modo in cui potresti farlo è con i proiettori. Puoi fare molte cose interessanti, proiettando un’immagine enorme di arte digitale. Oppure potresti installarli su un mucchio di televisori. Ci sono modi diversi per farlo. E ognuno sarà diverso. Ma questo è il punto. L’opera d’arte è la stessa. È solo che può essere visualizzata in modi diversi.
C.C.B. Mi è venuta in mente una cosa, che è una prospettiva opposta rispetto alla questione del museo: una cosa è la traduzione di questi oggi in qualcosa nel museo. Un’altra è come un museo potrebbe influenzare come e cosa fai nella tua arte digitale.
M.W. E questo è il punto. Posso lavorare facilmente ovunque. Quel lavoro non l’ho fatto a casa mia. È stato fatto a casa di mio fratello la scorsa notte. E il lavoro prima è stato fatto in un lounge dell’aeroporto. Immagina che ero tipo “Oh, m****, devo completarlo. Lo faccio qui.” Quindi mi basta avere un computer. Potrei farlo facilmente.
C.C.B. Mi chiedo solo se le tue opere potrebbero essere influenzate da qualcosa che vedi in un museo.
M.W. Di solito, quando vado in Europa, vado in un museo e sono molto influenzato dalle cose che ho visto quel giorno.
C.C.B. Quindi ci sono le due direzioni. Forse dovrebbero essere esplorate entrambi. Una direzione è come far entrare il lavoro nel museo. L’altra direzione è come diffonderlo nel mondo. Mi chiedevo se, quando hai fatto Every Days eri a conoscenza di altre opere d’arte nate da processi simili? Opere come quelle di Roman Opalka, che conoscevo personalmente. È morto alcuni anni fa, ma era un artista straordinario. Era un artista francese polacco, ed era nato nel 1931. E nel 1965, decise di impegnarsi nel seguente progetto, ovvero avrebbe dipinto con un pennello bianco, vernice bianca su una tela nera, un numero: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, centomila, duecentomila …, ogni volta aggiungendo un 1% in più di vernice bianca. E poi il giorno successivo ha continuato da dove aveva interrotto a quel numero, aggiungendo l’1% per cento in più di vernice bianca allo sfondo nero, in modo che andasse verso il bianco infinito. E alla fine di ogni giornata, ha scattato una foto di se stesso, sempre nello stesso formato. È un bel progetto.
M.W. È molto interessante. Quindi stava facendo una serie di dipinti?
C.C.B. Sì, ha iniziato nel 1965 e si è concluso nel 2011 quando è morto. E se sei un intenditore di Opalka puoi effettivamente dcapire quando li ha fatti. Vedo un certo grigio e dico “beh, questo è un dipinto degli anni ’80 o è un dipinto degli anni ’70, perché mentre va avanti, è sempre più difficile leggere i numeri.” È stato fantastico. Ma ci sono altri artisti, come, ad esempio, il cinese americano Tehching Hsieh. Ha fatto questa performance di un anno, in cui ha deciso che avrebbe segnato un orologio.
M.W. Oh, qualcuno me ne ha parlato. Faceva suonare un orologio. Era fantastico! Vorrei leggere di più perché tutte queste cose sono semplicemente super interessanti.
C.C.B. Ed è stato fantastico. E poi a un certo punto ha smesso di fare arte. La mia ultima domanda riguarda il tempo, l’impegno a fare un lavoro basato sul tempo, la durata.
M.W. Sto pensando a questo lavoro [degli Every Days] su una scala temporale molto più ampia. Quando dico che il mio lavoro è una schifezza, è perché non lo sto solo confrontando con le persone di oggi, lo sto confrontando con tutta l’arte. Penso “Ok, beh, pensi che la foto dietro di te sia bella tanto quanto un f**** Rembrandt?” Ovviamente no. Ovviamente no. Ecco perché lo chiamo “crap”. Ed è lì che si trova la pratica: questo è un progetto quotidiano. Ho trentanove anni. Lo farò finché non morirò. Questo è il mio pensiero in questo momento. Quindi ho, a Dio piacendo, molti, molti anni di questo progetto. Onestamente non pensavo che a qualcuno sarebbe importato di questo progetto fino a quando non avrebbe compiuto 20 anni. Poi ho pensato che la gente avrebbe potuto dire “Aspetta – 20 anni? Cosa sta succedendo qui?” Pensavo che le persone potessero prestarvi un po’ di attenzione allora. Ma sì, è davvero un work in progress e non è fatto a distanza. E quindi sto decisamente guardando le cose su una scala temporale molto lunga. Ben oltre la mia vita, anche. E quindi questo influenza il modo in cui penso a ciò che vendo, a come vendo e tutte queste cose. Questo è sicuramente un aspetto dell’arte: guardarlo attraverso quell’obiettivo.
C.C.B. Meraviglioso. Bene, sono estremamente, estremamente felice che abbiamo avuto questa conversazione.
M.W. Sì, anche a me. È stato super divertente e sinceramente, mi piacerebbe continuare a parlare la prossima settimana o qualche altra volta. È decisamente super interessante vedere la tua prospettiva su questi argomenti perché è molto diversa dalla mia. E onestamente, queste erano domande molto, molto valide rispetto a…sai…molte delle cose a cui sto rispondendo sono solo tutte queste m**** degli NFT. Penso “ragazzi che me ne frega degli NFT?! Oh, mio Dio, Ok, ho capito. NFT, NFT, NFT “.
C.C.B. Fantastico, Ciao, arrivederci
M.W. Grazie. Ciao.
C.C.B. Grazie mille. Ciao ciao.